Archivio mensile:marzo 2006

Vogliamo considerarli solo ragazzi?

Quando si parla di satanismo, c’è sempre una comprensibile ritrosia da parte nostra. Solo a sentirlo nominare, in effetti, fa impressione, eppure dobbiamo confrontarci con la realtà: molti, specie tra i giovani, sono attratti dall’occulto.

A volte si comincia da poco. Un po’ come per le droghe, si parte con qualche sostanza “leggera”; allo stesso modo sono molti quelli che cominciano per scherzo – almeno secondo loro, ma solo perché non percepiscono la gravità delle loro azioni. Per esempio, con quelle che chiamano “sedute spiritiche”: tutti attorno a un tavolo a evocare spiriti. Per farsi una risata? Non solo.

Forse non è nemmeno tanto una questione di azioni, quanto di atteggiamento spirituale: quello di cercare nell’occulto le soluzioni. Sia esso una seduta spiritica o la consultazione di maghi e fattucchiere, o – nei casi più gravi – la partecipazione a quelle che vengono definite “messe nere”. Eppure l’occulto è attorno a noi, e spesso nemmeno ce ne accorgiamo. Quanti fanno caso alle felpe che portano in giro i giovani? Spesso ci sono simboli e frasi decisamente poco raccomandabili. È solo un gioco, solo emulazione di gruppi musicali “estremi” che usano questi simboli per farsi notare? Sarebbe da ingenui crederlo, anche perché casualmente sono sempre i simboli occulti a venire riportati, mai qualche simbolo positivo.

Certo: possiamo considerare tutto casuale, possiamo credere che sia solo uno scherzo, possiamo pensare che “sono ragazzi”, possiamo giustificare il desiderio di occulto con la necessità di fare esperienze. Possiamo, e spesso lo si fa. Ma, come sappiamo, a ogni azione corrisponde una conseguenza. E ogni strada porta da qualche parte: non possiamo incamminarci verso Roma e poi stupirci del paesaggio che incontriamo. E quindi, se non cogliamo gli indizi e non ci preoccupiamo di mettere un limite, o allertare gli interessati (che magari non pensano nemmeno ai pericoli connessi alle loro azioni), non possiamo poi lamentarci quando leggiamo notizie tragiche, come quella sentita in questi giorni, o quando vediamo casi di gioventù bruciata come è successo non molto tempo fa a Busto Arsizio.

Sono solo casi? Continuiamo a considerarli come tali, e la situazione non potrà che peggiorare. A noi la scelta.

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Cristiano a metà

Abdul Rahaman è in Italia. L’afghano convertito al cristianesimo che, a causa della sua nuova fede, era stato condannato a morte nel suo paese, ha ottenuto a tempo di record l’asilo politico nel nostro paese.

In questi giorni si è dibattuto molto su di lui. Ha stupito pensare che un paese come l’Afghanistan, che non più tardi di quattro anni fa veniva “liberato” dalle truppe americane ed europee, possa avere un codice penale che contempla la pena di morte per chi lascia l’islamismo. Ci sarebbe da chiedersi cosa sia cambiato, allora, rispetto alla legislazione degli integralisti taliban, che tanto si è fatto per spodestare, ma forse il discorso porterebbe troppo lontano, mettendo in dubbio – con il senno di poi – l’utilità dell’intervento armato.

Un paese ora democratico che condanna a morte per motivi d’opinione è un caso quantomeno singolare, e singolare è stata la reazione del mondo. In Afghanistan infatti i cristiani subiscono da anni maltrattamenti e privazioni a causa della loro fede; Rahman è stato un caso limite, che ha avuto la possibilità di portare la questione agli occhi del mondo. Peccato che, espatriato Rahaman, si rischi ora di dimenticarsi di nuovo di questa persecuzione latente nell’Afghanistan liberato.

Comunque è una buona notizia, questo va detto. Rahaman è ora a Roma, in salvo. Il presidente del consiglio e il ministro degli esteri si sono spesi per riuscire a ottenere questo risultato, e va dato merito di un’azione importante. Non si tratta solo di aver salvato una vita umana. Nel nostro piccolo non possiamo non rilevare con soddisfazione che probabilmente è la prima volta in cui l’Italia si impegna in prima persona per salvare un cristiano di fede evangelica.

Certo, la sua posizione è scomoda: i giornali a volte tentano comunque di accreditare la sua appartenenza cattolica, ma senza troppa convinzione; per questo la sua fede viene vista quasi con imbarazzo e si sorvola su quell’aggettivo, evangelico, che invece è importante.
Importante non tanto per il nome o per un vano orgoglio: sapere che Rahaman è cristiano pur non essendo cattolico potrebbe aiutare gli italiani a capire che gli evangelici non sono “alieni”, gente strana, sette da evitare.

