Archivio mensile:aprile 2006

Responsabilità deselezionate

La famiglia resta un valore assoluto e la struttura sociale resta viva in Italia, anche se cambia l’istituzione tradizionale. Secondo i dati Istat, dal 2002 al 2006 i matrimoni calano mentre le coppie conviventi sono più che raddoppiate (oggi sono più di un milione).

A quanto pare, quindi, la famiglia cambia ma resiste. La famiglia resiste, in una società sempre più disorganizzata, informale e vorticosa, come recinto di protezione capace di dare una sicurezza al singolo.
Potrebbe essere un dato letto in positivo o in negativo, dipende da come lo si affronta. Da un lato, non si può non evidenziare con soddisfazione come di un istituto biblico (divino, per chi crede) come la famiglia non si riesca proprio a fare a meno: in una forma o nell’altra resta sempre al centro della società. Dall’altro lato, è evidente che la deregulation affettiva ha portato a situazioni incerte, ibride, difficilmente catalogabili, per quanto in molti casi stabili come matrimoni.

Non sono pochi a optare per la convivenza al posto del matrimonio a causa dei costi eccessivi che la pressione sociale impone alla cerimonia nuziale, e paradossalmente è proprio la società su base familiare ad aver codificato il matrimonio come momento eccessivamente fastoso.
La maggioranza di coloro che optano per la convivenza lo fa per altre, meno alte convenienze: dribblare quelle responsabilità cui siamo tutti sempre più allergici. Prendere i diritti senza accollarsi i doveri, finché dura. Stupisce, in questo contesto, che si chieda di dare garanzie: come affermava l’allora sindaco di Trieste (oggi presidente del Friuli Venezia Giulia) Riccardo Illy, la tutela per la coppia esiste già, ed è il matrimonio. Costa poco (un paio di carte da bollo), e finora si è dimostrato efficace, per quanto passibile di miglioramenti. Cercare istituzioni mediane suona come un alibi di chi, nell’era delle “opzioni”, pensa che anche tra le responsabilità si possa scegliere le preferite e deselezionare le altre.

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Fede in autostrada

Ieri abbiamo parlato di chiese che in Germania chiudono, si accorpano, edifici di culto che vengono venduti. Oggi leggiamo questa notizia, apparentemente in contraddizione: i tedeschi frequentano le “chiese dell’autostrada”, e nel 2005 quasi un milione di tedeschi ha visitato le trenta chiese sparse lungo la rete autostradale.

Eppure un nesso c’è. Nella vita di tutti i giorni non abbiamo tempo; in viaggio verso le vacanze spesso ne abbiamo. In città ci sentiamo forti, in viaggio ci sentiamo deboli e vulnerabili. Frequentare una chiesa dove viviamo comporta un impegno, perché la vita cristiana non si limita al culto della domenica; nella chiesa autostradale siamo di passaggio, senza obblighi.

Pro e contro, facce della stessa medaglia. Non saprei dire se sono più i pro o i contro. Speriamo almeno non sfoci nella superstizione. Speriamo che la visita a queste chiese autostradali sia frutto di un desiderio sincero di avvicinarsi a Dio, da parte di un viaggiatore che sente l’esigenza genuina di farlo. Se è così, ben vengano le chiese autostradali. In fondo anche l’apostolo Paolo è stato folgorato sulla via di Damasco.

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Una seconda vita per le chiese

In Germania le chiese cristiane (cattolica e protestante) vendono gli edifici di culto, dato che non ci sono più abbastanza credenti da giustificare il loro mantenimento. Un milione e duecentomila evangelici (nominali), trecentonovemila cattolici non bastano, e le chiesette diventano case unifamiliari per tedeschi con molta creatività.

Un problema opposto rispetto all’Italia, verrebbe da pensare, dove molte chiese evangeliche patiscono l’assenza di una sala di culto dignitosa per riunirsi, e devono barcamenarsi tra affitti, prestiti, disagi di ogni genere – compresi i vicini rissosi o poco tolleranti -.

