Archivio mensile:agosto 2006
Giornali nel pallone
La notizia del giorno, sportivamente parlando, è il rifiuto del calciatore sudcoreano Lee Young Pyo al trasferimento dal Tottenham alla Roma. Il fuoriclasse, cristiano evangelico dal 2002 e attivo nel portare il vangelo ai suoi compagni di squadra (nella nazionale sudcoreana i cristiani nati di nuovo sono passati, dal 2002 al 2006, da 6 a 12), ha deciso di rinunciare a giocare in Italia dopo un’indicazione divina giunta in sogno ieri notte.
Varie, ovviamente, le reazioni da parte dei media italiani, perplessi di fronte alla scelta. Il Tempo gioca sull’ironia: «Dio ha suggerito a Pyo di non venire a Roma. Una barzelletta? Macchè, è l’insolita motivazione che ha portato il sudcoreano Lee Young Pyo a rifiutare la maglia giallorossa». Il sito sports.it parla di “curiosa motivazione”; goal.com, basandosi su quanto detto dall’emittente romana Rete Sport riporta che Lee «avrebbe rifiutato il trasferimento alla Roma per ispirazione divina. Il giocatore è estremamente devoto a Dio».
Curioso però che, in un paese dove tutti si dicono cristiani, faccia così scalpore sapere che qualcuno dà retta a Dio.
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Analisi, commenti e riflessioni sui temi del momento nel programma musica&parole: dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 11 sulle frequenze di crc.fm.
Chiese quotidiane
A New York un regista ha messo un annuncio per trovare una persona disposta a inventarsi una religione: stando a quanto riferisce il Giornale si sono presentati in trecento, ha vinto il premio in palio (cinquemila dollari, in cambio della possibilità di filmare la nascita di questa nuova setta) un tale che si ha creato un mix di dottrine orientali, chiamandolo “religione di ora”. Adesso la sta promuovendo, e in una società povera di spiritualità come quella attuale non è escluso che il fondatore sia abbastanza convincente da trovare adepti per questa sua dottrina “fai da te”.
Probabilmente il regista era alla ricerca di una storia paradossale, e ha avuto successo, pur con qualche fatica; paradossalmente, verrebbe da dire, la ricerca poteva essere più semplice: nella quotidianità cristiana invece si incontrano numerosi “nuovi profeti”, e l’apertura di chiese prosegue a ritmo settimanale. Quel che non tiene il ritmo è il numero dei nuovi convertiti, e questo fa supporre che non si tratti tanto di mandato divino, quanto di ego umano.
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Eritrea amara
Massimo Numa, un inviato della Stampa, parla con i reduci dall’ultima traversata di sventurati giunti a Lampedusa. Uno di questi, Milkias, «si sente “metà eritreo, metà italiano” e conosce bene la storia recente del suo Paese: “Siamo cristiani, della chiesa pentecostale, che è perseguitata. Ci arrestano e ci uccidono, non ci sono posti sicuri in Eritrea. E non c’è alternativa alla fuga in Occidente, per noi”».
Gli fa eco un compagno di sventura, Banchu: «Spero che la storia del salvataggio serva almeno a far conoscere il dramma dell’Eritrea, che mi sembra un po’ dimenticato dai media europei. Se ne parla raramente e intanto si continua a morire, giorno dopo giorno. Nel più perfetto silenzio».
I cristiani, in Eritrea, vengono arrestati e trattenuti in carcere o, peggio, in container lasciati sotto il sole, nella speranza di spezzare la loro fede. Chissà se, come cristiani, sentiremo finalmente il dovere morale di auspicare un’azione diplomatica che metta fine a questi abusi, o se vorremo limitarci a sospirare, pregare e dimenticare.
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L'(auto)strada per il cielo
“Controesodo con preghiera: in autogrill ci sono i Papaboys”, titola il Giornale oggi. «Ieri 25 ragazzi si sono sparpagliati nell’area di sosta Cantagallo – nel bolognese – con il compito di ricordare che “Dio esiste”». Un’idea delle Autostrade, che hanno invitato il gruppo di Desenzano: si tratta di una squadra già nota per l’impegno durante l’anno a tenere la chiesa aperta fino alle due di notte (a Riccione addirittura fino alle sette) per invitare i giovani alla riflessione e alla preghiera.