Se si fosse approfondito, come talvolta accade per altri temi, si sarebbe scoperto che ci sono missionari evangelici in giro per il mondo che non fanno proseliti ma aiutano la gente, e proprio attraverso il loro aiuto pratico verso persone che non conoscono e verso cui non hanno obblighi, sollevano delle domande in chi viene aiutato. Rahaman è entrato in contatto con la fede così: con una fede genuina, spontanea, altruista. Una fede di amore. E questa fede lo ha toccato, fino a portarlo a Dio. Senza santi, senza riti, senza formalismi: solo cristianesimo.

Chissà se ora gli capiterà di essere ancora al centro dell’attenzione. Chissà se gli capiterà di parlare ai giornali, o in qualche programma televisivo. Chissà se in queste occasioni avrà occasione di manifestare questa sua fede senza che il giornalista o conduttore di turno filtri le sue parole attraverso un cattolicesimo di maniera che non conosce concetti diversi da “messe”, “preti”, “cattolici”.

E chissà se frequenterà una chiesa. Chissà come si troverà. Chissà se riusciremo a non scandalizzarlo con i nostri eccessi di chiusura e di apertura.

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Il rumore del silenzio

Un film celebra la vita di una comunità monastica tedesca: 240 minuti di pellicola e solo cinque minuti di parole. Un etologo statunitense gira il mondo cercando il silenzio perfetto, senza rumori artificiali, oasi ormai più uniche che rare. Due notizie, recenti, che danno il segno di come il silenzio stia tornando… ad avere voce in una società chiassosa come la nostra.

Di solito sono le parole a essere considerate come un valore: con la parola posso dire, fare, e alla peggio distruggere. La lingua, si sa – e lo dice anche la Bibbia – è un’arma pericolosa.

Se però la parola è un valore, il silenzio è un valore aggiunto. Non è una boutade: in una società che, lo diciamo spesso, eccede nella comunicazione, dove le notizie sono tante e discordanti, dove ogni campana suona per conto suo e non c’è nessuno che si preoccupi di fare il punto, ogni tanto… in un contesto rumoroso e schizofrenico come questo, il silenzio assume davvero un valore. Il silenzio come assenza di parola, o come completamento della parola: dopo aver parlato, dopo aver ascoltato, è necessario fermarsi un momento a ragionare. Altrimenti si rischia di perdere anche quel che si è detto, e automaticamente si è costretti a moltiplicare le parole.

Il silenzio come momento di serenità: lontani dalle sollecitazioni, dagli stimoli, dagli spunti – che pure nella vita sono essenziali, sia chiaro -, il silenzio diventa un’oasi di pace.
Non a caso è la condizione migliore per meditare, pensare, e anche riposare.

Ma c’è anche il silenzio come confronto con se stessi: la musica, le parole, i rumori sono un’ubriacatura che ci permette di rimandare il confronto con noi stessi. Nel rumore, nell’iperattività evitiamo di fare il punto della situazione, sulla nostra vita, sulla nostra spiirtualità. NOn è un caso che molti, appena arrivano a casa dopo una stressante giornata di lavoro, accendano la radio: il silenzio è mal sopportato, perché soffoca, perché urla. Perché ci mette a nudo e ci chiede di pensare.

Proprio per questo il silenzio è salutare.

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Quando la Bibbia vince il Festival

Oltre sessanta avvenimenti, decine di sedi, più di cento ospiti: questi i numeri della seconda edizione del Festival biblico che si terrà a Vicenza dal 31 maggio al 3 giugno.
Spiega un articolo di estense.com: «Riflettere, ascoltare e discutere sulla Bibbia, codice simbolico nel quale tutti affondiamo comuni radici. La cifra che caratterizza questo Festival è la “Immersione”, ovvero la voglia di una esperienza non solo intellettuale ma globale, interpellante sensi e cuore, emozione e meditazione; offerta all’ascolto e alla vista, al tatto e al gusto, costituita quindi di parole e colori, silenzi e profumi, musiche e visioni. Il tema di quest’anno è “I luoghi delle Scritture”… Le singole sezioni del Festival verranno ancora una volta ritmate sul coinvolgimento sensibile e coinvolgente vissuto nella prima edizione: parolacheparla, parolatralemani, paroladavedere, gustarelaparola, profumodiparola. Attraverso conferenze e spettacoli, mostre e meditazioni, giochi e laboratori, danze e musiche… si proporrà una rivisitazione dei luoghi biblici, quali luoghi non semplicemente di una terra ma dell’anima, singolari per concretezza e universali per significatività. I protagonisti del Festival? Biblisti, scrittori, artisti, filosofi… l’autentico protagonista è il pubblico, che oltre a seguire i percorsi indicati nei differenti giorni del Festival articolerà un proprio personale percorso, a partire da curiosità, propensioni, interrogativi».