Però in realtà la situazione non è proprio questa. O meglio: vero che le chiese evangeliche spesso non hanno una sede consona. Ma ci sono, anche nelle nostre città, decine di edifici di altre confessioni, che risultano inutilizzati o sottoutilizzati. Le parrocchie non vengono accorpate, come sarebbe logico vista la disaffezione; ma forse non lo si fa proprio perché non si vuole rischiare di trovarsi nella condizione di poter vendere un edificio di culto. In Germania, evidentemente, cattolici (e protestanti, dato che è la realtà religiosa maggioritaria) sono più realisti: se non serve, vendiamo e usiamo i soldi in altra maniera. In Italia no: vincoli, prelazioni, cavilli di ogni genere pongono ostacoli a un riutilizzo degli edifici cattolici. Intendiamoci: non è per niente scontato che gli evangelici accetterebbero di riattare una chiesa cattolica per il loro culto, anzi.

Però, per ora, il problema non si pone: e troviamo decine di chiese cattoliche che vedono entrare poche manciate di fedeli alla settimana, e decine di comunità evangeliche con il problema di trovare una sede.

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Cristiani in crescita, serpenti, antifurti

Puntata “ponte”, e quindi un po’ speciale… oggi abbiamo parlato di:

Cristiani in crescita: pare che il tasso di crescita dei musulmani non sia più alto di quello dei cristiani, come da proiezioni degli ultimi anni. Interessanti l’identikit del nuovo cristiano: la fede cresce nel sud del mondo, cala in Europa. Un terzo della popolazione mondiale risulta cristiana (almeno dalle statistiche: si sa, poi, che il concetto di “cristiano” è molto vago, per i più), mentre 15 milioni di cristiani preferiscono occultare la propria fede. Comprensibile nei paesi dove è in atto una persecuzione, meno in luoghi dove l’espressione confessionale è libera. Anche perché mette in dubbio la comprensione stessa del proprio essere cristiani.

Serpenti con le zampe: da un ritrovamento in sudamerica pare che 65 milioni di anni fa i serpenti fossero sulla terra, e avessero le zampe. Agli evaoluzionisti ogni ritrovamento che possa confermare la loro teoria basta per esultare (e riempire i giornali), noi ci limitiamo più serenamente a segnalare che, se la scoperta verrà confermata, verrebbe rimessa in discussione l’origine marina dei serpenti stessi, e magari verrebbe fugato qualche dubbio da scuola domenicale su cosa potesse significare la maledizione lanciata nell’Eden contro il serpente, “striscerai sul tuo ventre”.

Antifurti, vigili a pagamento: se l’antifurto è collegato alla centrale della polizia perché temete un’intrusione, sappiate che l’intervento dei vigili ora è a pagamento. Merito (o colpa) di un recente articolo di legge. Da un lato vediamo che i soldi si risparmiano sempre con saggezza: non è stato intaccato il contributo ai giornali di partito (come riferiva Report, su RaiTre, ieri sera), mentre il pronto soccorso è ormai soggetto a ticket, tranne casi estremi. Dall’altro notiamo che forse finalmente suonerà qualche allarme in meno. Con maggiore serenità, se non dei proprietari, quantomeno dei vicini.

Musica&parole torna in onda mercoledì alle 10, dopo la pausa del 25 aprile

Lettura, passione contagiosa

Domenica 23 aprile, giornata mondiale del libro. Tra le città che propongono iniziative, un mega-bookcrossing a Milano, riproponendo una moda americana che in Italia non ha ancora preso molto piede.

