Archivio mensile:giugno 2008
Parentesi estive
La Stampa di oggi, citando il poco noto mensile Outside, individua quattro tipi di vacanziero. Si riferisce ai manager, ma in realtà le categorie possono essere applicate a qualsiasi persona che viva nel mondo occidentale, e che – per lavoro, oppure solo per piacere, volontariato o attività legate comunque al tempo libero – si ritrova a dover scandire il proprio tempo con la precisione e l’ansia di un manager: essere manager di se stessi, in fondo, non è meno impegnativo.
La ricerca in questione segnala:
– il “mondano”, che sceglie località alla moda, bazzica locali di tendenza, veste griffato e si connette sempre più per immagine che per necessità;
– l’iperattivo, per il quale la vacanza deve essere sempre e comunque itinerante, sportiva e condita da escursioni estreme: è però organizzatissimo e non “stacca” mai del tutto;
– l’avventuroso, che per “vacanza” intende una full-immersion nella natura selvaggia, senza programmi precisi, con abiti da montanaro trascurato: viaggia da solo perché la sua idea di vacanza corrisponde per gli altri all’idea di tortura;
– il minimalista, che dice vacanza e pensa relax, in un appartamento o in un hotel a due passi dalla spiaggia, senza programmi precisi, con pochi amici fidati e un abbigliamento che bada alla comodità più che all’immagine.
È interessante notare come il concetto di vacanza può differire così radicalmente da persona a persona. Il vocabolo non offre indicazioni precise in merito: unico indizio, il fatto che la radice latina trova origine nel concetto di vuoto, assenza.
Forse anche per questo varrebbe la pena interrogarsi sul senso della vacanza, che non dovrà per forza essere un vuoto pneumatico, ma non dovrebbe comunque perdere il connotato di “variazione” delle attività finalizzato a reperire nuovi stimoli e recuperare energie.
La vacanza non è – non dovrebbe essere – un sogno che diventa realtà, un privilegio che la vita mai ci concederebbe nei ritmi consueti, una emozionante parentesi dell’esistenza quotidiana: è triste pensare a una vita che ha bisogno della vacanza per trovare un senso compiuto.
No, la vacanza non dovrebbe essere vissuta come una corsa al desiderio incompiuto, ma come un momento della vita: un momento certamente diverso dall’ordinario, forse entusiasmante, altrimenti rilassante, ma inserito in un contesto che alimenta le nostre energie, non le nostre frustrazioni.
Un momento che, come gli alcolici, richiede senso di responsabilità, per dare soddisfazione senza provocare spiacevoli conseguenze.
Spiccioli di vacanza
Una vacanza missionaria come alternativa ai luoghi comuni (di nome e di fatto)? È quello che propongono diverse organizzazioni internazionali, in ambito evangelico ma non solo, che indirizzano chi desidera utilizzare una parte delle proprie ferie per mettersi a disposizione degli altri.
Il mondo è grande e il lavoro non manca: intrattenimento e animazione dei bambini sono le attività più gettonate dai cristiani di buona volontà. Qualcuno criticherà la velleità di impegni del genere, dato che sicuramente ci sono cose più serie da fare quando si tratta di aiutare il prossimo. È senz’altro vero, ma va anche rilevato che molto dipende dalla vocazione e dalle capacità dei singoli, talenti che spingono a preferire una specifica chiamata, si tratti di servire nelle cucine di un orfanotrofio, di comunicare affetto e valori attraverso i giochi con i bambini, di ascoltare e consolare gli anziani.
Non solo: la predilezione per impegni che non richiedono specializzazioni dimostra che la maggior parte dei “missionari estivi” non sono medici, infermieri, geometri, periti né possono contare su una preparazione specifica.
Sono semplicemente persone di buona volontà, senza qualifiche e senza nemmeno troppo tempo a disposizione (sono prevalentemente lavoratori, non studenti), che però vogliono offrire al prossimo quel poco che hanno. Siamo certi che, in Sudamerica come in Camerun, nel sudest asiatico come altrove, queste persone saranno in grado di dare più di quanto pensano, e riceveranno più di quanto danno.
Perché i due spiccioli della vedova di evangelica memoria funzionano in questo modo: sono una cifra irrisoria, vengono donati per fede togliendosi di dosso qualcosa di essenziale, ma sono capaci di fruttare oltre ogni logica economica.
