Archivio mensile:Maggio 2007
Punteggi inquieti
Il ministro all’istruzione Fioroni ricorre al Consiglio di Stato che gli dà ragione: annullata la sentenza del TAR che, in via cautelativa, dava ragione alle associazioni laiche ed evangeliche secondo le quali non era corretto utilizzare il punteggio dell’ora di religione – materia facoltativa – nella valutazione degli studenti, come il ministro aveva deciso all’improvviso (e in maniera non troppo trasparente).
Il TAR sospende l’ordinanza ministeriale, il Consiglio di Stato rigetta la sentenza provvisoria del TAR, che dovrà esprimersi nei prossimi giorni con una decisione definitiva. Gli scrutini si svolgono in un clima di incertezza, senza sapere dove si andrà a parare: una situazione non ideale per gli studenti che devono scoprire la loro sorte, e il loro punteggio di partenza, per l’esame di stato (l’ex esame di maturità).
Si tratta di un duello degno di miglior causa: andrebbe rammentato infatti che per Fioroni l’inserimento all’ultimo secondo della religione tra le materie effettive non è una questione di vita o di morte, mentre per qualche studente potrebbe essere una decisione esiziale, capace di portare un punteggio (e, magari, un lavoro) inferiore alle aspettative.
Andrebbe anche tenuto conto che cambiare le regole del gioco mentre la partita è in corso dovrebbe essere fuori questione: fino a qualche anno fa si potevano modificare le norme solo per l’anno scolastico non ancora iniziato, e non – come oggi pare si possa – addirittura a un minuto dalla fine dei tempi regolamentari.
Forse per Fioroni è una questione di onore (un ministro smentito da un TAR, non sia mai!), o forse di interesse per l’altra parte in causa. Sorprende comunque che il ministro di un governo di sinistra, un governo che nelle sue decisioni ha voluto scrivere in maiuscolo il concetto di laicità, sia così pervicace in una decisione apparentemente così poco laica, e per giunta poco giustificata anche sul piano della logica.
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Risparmiatecelo
Per favore, no. Cari amici dei giornali e delle tv, abbiate pietà di noi, della nostra intelligenza residua, dei nostri brandelli di dignità. Già ci tartassate ogni giorno sui quotidiani spacciando per essenziali servizi superflui, pettegolezzi, curiosità banali o idiote; già ci sorbiamo ogni giorno – ma quello, ammettiamolo, è evitabile – programmi di finti talenti e veri raccomandati, pacchi e reality che di vero hanno solo il giro di soldi che sta dietro. Se potete, consentiteci di mantenere un minimo di senso di decenza evitando di riferire ogni parola di ogni personaggio indegno.
Già ci siamo subiti la trafila di starlette che andavano a riferire al giudice di Potenza: vedere le vallette vezzose e trionfanti davanti a un tribunale ci è sembrato di cattivo gusto, ma abbiamo sopportato i loro ocheggiamenti perché la giustizia deve fare il suo corso.
Poi abbiamo visto un personaggio arrestato: arrogante verso tutto e verso tutti, è finito dentro prima per aver insultato una pattuglia di servitori dello Stato in servizio, rei di aver osato fermare la sua Bentley mentre guidava bellamente appeso al telefonino (se non è andata così, ossia se i militari hanno mentito, lo chiarirà il processo). Poi è tornato nelle patrie galere per la celebre inchiesta sulle foto, e anche lì ha avuto modo di far parlare di sé: un giorno elogiava l’arresto per la pubblicità procuratagli, il giorno dopo riferiva che non ci dormiva bene, poi invece che era un’esperienza da fare nella vita, poi ancora che non apprezzava il servizio, quasi si trattasse di un albergo scelto male. Ora, uscito, avrebbe potuto tacere e far tacere i media. Invece, trionfante, si permette di insultare i giudici, dando del talebano al pm che lo ha fatto arrestare. E tutti i media a riferire, senza filtro.
Diritto all’informazione? Forse, se la maggioranza dei lettori è interessato ai pareri del personaggio in questione. E forse è davvero così, ma solo perché qualcuno li ha abituati a soffermarsi sul superfluo, lasciando da parte le questioni importanti. Della siccità si parla per una settimana all’anno, in occasione di una campagna internazionale di sensibilizzazione. Le morti solitarie sono ormai un pezzo di costume, da utilizzare per inserire l’immancabile commento del sociologo di turno. Di tragedie si parla quando l’indignazione popolare tracima. Di scandali si parla quando monta la protesta. Poi tutto torna nell’alveo dell’indifferenza, rotta ogni tanto da qualche libro capace di sollevare il coperchio dell’indignazione (come il recente “Caste”, di Stella e Rizzo, edito da Rizzoli).