L’idea però è interessante; non so quanti amici di Milano parteciperanno, ma sicuramente l’appuntamento attirerà un bel po’ di persone. Il bookcrossing in Italia non ha ancora attecchito, complice anche il fatto che in Italia si legge poco (la maggior parte degli italiani legge meno di un libro all’anno), e credo che gli evangelici leggano ancora meno.
Chi non legge, di solito lo fa perché non ha tempo, o perché non ha la passione. Sul primo elemento, non possiamo dare consigli utili: siamo i primi a dover recuperare i ritagli per dedicarci alla lettura. Ma sulla passione, qualcosa si può dire. Leggere è più appassionante del guardare un film, attraverso la lettura di un buon libro i personaggi e i fatti si stagliano nitidi, entrano nel nostro immaginario, diventano “amici”. Chi legge, lo sa; chi non è abituato a farlo potrebbe cominciare a ritagliarsi qualche spazio qua e là. Vedrete che non smetterete più.

Tornando al tema, anche l’idea di scambiarsi consigli sulla lettura e idee può aiutare ad aumentare il numero dei lettori, più di recensioni e pubblicità. Pochi entrano nelle librerie se non per bighellonare, ma se un libro lo consiglia un amico probabilmente sarà un incoraggiamento a leggerlo, una sorta di “garanzia di qualità”.

Molti hanno scoperto così i loro autori preferiti, o volumi che altrimenti non avrebbero mai incrociato. Anche trovare un libro per strada, come succede con il bookcrossing, può essere motivante. Non sarebbe male entrare in questo circuito e far entrare “in circolo” dei volumi che girano anche qualche titolo cristiano che possa essere utile a chi non ha mai dato peso alle tematiche di fede. Alcuni volumi sono particolarmente adatti a questo scopo, altri meno; sta a noi scegliere, valutare, ed eventualmente “passare parola” (anzi, “volume”).

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La battaglia continua

Interessante sondaggio, quello dell’Istituto superiore per la sanità. Alcuni aspetti sono già stati analizzati da numerose ricerche, e non danno nessun contributo nuovo a quel che sappiamo già: per esempio il fatto che il fumo faccia male (anche se non viene mai ripetuto mai troppo spesso), o il fatto che la pubblicità, diretta o indiretta, sia uno dei fattori che spinge a cominciare: può essere l’esempio di un personaggio famoso, di un programma tv o degli amici.

L’aspetto interessante – e preoccupante – riguarda il fatto che il 30% delle fumatrici non abbandona la sigaretta nemmeno in gravidanza: semmai riduce la “dose”. Non è questione di ignoranza: come si diceva, ormai lo sanno tutti quanto il fumo faccia male. E non è nemmeno questione di scarsa cultura, cui molti danno tutte le colpe per i mali del mondo: scopriamo che fumano di più le laureate rispetto a coloro che hanno fatto studi elementari.

E allora? Allora il problema sta in un sentimento radicato, e che purtroppo è difficile da eliminare: l’egoismo. Io fumo, io sto bene, io non smetto. Il mio commensale soffre? Peggio per lui. I vicini si lamentano per la puzza in ascensore? Si arrangino. Il mio compagno si lamenta perché ho l’alito di tabacco? Faccia come vuole, io non cambio. Semmai, cambino gli altri intorno a me.
Certo, finché si tratta di adulti, è un conto: l’egoismo sfocia nella maleducazione, ma l’adulto può difendersi: a mali estremi, estremi rimedi, se si ritiene di farlo.

Ma, come sappiamo, quando le questioni riguardano i bambini, ci facciamo tutti più sensibili: per questo scoprire che una mamma su tre in gravidanza non smette, ci turba di più rispetto all’amico (chiamalo amico…) che ci fuma in faccia nonostante la nostra avversione. Non solo manca il rispetto per il nascituro, ma anche un minimo di lungimiranza sui possibili danni che il nostro comportamento gli provocherà. Ovviamente lo stesso discorso vale per i padri, o per le madri che vediamo spingere una carrozzina lasciando una scia di fumo, incuranti della salute del piccolo (e dell’esempio).

