Giusto o sbagliato

Gli studenti inglesi sono ormai al di là del bene e del male, segnala la Stampa; nella nuova carta costituzionale della scuola di Sua Maestà, in nome della flessibilità culturale, gli insegnanti non dovranno più spiegare cosa è “giusto” e cosa è “sbagliato”: c’è solo l’invito a “basarsi su valori e convincimenti sicuri”.

Giusto o sbagliato, un dilemma eterno per l’essere umano. Ci troviamo a valutare, e venire valutati, dalla nascita alla dipartita, sempre in base a quel che viene considerato – da chi ci valuta – giusto o sbagliato.

Nei primi anni di vita ce lo spiegano (o ci sgridano): questo si fa, questo non si fa. Espressioni come “bravo” e “cattivo” si basano proprio su questi principi: l’esistenza di una scala di valori, di una morale capace di dare indicazioni sociali all’individuo, incoraggiandolo in una certa direzione con la lode della sua azione e scoraggiandolo in certi atti attraverso la riprovazione del comportamento. Non si scappa: è sempre stato così. Ma non è più così, da un po’, almeno a livello sociale: certo, ci sono le famiglie che si ostinano a formare brave persone e buoni cittadini, ma sembra che siano una stretta minoranza, a giudicare dal numero di ragazzotti che, con aria di superiorità, non cedono il posto, si vantano delle loro bravate (coperti da genitori che si sentono in colpa per mille motivi), non recepiscono il rimprovero e anzi guardano in cagnesco la persona (più anziana, e già solo per questo meritevole almeno di rispetto) che lo fa notare.

La direttiva impartita agli insegnanti della Gran Bretagna ha, in fondo, un merito: mette per iscritto un concetto che ormai è diffuso in tutta Europa, e probabilmente in tutto l’Occidente. A forza di chiedere “perché”, iniziativa peraltro opportuna e lodevole, si è finiti per non accettare più le risposte, in nome di una scientificità che dovrebbe permeare ogni affermazione. Ma la società non è un laboratorio. Non posso spiegare, in senso assoluto, perché la famiglia deve per forza essere la base del tessuto sociale. In effetti hanno provato in molti, e in molte occasioni, a cercare soluzioni alternative: dalle comuni sessantottesche ai matrimoni mono-genere, dalla convivenza al matrimonio a tempo. Non posso dimostrare la scientificità di una scelta che pare una delle tante possibili. Eppure, guardando a come il circolo della vita è strutturato, per quel suo svilupparsi grazie all’amore tra due persone (e non tre, quattro, dieci), per la necessità psicologica del nuovo venuto ad avere attorno a sé un contesto stabile, con ruoli definiti, con diritti e limiti, guardando tutto questo non posso non constatare, lontano da ogni evidenza scientifica ma con una notevole certezza concreta, che la soluzione ideale è proprio la famiglia, intesa in senso biblico, e non un’altra.

La dinamica sociale non ha certezze scientifiche, ma allo stesso tempo non deve piegarsi a rigurgiti reazionari: se i “perché” a un certo punto si devono fermare di fronte a un mistero più grande di noi, i “perché sì” non vanno per forza accettati supinamente. Chiedere è giusto e doveroso. E magari anche cambiare ciò che è solo un dettaglio, un particolare, un’abitudine, per non trincerarsi dietro al “si è sempre fatto così”.
Questione di ragionevolezza, la stessa che ci impone di considerare intangibili alcuni principi.

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Analisi, commenti e riflessioni sui temi del momento nel programma musica&parole: dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 11 sulle frequenze di crc.fm.

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Pubblicato il 30 ottobre, 2006 su Uncategorized. Aggiungi ai preferiti il collegamento . Lascia un commento.

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