Se è così è perché non conviene a nessuno far pensare la gente troppo a lungo: non conviene ai politici, non conviene ai media stessi (il lavoro del giornalista è impegnativo, se fatto bene).
Meglio quindi se il resto del tempo è occupato da scandaletti, pettegolezzi, rimbambimenti per rendere sempre più banale e insensibile un pubblico che al filetto della sostanza ha imparato a esaltare la minestrina scipita del vacuo.
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Da oggi a giovedì non sarò in onda, e a musica&parole mi sostituirà Sara De Marco. Torneremo insieme con musica, notizie, approfondimenti e commenti venerdì 1 giugno.
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Un cross alla croce
Un torneo di calcio tra chiese evangeliche, giunto alla sua seconda edizione a Genova, ha interessato il sito genovapress.com, che segnala la particolarità dell’iniziativa, cui partecipano addirittura otto chiese della zona con le loro formazioni. Stupisce, per esempio, la preghiera a centrocampo prima dell’inizio, le due squadre insieme, cui è invitato – se vuole – anche l’arbitro: che, evidentemente, non è evangelico.
Potrebbe sembrare una notizia da catalogare sotto le curiosità, ma c’è qualcosa di più a distinguerla da un’iniziativa velleitaria.
C’è l’aspetto della comunione: otto chiese organizzate in squadre, che si incontrano e si conoscono meglio, e magari – come nel rugby – vanno a festeggiare tutti insieme alla fine della partita, in un “terzo tempo” di cordialità e fratellanza, senza recriminazioni. Non avrà la profondità di un convegno sull’escatologia, ma è comunque un momento di contatto in una realtà, quella evangelica, dove si tende a dividersi più che a unirsi.
Ma un torneo sportivo tra cristiani può essere anche un testimonianza. Pensateci: ormai una partita senza insulti, cattiverie, falli pesanti, bestemmie non si trova più nemmeno nelle categorie giovanili; se non arrivano dal campo, ci pensano gli educati (ed educativi) genitori a riversare sulle squadre avversarie e sull’arbitro tutta la loro frustrazione. Non è facile mantenere un aplomb cristiano nel bel mezzo dell’azione, dato che l’agonismo risveglia gli istinti bellicosi più profondi: per questo un calcio “pulito” ed educato non può, quindi, non stupire e dare il tono di una diversità di comportamento e di vita.
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Messaggi equivoci
I problemi di Britney Spears, già star adolescenziale e oggi stella cadente del pop, sono noti: matrimonio travagliato finito da poco (e due gemelli cui badare), cattive compagnie, sbronze, follie ed eccessi hanno caratterizzato il suo ultimo anno. Ora, però, sembrerebbe esserne uscita, o almeno così annuncia con una lettera ai fan sulla homepage del suo sito ufficiale, www.britneyspears.com.
«Il motivo di questa lettera è far sapere a tutti che le vostre preghiere mi hanno davvero aiutato – scrive, ovviamente in inglese, la cantante -. È un tale privilegio che voi vi preoccupiate così tanto di me da essere preoccupati, e continuerò a vivere in questo stato di grazia con tutti voi al mio fianco durante questo periodo travagliato».
«Siamo tutti luci del mondo – continua la Spears – e abbiamo bisogno di ispirare continuamente altri, guardando al Potere più alto. Siete tutti nelle mie preghiere».
Se abbia cominciato a risalire faticosamente la china, solo Dio lo sa: per certo la cantante, cresciuta in un contesto metodista e passata per numerose confessioni e dottrine, non ha mai dimostrato particolare lucidità sui temi spirituali.
Lo stile evangelico della lettera e le sobrie parole di speranza farebbero comunque ben sperare. Peccato facciano a pugni con la foto, sensuale, che compare sullo sfondo.