Brutta storia, l’egoismo. Questo è un caso eclatante, ma ci cadiamo tutti, in misura maggiore o minore. E, al di là di miti e ideali, è proprio contro l’egoismo la battaglia più difficile che ci troviamo a combattere, ogni giorno. Specie un cristiano, che trova un conflitto di interessi tra egoismo e scelta di seguire Dio. Non si può amare Dio senza amare chi ci sta vicino, e l’egoismo è il primo ostacolo. Facciamo mente locale. Se l’elenco di cosa abbiamo abbandonato per amore (degli altri e di Dio) non è lungo come ci aspetteremmo, forse è il caso di cominciare a pensarci.

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Impegni e passioni

Un forum intero dedicato ai Simpson, i simpatici personaggi dei disegni animati che ormai da un decennio impazzano anche in Italia conquistando fan tra grandi e piccini, lancia una proposta: trascrivere battuta per battuta tutte le puntate di tutte le serie del programma andate in onda fino a oggi. Un lavoro gratuito che, se non fosse mosso dalla passione per la famiglia di omini gialli, si potrebbe definire da ergastolani.

Ognuno di noi ha i suoi hobby e le sue passioni. C’è chi ama le moto e chi i francobolli, chi si appassiona alle chat e chi a un programma televisivo. A volte le passioni rischiano di debordare e trasformarsi in vere manie: il limite sta nel “culto”, nell’ammirazione e adorazione sconfinata che abbiamo per l’oggetto della nostra passione. Quando diventa un pensiero fisso, quando in ogni nostro riferimento anche fuori contesto non manca quell’oggetto, quando qualsiasi cosa contribuisce a riportarci alla mente ciò che amiamo, be’, forse è il caso di fermarsi a riflettere.

I Simpson sono l’ultimo caso di passione trasversale, trans-generazionale, internazionale. Prima di loro c’era, e c’è ancora, Star Trek, capace di calamitare tanta attenzione.

Solo un programma piacevole? Date un’occhiata ai dati Auditel dei Simpson: in Italia sono in tantissimi a seguire ogni giorno le loro vicende, c’è chi registra tutte le puntate, chi colleziona oggetti griffati con le facce della famiglia gialla di Springfield. Mettersi a disposizione della propria passione è una conseguenza logica, quasi inevitabile, se la passione è vera: anche per dimostrare, inconsciamente o no, che “si fa sul serio” nei confronti di ciò che si ama. Per questo non deve stupire che ci siano persone (supponiamo centinaia, ma forse di più) che, oltre a incontrarsi in chat e forum (o dal vivo) per parlare della propria passione con altri appassionati, decidono di mettersi a disposizione per un progetto come quello di cui si parlava.

Niente di male, ovviamente, fino a quando non diventa qualcosa di essenziale; fino a quando, direbbero i sociologi, non diventa una “dipendenza”.

Allo stesso tempo, pur non volendo fare gli iperspirituali – siamo esseri umani, per quanto cristiani: la passione fa parte delle nostre caratteristiche, e sta a noi trovare i giusti limiti -, non possiamo non fare una riflessione. Avere una passione è utile, interessante, arricchisce a volte anche sul piano culturale o fisico. Ma se, come cristiani, la nostra passione principale non è Dio, qualcosa non funziona. Mettersi al servizio di progetti carini ma effimeri come quello di cui parlavamo, o altri, presuppone un interesse marcato per questo tipo di progetto. Che non è sbagliato, ma altrettanto – e maggiore – interesse dovrebbe muoverci nei confronti del Grande mandato. Sempre che quella per Dio sia la nostra prima passione, e non solo un interesse passeggero.

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Tra sogno e realtà

Sul sito dello IULM, l’università milanese di lingue e comunicazione, c’è una rubrica dedicata ai sogni degli studenti: si chiama “I have a dream”, e permette a tutti di inserire sogni e aspirazioni. Da settembre, segnala un articolo del Corriere, è stato utilizzato da appena nove studenti. I giovani hanno perso il desiderio, la capacità di sognare?