A contatto con la realtà
Duecento euro per i genitori modello: quelli che nutrono in maniera sana i loro pargoli, li vaccinano come si deve e li introducono al sano piacere della lettura. È la soluzione escogitata dal governo britannico per invertire la tendenza dopo l’infausta parentesi thatcheriana, che avrebbe rovinato un’intera generazione facendole smarrire nientemeno che la speranza.
Certo, da quando la Thatcher si è ritirata a vita privata sono passati quasi vent’anni, e dieci di questi li ha coperti il governo del predecessore di Brown stesso, ma si sa: quando un danno è fatto, mica è facile rimediare.
E così, bel belli, gli eroi laburisti – in piena crisi di consensi – si inventano un premio per i genitori. Niente di che, 200 euro all’anno, ossia 16 euro al mese: nemmeno quanto basta per la paghetta del pargolo. Che poi non si sa bene come verrà stabilito a chi assegnare il premio e a chi no: si valuterà il peso dei figli per verificare se siano stati nutriti bene? Si predisporrà un piccolo esame per vedere se leggono, quanto leggono, cosa leggono?
Qualcuno obietterà che la facile ironia è fuori luogo, perché questa decisione è un segno, il segno di un’attenzione ritrovata, di una strategia innovativa. Come quella che un paio di anni fa, con l’obiettivo di diminuire drasticamente le gravidanze delle adolescenti inglesi, finì per aumentarle: si era deciso di adottare sistemi illuminati, senza far leva su valori ridicoli come la moralità o concetti demodé come la fede. D’altronde in Gran Bretagna, oggi, sono più i musulmani dei cristiani praticanti, e questo la dice lunga sull’efficacia di considerare Dio come “uno dei tanti”.
Solo i nostalgici possono pensare che il passato fosse davvero migliore: regole, leggi e consuetudini venivano imposte talvolta senza logica, sempre senza elasticità, e la scarsa lungimiranza di una società arroccata a valori diventati semplici feticci ha portato a una inevitabile contestazione. Che però, una volta al potere, non è stata in grado di esprimere valori alternativi, e si è limitata a demolire la struttura per poi ricostruire qua e là senza una linea di fondo coerente, ignorando bellamente alcuni aspetti essenziali dell’esperienza umana.
Sì, perché l’uomo deve confrontarsi con un fastidio chiamato realtà. E attenzione, non si sta parlando di “normalità”, concetto ormai desueto più del buonsenso.
Parliamo di realtà. Una realtà che ci vede egoisti e tentati da ciò che è male. Questa realtà ci dice tra l’altro che non possiamo volare, vedere al buio, riprodurci senza un certo procedimento biologico. Ci dice anche che le strutture sociali hanno una loro logica: che va compresa e certamente innovata con il passare delle generazioni, ma senza dimenticare l’impianto di fondo, se non ci si vuole trovare a combattere contro l’essenza stessa della nostra umanità.
Rifiutare i cambiamenti per principio è anacronistico. Prendere decisioni senza tenere in considerazione la realtà, però, è folkloristico. Se la politica è una cosa seria, bisognerebbe tenerne conto.
La ragazza del fiume
«Due milioni e settecentomila spettatori: questo il numero delle persone che hanno seguito ieri sera “Chi l’ha visto“, il programma di RaiTre dedicato alle persone scomparse e agli omicidi misteriosi. Nel corso della puntata, stravolta rispetto ai piani originari a causa delle nuove rivelazioni sul caso Orlandi, Federica Sciarelli è tornata anche sulla vicenda del cadavere di donna ritrovato nel Po lo scorso 25 maggio».
Se poi non saranno stati proprio due milioni e settecentomila gli spettatori arrivati svegli fino alle 22.40 per seguire il collegamento con Milano, non importa: è già una soddisfazione che la nostra testata venga interpellata da un programma Rai come fonte autorevole in relazione a un caso che, in qualche modo, risulta legato al mondo evangelico.
Nel breve intervento in diretta ho tentato di dare un quadro quanto più ampio possibile per inquadrare correttamente il contesto evangelico ed evitare quindi che il braccialetto venga considerato come un banale feticcio; la vicenda però mi ha fatto, ancora una volta, pensare.