Un festival dedicato alla Bibbia? Idea banale e geniale allo stesso tempo. Da ormai sette anni la nostra emittente manda in onda un programma, Il libro più letto, dedicato proprio alla Bibbia: un programma che, per cinque giorni alla settimana, accompagna gli ascoltatori nella comprensione del libro, appunto, più letto della storia. Ogni giorno riceviamo telefonate e mail di persone interessate ad approfondire la conoscenza del testo, che sarà antico, ma a quanto pare viene percepito – non solo da noi – come molto attuale.

Quindi, ben vengano mostre sulla Bibbia (in questi giorni, tra l’altro, a Città di Castello ce n’è una), conferenze, letture pubbliche, letture comunitarie, incontri al caffè (come avviene a cura del GBU di Napoli) e – perché no? – un festival dedicato alla Bibbia, chiunque lo organizzi, se questo potrà servire a stimolare l’attenzione per il testo biblico. L’interesse c’è, e sarebbe sciocco da parte nostra non sfruttarlo.

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Padre al padre, vino al vino

I bambini del 2006 hanno le idee chiare: da una ricerca effettuata in occasione della festa del papà è emerso che desiderano un padre “gallo” e non “chioccia”, che non travalichi le proprie competenze, mantenendo una diversità e complementarietà con la madre, evitando una confusione di ruoli.

Certo che la vita è strana. È un momento storico in cui tutto viene rimesso in discussione. Pi che di famiglia, ormai si parla di famiglie: all’ordine del giorno troviamo il riconoscimento delle coppie omosessuali, su cui si scontrano quasi quotidianamente destra e sinistra, cristiani e laici. Vari Paesi già ammettono legalmente questo nuovo tipo di famiglia, e la prossima frontiera, stando a un articolo uscito oggi sui giornali, è la legalizzazione dell’incesto, in seguito al caso – raro, va detto – di due fratelli che non si erano mai conosciuti, e che si sono incontrati come due perfetti estranei dopo vent’anni.
E poi, anche nella famiglia “ordinaria”, sono fluide, per dirla in maniera elegante: mamme che lavorano, papà che lavorano, figli da soli. Nei giorni scorsi guardavo un interessante film che mi ha fatto riflettere. Una neo mamma contesta l’idea di prendere una baby sitter, affermando: “non mi piace l’idea di far crescere mio figlio con un’altra persona, che a sua volta per lavorare deve lasciare suo figlio ad altri”. D’altronde per molti la carriera è un richiamo insopprimibile, e il problema si pone.
In questo baillamme, dove i luminari si scontrano nell’interpretazione delle nuove dinamiche familiari e sociali, sono i bambini a darci un’indicazione illuminante. E cosa ci dicono? Ci dicono che vogliono un papà che faccia il papà, e una mamma che faccia la mamma. Se ne fregano di quel che dicono e scrivono i sociologi, gli psicologi, i politici, i sostenitori delle pari opportunità: vogliono una famiglia “normale”, nel senso più antico, tradizionale, banale, scontato del termine. Sono insensibili ai richiami del progresso, alle evoluzioni politiche, alle contorsioni e ai distinguo dei benpensanti. Vogliono una famiglia. Mamma e papà: non si pongono il problema se potrebbe andar meglio con altre formule. E, in questo contesto terribilmente conservatore (meno male che qualcuno diceva “i bambini sono di sinistra”!) vogliono qualcosa di ancora più banale: una mamma che sia mamma, complice, accomodante, capace di mettere una buona parola con il papà quando qualcosa non va. Una mamma che stia con loro, non una mamma manager. E un papà che sia capace di fare il papà, che dia sicurezza ed esempi, un eroe (almeno fino a quando non crescono). Questa è la famiglia che i bambini del 2006 vorrebbero. Sono nati tutti, evidentemente, nell’ultimo decennio del Novecento. Ma tutto quel che è successo non li ha impressionati: i bambini del 2006 non vogliono una famiglia moderna, piena di effetti speciali, aperta a tutte le prospettive. Vogliono solo una famiglia.

Tra i libri più letti

Ne ha parlato il Corriere nei giorni scorsi: la Online Computer Library Center ha stilato la lista dei libri presi in prestito più di frequente dai lettori di tutto il mondo.