Sognare è un privilegio. Non parliamo tanto dei sogni che affollano le nostre notti, o magari – a occhi aperti – le lezioni più noiose cui assistiamo: parliamo di aspirazioni, desideri, scopi.
Ci sono i sogni da bambini: di solito irrealizzabili, che nascono dalla pura fantasia e dall’incoscienza: l’astronauta, l’acrobata da circo, la ballerina classica. Sono frutto di una velleità che passerà presto, di fronte alla consapevolezza della sfida e dalle scelte di vita richieste da questi impegni.

C’è il sogno maturo ma irraggiungibile, quello che potremo solo accarezzare: fare il direttore d’orchestra, guidare in formula uno, giocare in serie A. Presto ci accorgiamo di quanto questi sogni costino, di quanti sacrifici richiedano, e lasciamo stare per adattarci a qualcosa di più normale. Tranne certi, che continuano a tutti i costi a perseguire il loro obiettivo, diventato qualcosa di più di un sogno.

Ci sono i sogni globali: sognare la pace, la giustizia, un mondo migliore, una società onesta. Sogni corretti, ma destinati a venir temperati dal confronto con la realtà, o a diventare ideologie che ci fanno vivere fuori dal mondo.

Ci sono i sogni verosimili, o ragionevoli: la famiglia, una vita serena.

Sognare non è sbagliato, in nessuno di questi modi. Il punto è non perdersi dietro ai sogni. Il sogno può dare coraggio, stimolo, motivazione; può essere un punto di riferimento; può dare la “carica” per non perdersi. Ma allo stesso tempo non dobbiamo perdere di vista la realtà. La nostra esistenza deve essere un po’ come per l’orizzonte: il punto di incontro tra il cielo del sogno e il mare della vita quotidiana.

Una via cristiana alla neurobica

L’intelligenza aumenta fino al 40% se ogni giorno impostiamo nella nostra routine almeno due piccole novità. Uscire dall’abitudine pare che faccia bene al cervello, perché la neurobica (l’allenamento del cervello) attiva le sinapsi e fa aumentare la massa cerebrale.

Lo dicono i risultati di chi si è sottoposto all’esperimento, nell’ambito di un reality della BBC: cambiare fa bene. A quanto pare, se il nostro animo tende alla tranquillità e all’assopimento, il nostro cervello è invece un vulcano in piena attività, e non ci sta a spegnersi. Certo, con un po’ di impegno (impegno “al contrario”, ossia disimpegno) si può anche fargli perdere smalto: non pensare, restare sempre nelle stesse regole (quelle che ci siamo imposti, non quelle frutto di un risultato di buonsenso) porta il cervello a perdere elasticità.
Saper guardare le cose da un nuovo punto di vista, stupirsi, incuriosirsi, saper cambiare per vedere oltre sono invece caratteristiche che ci portano a “rendere” di più.

Succede, alla fin fine, anche nella nostra vita di fede. E anche la vita di fede potrebbe trarre beneficio dai consigli che ci permettono di potenziare il nostro cervello. Magari personalizzandoli un po’. Proviamo a darne uno per ogni giorno della settimana.

Primo giorno. Se è vero che tutti i cristiani coerenti leggono con regolarità e frequenza la Bibbia, che è la fonte di ispirazione per chi ha deciso di vivere un rapporto personale con Dio, è altrettanto vero che non sempre la leggono senza filtri. Quindi il proponimento per il primo giorno è di leggere la Bibbia ogni volta come se fosse la prima, e ogni volta riflettendo sui vari possibili significati del testo, ma anche sulle possibili applicazioni pratiche del passaggio in quel momento specifico della propria vita.

Secondo giorno. Vivere la vita comunitaria senza schemi troppo rigidi, interagendo con le varie persone, tentando di conoscerle meglio, e non limitandosi a parlare con le solite persone. Magari cambiare posto, ogni tanto, in chiesa. E se siamo musicisti, cambiare l’arrangiamento ai brani: magari scopriremo sfumature diverse, che potranno valorizzare il testo.