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A tutta vergogna
Un parco tematico pro-creazionismo si sta per aprire nel Kentuky. Anzi, il parco: il più grande, con effetti speciali hollywoodiani, per spiegare a tutti la posizione di chi interpreta in maniera letterale la Genesi, senza concessioni. Peccato che l’inviato del Corriere, Massimo Gaggi, parli dei fondatori del museo come di “integralisti evangelici”: sarebbe chiaramente più corretto parlare di fondamentalisti, dato che non ci risulta uccidano né impongano la propria fede agli altri fuori dal sistema democratico; le parole non sono dettagli, e hanno un ruolo importante nel dare forma alla sostanza.
Un dettaglio trascurato dai media riguarda i costi: 27 milioni di dollari, provenienti tutti da donazioni private. 27 milioni di dollari, circa venti milioni di euro, o quaranta miliardi di lire. Negli USA i cristiani non hanno remoere a spendere per ciò in cui credono, e soprattutto per dare voce alla propria fede. Meglio evitare ogni pensiero, riferimento o confronto con la realtà europea, e segnatamente con quella italiana: non si sta certo peggio rispetto agli Stati Uniti, ma nemmeno le attività più essenziali ed efficaci riescono a trovare una degna garanzia di continuazione. A tutto svantaggio e a tutta vergogna nostra.
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Documentari e dubbi
Fondamentalismo evangelico nel mirino di Aldo Grasso, sul Corriere della Sera di oggi: il critico televisivo presenta il documentario Jesus Camp, che già nei mesi scorsi ha suscitato polemiche nel contesto italiano. Si tratta di un reportage da un campo biblico americano, “Kids on fire”, dove i bambini vengono formati a essere “soldati di Cristo”, e quindi – questa la tesi che trapela – avviati alla violenza, all’intolleranza, al bigottismo. Lo stesso Grasso, valido giornalista sempre attento ai fenomeni televisivi, pare dare credito al documentario in questione senza porsi dubbi. Probabilmente, forse in maniera inconscia, ha ancora in mente il suo servizio di qualche anno fa per Magazine su TBNE, emittente italiana che trasuda questo evangelicalismo americano indisponente e fuori dal contesto sociale italiano.
Insomma, come dire: mettiamoci questo biglietto da visita catodico, aggiungiamo una trattazione scandalosa delle tematiche evangeliche da parte dei media, e non sembrerà strano che negli USA succedano cose di questo genere.
Non siamo stati al campo in questione, e non possiamo quindi escludere che le cose stiano davvero così. Non siamo complottisti, però ci stupisce che nessuno – né Daria Bignardi ieri, né Aldo Grasso oggi – si siano chiesti se il documentario sia attendibile, o se si possa trattare di una manovra alla Michael Moore: non è una novità che spezzoni estrapolati dal contesto, interviste mirate, affermazioni incorniciate da suggestioni diverse possano portare a interpretazioni perfino opposte rispetto alla realtà.
Ed è curioso che lo stesso Aldo Grasso ci abbia insegnato, con i suoi articoli, che la cautela di fronte allo schermo televisivo è sempre d’obbligo: si tratti di un telegiornale (chi non ricorda le platee riempite artatamente, denunciate da Striscia la notizia?), di reality (ormai meno autentici dei film) o di un documentario.
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Quali farisei
Vittorio Zucconi su Repubblica li chiama “figli della luce blu”, ma dietro questa poetica definizione c’è la lotta per la vita di un gruppo di bambini, alcuni in tenera età, che fanno parte della comunità mennonita della Pennsylvania. Sono figli di una comunità fiera del rifiuto della modernità e del suo isolamento; anche per questo i nuclei familiari si fanno geneticamente sempre più vicini, fino a provocare gravi scompensi alle nuove generazioni. La malattia dei bambini si chiama sindrome di Crigler Najjar, «condizione genetica rara che impedisce al loro fegato di metabolizzare la bilirubina», ossia gli scarti della morte dei globuli rossi; in mancanza di questo processo, avviene nell’organismo un’intossicazione grave che porta alla morte.
Unico rimedio: la luce blu, una specie di lampada notturna appesa sul letto, che fa le veci del processo mancante. Un procedimento scoperto proprio nella terra che ospita queste comunità, una soluzione tecnica disponibile solo dagli anni Novanta: prima la vita del malato era segnata, e infatti – spiega Zucconi – il tasso di mortalità entro i tre anni era molto frequente nelle comunità mennonite e amish.