Quello seguito da questi ragazzi è sicuramente un progetto degno di nota. Aprire le chiese di notte, per consentire alle persone di pregare e trovare un consiglio: e soprattutto a quei giovani, della cui aridità spirituale tanto ci si lamenta senza poi impegnarsi davvero per capirli e raggiungerli con il messaggio di speranza dell’evangelo. E poi, non meno importante, questi ragazzi non si sono chiusi in chiesa ma hanno deciso di andare: perché l’evangelizzazione non è fermarsi in chiesa o sotto una tenda.
Andare per le piazze e le strade, ma anche – aggiornando – per le autostrade. La gente che torna dalle vacanze è tesa, nervosa, seccata. Sicuramente pochi sono in pace con Dio, ed è proprio in quelle situazioni che deve scattare il nostro impegno a diffondere il messaggio di riconciliazione tra uomo e Dio.
Bella l’idea delle magliette, “una luce nella notte anche sulla A4”, e dei volantini; inevitabile l’indifferenza di molti, succede in tutte le evangelizzazioni: chi ha fatto qualche volantinaggio lo sa. Però qualcuno avrà ascoltato. Qualcuno avrà letto. Qualcuno avrà riflettuto. E magari sarà ripartito da quell’autogrill con maggiore serenità. Un ritorno a casa – e alla nuova stagione di impegni – più sereno, magari con una nuova motivazione spirituale.
Ecco, questa è anche la nostra chiamata. Peccato che spesso, anziché distribuire pane fresco, ci impuntiamo a dare pane raffermo. Sempre pane è, sfama e salva: ma possiamo stupirci se abbiamo pochi riscontri?
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L'(auto)strada per il cielo
“Controesodo con preghiera: in autogrill ci sono i Papaboys”, titola il Giornale oggi. «Ieri 25 ragazzi si sono sparpagliati nell’area di sosta Cantagallo – nel bolognese – con il compito di ricordare che “Dio esiste”». Un’idea delle Autostrade, che hanno invitato il gruppo di Desenzano: si tratta di una squadra già nota per l’impegno durante l’anno a tenere la chiesa aperta fino alle due di notte (a Riccione addirittura fino alle sette) per invitare i giovani alla riflessione e alla preghiera.
Quello seguito da questi ragazzi è sicuramente un progetto degno di nota. Aprire le chiese di notte, per consentire alle persone di pregare e trovare un consiglio: e soprattutto a quei giovani, della cui aridità spirituale tanto ci si lamenta senza poi impegnarsi davvero per capirli e raggiungerli con il messaggio di speranza dell’evangelo. E poi, non meno importante, questi ragazzi non si sono chiusi in chiesa ma hanno deciso di andare: perché l’evangelizzazione non è fermarsi in chiesa o sotto una tenda.
Andare per le piazze e le strade, ma anche – aggiornando – per le autostrade. La gente che torna dalle vacanze è tesa, nervosa, seccata. Sicuramente pochi sono in pace con Dio, ed è proprio in quelle situazioni che deve scattare il nostro impegno a diffondere il messaggio di riconciliazione tra uomo e Dio.
Bella l’idea delle magliette, “una luce nella notte anche sulla A4”, e dei volantini; inevitabile l’indifferenza di molti, succede in tutte le evangelizzazioni: chi ha fatto qualche volantinaggio lo sa. Però qualcuno avrà ascoltato. Qualcuno avrà letto. Qualcuno avrà riflettuto. E magari sarà ripartito da quell’autogrill con maggiore serenità. Un ritorno a casa – e alla nuova stagione di impegni – più sereno, magari con una nuova motivazione spirituale.
Ecco, questa è anche la nostra chiamata. Peccato che spesso, anziché distribuire pane fresco, ci impuntiamo a dare pane raffermo. Sempre pane è, sfama e salva: ma possiamo stupirci se abbiamo pochi riscontri?
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Campioni del niente
Negli USA va di moda la grande abbuffata con veri campionati di ingurgitamento cibi. «Gareggiare è la determinazione di eccellere in qualcosa quando tutto il resto è fallito», commenta Panorama. Vero: l’uomo ha bisogno di uno scopo nella vita, e se non può eccellere in qualcosa di positivo, lo farà magari con qualcosa di negativo o di dannoso. Quando tutto è fallito siamo di fronte a un bivio: decidere noi, o lasciar decidere Lui.