Terzo giorno. Cambiare modo di parlare. Fare caso ai modi di dire comuni, ed evitarli. Tentare di farci capire anche a chi non è del nostro “giro”. Se un esperto di computer vi parlasse di software, trojan, router, probabilmente restereste perplessi. Così anche per chi non frequenta il nostro ambiente e sente usare in modo particolare termini come “non credente”, “mondo”, “sangue di Gesù”. Proviamo a usare altri vocaboli e modi di dire.

Quarto giorno. Dare retta agli altri. Prendere in considerazione il loro punto di vista, le loro osservazioni, anche le critiche. Magari non saranno azzeccate, ma ci permetteranno di allargare la nostra prospettiva.

Quinto giorno. Cambiare… arredamento ai nostri culti. Provare a invertire i fattori, il risultato non cambia. Sicuramente il culto, come viene proposto oggi, è frutto di un certo percorso liturgico, ed è fondamentalmente buono. Ma “buono” non sempre corrisponde a “migliore”, e lo scopo del cristiano è quello di crescere sempre.

Sesto giorno. Cambiare struttura alle nostre preghiere. Non facciamoci riconoscere, siamo creativi. Lodiamo Dio con forme e parole nuove. Sempre con rispetto e timore, ma senza usare i soliti termini che usiamo nella lode. Per i personaggi famosi di cui siamo estimatori siamo capaci di inventare gli slogan più vivaci ed efficaci, perché per Dio no?

Settimo giorno. Dire a Dio che lo amiamo, e dimostrarlo nel concreto. Ma davvero, stavolta: dando da mangiare agli affamati, immedesimandoci in chi soffre, invitando chi si sente solo.

Chissà, forse cambiando abitudini non diventeremo più intelligenti. Ma cristiani più coerenti, quello sì.

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Belli dove?

Carmen Electra – bella, ricca, famosa, icona di quello star system che tante e tanti invidiano – invita le giovanissime a non imitarla: siamo finte.

Si può leggere la notizia in due modi. Il primo, sul filo dell’ironia: detto da lei, che deve quasi tutto agli interventi di restauro, è poco autorevole. Un po’ come se Berlusconi o Prodi ci dicessero: non entrate in politica, o se Del Piero, Totti, Vieri ci dicessero: in fondo il successo, fama, belle macchine, veline, locali alla moda non è questa gran cosa.

Ma si può leggere la notizia anche come una delle poche cose non artefatte che la signora Electra è stata capace di esprimere in questi ultimi anni. Una specie di dispiacere fuori tempo massimo, senza effetti retroattivi e senza pentimento, beninteso, che la porta a evitare alle “sorelle minori” i suoi stessi errori.

Il problema c’è, e non è da poco. In moltissime si lasciano andare all’imitazione di modelli inarrivabili, con forme da bambola che per un essere umano risultano quasi impossibili da raggiungere. Vedono i personaggi in tv, sui calendari, nei film, e nasce lo spirito di emulazione. Un’emulazione che porta a scelte anche gravi, capaci di trascinare in problemi più profondi (dall’anoressia alla bulimia, per citare i più visibili).

La domanda resta sempre la stessa: perché? Certo, per somigliare ai miti. Per continuare a sognare una vita di lustrini vissuta sul palcoscenico. Per sentirsi a posto con se stessi. Ed è proprio questo il punto: spesso se non si raggiungono gli standard (anche per i maschietti, ovviamente) ci si sente inadeguati. Guai ad andare sulla spiaggia senza poter esibire un fisico da rivista patinata.

La ricerca della perfezione fisica può essere una religione. Vedere la vecchiaia come un accidente da evitare, che porta infelicità. L’imperfezione diventa il male da evitare, la bellezza – da raggiungere a qualunque costo e nonostante qualsiasi rischio – è la felicità agognata, e non basta mai. Una corsa senza fine, ovviamente.
Una corsa che, è chiaro, è in contrasto con i principi cristiani. Siamo chiamati alla perfezione, ma non fisica.

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