Si tratta di «un’aggiornata lista dei mille libri più richiesti alle biblioteche. La lunga serie di onorati nomi si può sfogliare un po’ per scoprire quante delle letture più popolari si conoscono, e un po’ per avere un’idea di quale sia il sapere più diffuso e più radicato nella cultura di oggi. La OCLC – Online Computer Library Center, associazione non profit diffusa in 96 paesi in giro per il mondo – ha reso appunto noti i mille libri più letti nel 2005, esemplificativi dell’andamento della cultura del nostro tempo, dei gusti più diffusi e anche di quali siano i pretendenti al rango dei nuovi classici».

In quarta posizione brilla l’italianità della Divina Commedia di Dante Alighieri; curioso che al secondo posto ci sia il libro del censo statunitense: non sarà che gli americani sono più interessati a ciò che hai, rispetto a ciò che fai? Fra i primi dieci figurano molti classici: Iliade, Odissea, Amleto e Don Chisciotte della Mancia; tra le new entry, libri come Il Signore degli Anelli, che dimostra comunque un’attenzione per il soprannaturale.
Simpatica la sedicesima posizione di Garfield e la sessantanovesima dei Peanuts, che comunque – lo sapranno coloro che hanno letto un libro come “Il vangelo secondo Charlie Brown”, edito in Italia da Gribaudi – ha una profonda morale.
Meno interesse, invece, per classici ottocenteschi, opere greche e latine, lavori filosofici.

E al primo posto? La Bibbia, che si conferma in testa anche a questa classifica.

Insomma, il libro più letto – per riprendere il titolo del noto programma radiofonico – resta la Bibbia. Non solo tra i libri venduti e letti: anche per quanto riguarda i prestiti. La questione è interessante: nonostante in tutto il mondo ci siano realtà che si occupano di distribuire grauitamente letteratura biblica (come i Gedeoni), nonostante nelle chiese normalmente le copie della Bibbia girino tra coloro che frequentano gli incontri, nonostante l’acquisto ha un costo relativo e accessibile a tutti… nonostante tutto questo, la Bibbia viene anche presa in prestito. È sintomo di un interesse a tutto campo: ci sono ancora persone che passano in biblioteca e, per interesse, curiosità, passione, prendono in mano una copia della Bibbia e se la portano a casa. Per poi riportarla e lasciarla consultare ad altri. Questo dovrebbe anche farci riflettere: la biblioteca della nostra città o del nostro quartiere (se esiste) hanno la Bibbia? Io, nelle biblioteche che ho visitato, non ne ho trovate molte, specie in una traduzione buona. Non sarebbe male considerare l’idea di donarne qualcuna, ovviamente attraverso i canali opportuni: con il vantaggio ulteriore di dare la conferma che la chiesa evangelica del posto si interessa alla vita culturale della propria città.

Tornando alla Bibbia: ogni cristiano la legge, in teoria quotidianamente. E, se continua a leggerla per tutta la vita, evidentemente ci trova qualcosa di speciale, dentro. Però, al di là delle banalità e dei luoghi comuni, sarebbe interessante scoprire cosa troviamo, di interessante, nella Bibbia. Cosa ci spinge a tenerla sempre a portata di mano. Domanda banale? Non tanto, perché la risposta spesso è fin troppo religiosa.

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Analisi, commenti e riflessioni sui temi del momento nel programma musica&parole: dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 11 sulle frequenze di crc.fm.

Tra ventiquattr’ore…

Domani di nuovo insieme!

Nel frattempo vi preannuncio che è un buon periodo per le uscite editoriali, e che quindi le prossime settimane avremo un bel po’ di libri da presentare.

Tra ventiquattr'ore…

Domani di nuovo insieme!

Nel frattempo vi preannuncio che è un buon periodo per le uscite editoriali, e che quindi le prossime settimane avremo un bel po’ di libri da presentare.

Persecuzioni e riflessioni

Ancora fuori onda… nel frattempo ringrazio Daniele per avermi segnalato il link http://www.repubblica.it/2006/c/sezioni/esteri/afgaconda/afgaconda/afgaconda.html, dove chi ancora non fosse aggiornato può trovare informazioni relative alla triste storia del cristiano afghano che rischia la vita per la sua conversione. E’ utile, ogni tanto, ricordare a noi stessi di come non tutti stiano bene quanto noi. E, di conseguenza, ringraziare Dio per la libertà di cui godiamo e che non sempre sappiamo sfruttare al meglio per raccontare a chi ci circonda il messaggio di speranza del Vangelo.

Assenze programmate…

Per chi non fosse in collegamento ieri: da oggi a giovedì Musica&Parole non andrà in onda per un’assenza che non ho potuto rimandare. Torneremo insieme venerdì mattina… vi aspetto!