Nel ragionare su un paio di possibili ipotesi sul perché una ragazza trovata cadavere nel Po portasse al polso un braccialetto “evangelico”, mi sono reso conto di quanto sia semplice, tutto sommato, che casi come questo avvengano.
In una normalissima chiesa evangelica arriva un volto nuovo: è una ragazza dal passato difficile, lo testimoniano un paio di ampi e aggressivi tatuaggi – di cui uno recente – e un modo di vestire trasandato per i nostri canoni. Viene da lontano, non si è mai ambientata nella zona perché il tempo disponibile l’ha trascorso con compagnie poco raccomandabili, e per questo è rimasta straniera nella città dove, per scelta o per ventura, vive ormai da anni.
La ragazza cerca: cerca una soluzione per la sua vita, cerca una risposta. Trova la fede. O, almeno, un granello di Parola si posa nel suo cuore. Le si apre un mondo che non conosceva, fatto di amore, solidarietà, persone semplici e sincere, magari un po’ fissate ma buone, che le fanno ritrovare fiducia nel genere umano. Capisce che può farcela, e comincia timidamente – lei, piantina ancora fragile – a frequentare culti e riunioni, fermandosi volentieri a scambiare due parole, magari senza aprirsi troppo per non scoperchiare un passato che preferisce seppellire. E che invece, a breve, seppellirà lei in un sacco, prima di buttarla nel fiume.
A un certo punto questa ragazza, che si è fatta vedere in chiesa per qualche mese con ragionevole costanza e buon interesse nei confronti della fede, sparisce improvvisamente.
Cosa fa la chiesa? Forse si chiede che fine abbia fatto. Ma non va a cercarla: in fondo venire in chiesa è una scelta, e poi magari ora ne frequenta una dove si trova meglio (lei, che era sempre presente con il sorriso sincero e stupito di chi ha trovato un tesoro), o magari si è trasferita, in fondo non era del posto, e poi a chi vuoi chiedere? Sì, l’abbiamo accompagnata una volta a casa ma non sappiamo esattamente dove abiti, e magari la mettiamo in imbarazzo, disturbiamo.
Magari potrebbero farlo i giovani? Ecco, sì, qualche ragazza potrebbe “fare una visita” con la scusa di vedere come sta: ma poi si sa come finiscono le cose, talvolta è più piacevole un concerto o un’evangelizzazione, e poi come fai a giudicare, se il Signore vuole ce la farà incrociare uno di questi giorni. E comunque, sia chiaro, preghiamo sempre per coloro “che si sono allontanati”. Com’è che si chiamava, a proposito, quella ragazza che si era avvicinata alla fede per un periodo, qualche mese fa?
Naturalmente la chiesa rappresentata qui sopra non è la nostra, ci mancherebbe altro. Noi non lasceremmo mai una persona in difficoltà senza fare del nostro meglio per aiutarla. Non è nostra abitudine rassegnarci quando un’anima comincia a perdersi. Siamo pronti a collaborare con i responsabili della comunità nella cura dei più deboli, confortandoci e incoraggiandoci l’un l’altro come dice la Bibbia. Come farebbe Gesù. Già.
“Cosa farebbe Gesù”: a volte viene da pensare che quel braccialetto dovrebbero renderlo obbligatorio. Come i vaccini.
In diretta a Chi l’ha visto…
Grazie a tutti coloro che mi hanno seguito ieri sera su RaiTre. Sono contento di aver potuto dare un piccolo contributo al caso trattato, ma anche di aver ricordato brevemente agli spettatori cosa significhi essere cristiani.
È stata una bella sorpresa vedere scorrere le immagini del portale, durante il mio intervento, e qualche risultato in termini di visite (al sito, alla chat, al forum) c’è stato. E poi, parlare a 2 milioni e 700 mila persone in una volta sola… quando mi ricapita? 🙂
In diretta a Chi l'ha visto…
Grazie a tutti coloro che mi hanno seguito ieri sera su RaiTre. Sono contento di aver potuto dare un piccolo contributo al caso trattato, ma anche di aver ricordato brevemente agli spettatori cosa significhi essere cristiani.