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Tutto e subito
Medicalizzare: ogni disagio fisico è diventato una malattia, e va curato con una pastiglia: è questa la tendenza delle aziende farmaceutiche, che in mancanza di nuove malattie tentano di riqualificare i farmaci esistenti su nuove patologie, prevalentemente inesistenti.
Così nasce la pillola contro l’invecchiamento, o per dimagrire, o per il colon irascibile, o per le scarse prestazioni: tutte cose naturali, inevitabili o risolvibili in maniera naturale.
Ma la tendenza non è solo una questione medica, va più in là: è emblematica, perché rappresenta bene una società che si illude di trovare una soluzione immediata a tutto. Una pillola per qualsiasi problema, nessuna pazienza e nessun sacrificio. Purtroppo le cose non stanno così, e non possiamo forzare la natura (il metabolismo, ma anche l’ambiente, i rapporti sociali, la vita spirituale) senza il rischio di gravi controindicazioni. Che si avverano, purtroppo: le vediamo riportate, giorno dopo giorno, sulle pagine dei giornali.
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Coefficienti spirituali
Come si misura la felicità? Panorama riporta una meta-analisi di esperti di Leicester (Gran Bretagna), secondo i quali «ci sono tre fattori in base ai quali i popoli misurano la propria felicità: stato di salute, reddito e facilità di accesso all’istruzione». In base a questa classifica i più felici al mondo sono i danesi, gli svizzeri, gli austriaci, gli islandesi, gli abitanti delle Bahamas. Meno lieti gli statuintensi (23.mo posto), gli italiani (cinquantesimi). Ultimi gli abitanti del Burundi e i russi. Salute, soldi e cultura: questi sarebbero quindi i valori che danno la felicità. Sarebbe facile obiettare che conosciamo tante persone ricche, colte e sane che non sono però felici, anzi
Il problema non è tanto nella ricerca, però: il metodo scientifico non può dare peso a valori non quantificabili, come quelli interiori. Valori spirituali che non si misurano, non si toccano, non si comprano e che però sono, a volerla dire in termini scientifici, un coefficiente moltiplicatore essenziale per ottenere il risultato voluto: una vita felice.
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Esempi da rivedere
«Si accaniscono su di me, mi accusano di assumere atteggiamenti da cristiana e non da musulmana», aveva denunciato Hina ai carabinieri tre anni prima di venir uccisa barbaramente dal padre.
“Atteggiamenti da cristiana” erano considerati dalla famiglia pachistana fumare, vestire scollato, marinare la scuola, avere rapporti disinvolti con l’altro sesso. Forse è il caso di fermarsi a riflettere sull’immagine del cristianesimo che stiamo dando. Fuori, ma anche dentro i nostri confini.
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Un saluto a una cara amica che ha subito nei giorni scorsi un grave lutto familiare. Si chiama Stefania, la conoscete tutti come cantautrice, e sabato sera, in un incidente stradale, ha perso Mirco, suo fratello, 24 anni.
In questo momento le parole perdono il loro valore, e di fronte al lutto non possiamo che stare in silenzio per rispetto. Possiamo solo dirti, Stefania, che ti siamo vicini. Che Dio ti consoli.
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Derive spirituali
Nove mesi persi nell’oceano: la storia dei tre pescatori messicani partiti il 28 ottobre e ritrovati nei giorni scorsi ha fatto il giro del mondo.
Felici di essere tornati sulla terraferma, hanno attribuito la loro forza di resistenza (nove mesi alla deriva, a volte 15 giorni di fila senza cibo) alla fede: «Senza alcun contatto visivo con altri umani per mesi – scriveva mercoledì La Repubblica -, i naufraghi si sono affidati alla preghiera. “Non abbiamo mai perduto la nostra consapevolezza dell’esistenza di Dio – ha aggiunto Vidaña – Uno di noi aveva la Bibbia, la leggevamo e pregavamo tutto il tempo assieme”».
Niente tv, giornali, telefono, Internet, passatempi: solo una Bibbia e il conforto della preghiera. Nove lunghi mesi senza distrazioni, in semplice ma piena comunione con Dio.
Chissà quanti cristiani, di fronte a una prospettiva simile, hanno sentito un brivido lungo la schiena.
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