Non fu facile far accettare a questi gruppi l’uso di un sistema così moderno: d’altronde quando la regola di vita diventa dottrina, tutto si fa questione di principio. Alla fine, stretti tra la regola e la vita, hanno scelto la vita: decisione onorevole, forse poco coerente ma assolutamente biblica. Una decisione che, va rilevato, non tutti i contesti religiosi vivono allo stesso modo. Nel loro piccolo, nel contesto di una (rispettabile) scelta di isolamento e vita comunitaria, sono stati capaci di privilegiare la vita: una decisione che deve essere costata non poche riflessioni, dubbi, drammi.
In fondo sono stati più maturi e flessibili (perché dalla maturità discende anche la giusta flessibilità) di tanti credenti che non hanno mai fatto una scelta di vita ascetica, e che nel loro avanzato modernismo alzano argini puerili con qualche regola ininfluente sulla quale, però, non transigono nemmeno di fronte alla vita. O di fronte alla morte spirituale di chi sta loro vicino.
Tra i due, viene da chiedersi, chi è più fariseo?
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Eppure magari…
La Bibbia è ancora un testo decente: l’autorità per le comunicazioni di Hong Kong non ha accettato il ricorso di oltre duemila cittadini, impegnati a chiedere che la Bibbia venga considerata “pubblicazione indecente” per i passaggi di sesso e violenza che vi si leggono.
Sicuramente l’authority ha agito con buonsenso, e sarebbe stato quantomeno singolare trovare da ora in poi a Hong Kong le copie della Bibbia incellofanate, con l’adesivo “vietato ai minori”, nascoste nel retro delle librerie.
Anche se un dubbio potrebbe venire: chissà, magari il sottile fascino del proibito avrebbe aumentato l’interesse di tanti che, normalmente, non degnano la Bibbia nemmeno di uno sguardo.
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Violenza e passione? Anche.
La Bibbia è un libro indecente? Se lo chiedono a Hong Kong, e non è uno scherzo. Meglio: è certo una boutade, ma presa seriamente dai suoi sostenitori.
Tutto nasce dalla censura di un giornale universitario dove veniva presentato un sondaggio su temi sessuali; facendo seguito alla decisione delle autorità un gruppo di persone ha deciso di segnalare come libro da mettere all’indice anche e nientemeno che la Bibbia.
Speriamo che l’autorità competente di Hong Kong abbia il buonsenso di archiviare la richiesta, specie in considerazione del fatto che la richiesta arriva in una società dalla cultura e dagli stimoli occidentali, e quindi abituata a vedere, sentire, dire ben di peggio di quel che racconta la Bibbia.
In effetti però chi protesta non ha torto, almeno in parte. La Bibbia è violenza, è orrore, è passione: perché la Bibbia racconta vita. Se non ci fossero anche aspetti estremi e drammatici sarebbe un racconto parziale, incoerente, ipocrita, inattendibile. La Bibbia non si ferma di fronte alla violenza, né alla passione. E proprio per questo – anche per questo – è un libro meraviglioso.
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Discriminati comunque
Si chiama, in gergo, reverse discrimination: chi è in posizione di vantaggio non può fare quello che fanno gli altri senza venir guardato storto, perché per lui è troppo facile raggiungere gli stessi obiettivi degli altri. Succede nel caso dei figli dei politici, per esempio, che difficilmente riusciranno a convincere di avere successo per i propri meriti e non per le conoscenze dei genitori, al di là di ogni ragionevole dubbio.
Quando succede alle persone, è un conto, ed è anche inevitabile. Se succede a una denominazione, diventa preoccupante: eppure, in questi ultimi anni, i cristiani si sono trovati di fatto con il paradossale privilegio di essere discriminati per non turbare le minoranze. Succede ora anche nei paraggi di Londra, dove le studentesse non possono portare una croce al collo, mentre è permesso a musulmani e indù di portare i propri simboli. La motivazione? Per il cristiano non è obbligatorio indossare un simbolo, per gli altri sì.
Curiosa, davvero curiosa la vita nel XXI secolo: da realtà maggioritaria, e quindi con diritti perfino eccessivi, la fede cristiana si è ritrovata discriminata ovunque. Discriminata dove è minoranza, dato che spesso le maggioranze non sono così democratiche o benevole. Discriminata dove è vietato ogni culto. E ora, discriminata dove è maggioranza, a favore delle minoranza, proprio in base a quella democrazia che ha portato. Avanti di questo passo, si prospetta un futuro non troppo roseo per i cristiani.
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