È stata una bella sorpresa vedere scorrere le immagini del portale, durante il mio intervento, e qualche risultato in termini di visite (al sito, alla chat, al forum) c’è stato. E poi, parlare a 2 milioni e 700 mila persone in una volta sola… quando mi ricapita? 🙂
Altro che spot
Il recente rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione ha proposto interessanti riflessioni relative ai nuovi mezzi e alle modalità d’uso.
Come segnala il quotidiano Avvenire, si è scoperto che i giovani “divorano tutto quello che è comunicazione”, con un “nomadismo mediatico disincantato”. Spesso non trovano quel che cercano, e questo li porta a essere particolarmente versatili sul fronte della cross-medialità: si trovano a loro agio con Internet, cellulare, tv, ma anche radio, quotidiani e perfino con i libri, che hanno ripreso a leggere con un certo ritmo.
In generale si è riscontrata una scollatura tra gusti degli utenti e proposte dei media, che non si sanno adeguare in particolare alle esigenze dei giovani.
Il fruitore del Ventunesimo secolo esige contenuti sempre più personalizzati: dopo la fase adolescenziale di omologazione, dai 19 anni “si registra un aumento dell’individualismo nella fruizione dei media”, e questo si scontra con i mezzi di comunicazione che invece non hanno “alcuna reale percezione di quello che i giovani desiderano”.
L’unico settore che è stato capace di fiutare il vento e adattarsi, riposizionandosi con proposte adatte al nuovo contesto, è stato quello della pubblicità: sempre più precisa, sempre più personalizzata, e nel futuro lo spot si preannuncia “sempre più capillare, targhettizzante, pervasivo”.
Forse a volte dovremmo prendere esempio da ciò che di buono la pubblicità insegna. Non ci riferiamo, naturalmente, alla tendenza della pubblicità a banalizzare e semplificare il messaggio in maniera impropria o fuorviante: ma non possiamo non riconoscere ai guru della réclame una capacità di adattamento, una creatività, una sensibilità nell’anticipare i tempi e le tendenze, nello scoprire i mezzi più adatti, nel proporre il messaggio nella maniera più efficace per il singolo utente.
Nel corso dei decenni i pubblicitari hanno affinato in maniera sorprendente la capacità di fare comunicazione di massa pur tenendo conto delle categorie, dei target, delle necessità, degli interessi specifici. In poche parole: la capacità di raggiungere tutti, ma uno per uno.
Visto un tanto, considerarli con sufficienza semplici “venditori” sarebbe riduttivo, oltre che spregiativo, e testimonierebbe l’incapacità di applicare, o anche solo di cogliere, questioni essenziali con le quali ogni buon comunicatore – dal giornalista al documentarista, dal missionario alla chiesa – deve dominare per raggiungere il proprio obiettivo.
La Bibbia agli esami
C’era anche la Bibbia tra i temi di italiano proposti mercoledì ai “maturandi”.
Anche se pochi l’hanno rilevato, nella prima prova scritta degli esami di stato che tanto ha fatto discutere sull’errore degli ispettori ministeriali delegati alla preparazione delle tracce, non c’era solo Montale.
Scorrendo i titoli proposti ai candidati, subito dopo Montale compariva il tema relativo all’ambito artistico-letterario, dedicato a “La percezione dello straniero nella letteratura e nell’arte”.
Nella traccia era presente una decina di documenti, tra testi letterari e opere d’arte figurativa, e il primo proposto – prima di Omero, Manzoni, Baudelaire, Pirandello, Morante e così via – era un brano tratto da Deuteronomio: Non lederai il diritto dello straniero o dell’orfano e non prenderai in pegno la veste dalla vedova; ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha redento l’Eterno, il tuo Dio; perciò ti comandò di fare questo. Quando fai la mietitura nel tuo campo e dimentichi nel campo un covone, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per lo straniero, per l’orfano e per la vedova, affinché l’Eterno, il tuo Dio, ti benedica in tutta l’opera delle tue mani. Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornerai a ripassare sui rami; le olive rimaste saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non ripasserai una seconda volta; i grappoli rimasti saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova. E ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto; perciò ti comando di fare questo. (Deut. 24:17-22).
Uno spunto indubbiamente stimolante, che denota la modernità e lo spirito solidale della Bibbia in barba a chi, con una superficialità che non fa onore al suo pensiero, vuole vedervi solo un’accozzaglia di stragi.
Fa piacere che gli ispettori, che per il resto si sono dimostrati piuttosto distratti, abbiano saputo cogliere e proporre agli adulti di domani un testo così significativo.
La speranza è che i ragazzi possano farne tesoro, fugando qualche luogo comune e magari scoprendo la profondità di un testo come la Bibbia: un testo che la scuola, purtroppo, negli ultimi decenni non ha saputo, voluto, potuto valorizzare.
Un braccialetto senza storia
Stamattina abbiamo ricevuto una chiamata dalla redazione di Chi l’ha visto, il programma di RaiTre che si dedica a cercare le persone scomparse e dare un nome alle vittime senza volto.
Il motivo della telefonata era quantomai inusuale: venivamo contattati in relazione a un omicidio avvenuto sulle sponde del Po, dalle parti di Mantova, non lontano da quella Sermide che per decenni ha visto attivo il centro dell’Arca Teen Challenge e ancora oggi ospita il centro di riabilitazione di Remar.
Una giovane donna – «età compresa tra i 16 e i 30 anni, peso tra 50 e 55 kg, statura 1,65 m. circa, capelli biondo-rossicci», spiega il verbale riportato sul sito della trasmissione – è stata trovata senza vita il 25 maggio nel fiume; nessun documento addosso al corpo, ormai irriconoscibile.
Chi l’ha visto si è occupato del caso nella puntata di lunedì 16 giugno, mostrando le immagini di quei poveri elementi che potevano aiutare a risalire alla sua identità: qualche anello, una fedina, un paio di braccialetti e due catenine.
E poi, un elemento che ha fatto sobbalzare qualche spettatore, tanto da spingerlo a contattare la redazione per segnalare un collegamento cui nessuno era arrivato, indirizzando a noi i curatori per un tentativo quasi disperato.
Al polso della giovane, si leggeva nel verbale, era stato ritrovato «un braccialetto in tessuto intrecciato multicolore recante la sigla W.W.J.D.».
Un particolare di una certa familiarità. WWJD sta per “What would Jesus do?”, “Cosa farebbe Gesù?”, e i braccialetti di stoffa con questa sigla sono nati una decina di anni fa negli Stati Uniti per stimolare i giovani a una vita cristiana costante e coerente; con il tempo si sono diffusi tra i giovani delle chiese evangeliche di tutto il mondo occidentale e sono ormai anni che si vedono comunemente anche ai polsi dei giovani evangelici italiani.
Considerato che non sono molto diffusi fuori dalle chiese, né vengono venduti nei mercati o nei negozi comuni, è stato impossibile non fermarsi a riflettere.
Chi poteva essere quella povera ragazza?
Sappiamo che era giovane, bassa, minuta, che portava pantaloni larghi – come usano i giovani oggi – e scarpe forse troppo grandi per i suoi piedi. Immaginiamo un passato non facile, a giudicare dai tatuaggi, uno dei quali piuttosto recente e aggressivo.
Non sappiamo molto altro, e non ci basta a scoprire chi fosse, da dove venisse e dove andasse. Sappiamo che è stata uccisa e gettata nel fiume insieme al suo passato, al suo presente e a un futuro che non vivrà più.
Certo, un caso come tanti, purtroppo. Ma c’è quel braccialetto. Forse si era messa in contatto, di recente, con qualche chiesa, e qualche giovane le aveva regalato quella striscia di stoffa come promemoria per intraprendere e perseverare in una vita diversa, lontano dai pericoli.
O forse era il regalo di un’amica che aveva voluto in questo modo aiutarla a ricordare sempre che, anche nella sua esistenza burrasosa, Qualcuno poteva starle accanto.
Chissà. Chissà da dove veniva quella ragazza così disgraziata. Chissà da dove veniva quel braccialetto che mai avremmo pensato di vedere sul suo polso, e che la avrebbe accompagnata nel suo ultimo viaggio.
“Cosa farebbe Gesù”, la interrogava quel pezzo di stoffa. “Cosa farebbe Gesù”, interroga oggi noi, messi di fronte a un caso così drammatico e misterioso.