Due paesi, due mondi
Ogni tanto i giornali fanno riflettere anche solo con l’accostamento delle notizie. È il caso della Stampa oggi, che propone nella stessa pagina due vicende legate al mondo giovanile, ma con risvolti diametralmente opposti.
Cominciamo dall’estero: in Giappone è scandalo per gli studenti che, in gita scolastica, hanno “sfregiato” la cupola di Brunelleschi a Firenze; i media locali stanno dando ampio risalto alla notizia, con reportage speciali per scoprire i responsabili: un’attenzione che da noi, abituati a scioperati Grandifratelli e ammiccanti Lucignoli, fa un po’ tenerezza.
Infatti da noi un gruppo di adolescenti (quattro, tra i sedici e i diciassette anni) di Ivrea avevano ormai da anni l’abitudine a piazzare i bottini della spazzatura sui binari della linea Torino-Aosta, per poi aspettare il botto con il primo treno di passaggio e filmare – ça va sans dire – la scena con l’immancabile cellulare.
Naturalmente, come tutti gli adulti – e anche molti adolescenti – sanno, il gioco rischiava di farsi pericoloso: per il treno e i suoi passeggeri, ma anche per le case dei paraggi e i loro abitanti, che sarebbero potuti venire raggiunti da oggetti scagliati lontano in seguito all’impatto con il treno.
Non siamo giapponesi, e si vede: ci sarà sfuggito, ma sui giornali di oggi non abbiamo letto condanne ai giovani colpevoli di azioni così avventate da rasentare (o superare?) il criminale.
Sì, talvolta succede che qualche psicologo, sociologo, filosofo, intellettuale o benpensante ci spieghi i perché: non ascoltiamo i giovani, non li capiamo, non ci capiscono, sono diversi da noi, vivono nel loro mondo virtuale, non si rendono conto. Vero, chiaro, corretto.
Raramente, però, viene proposta una soluzione: quasi che si tratti di una situazione inevitabile, una piaga cui abituarsi perché “andrà sempre peggio”. E d’altronde c’è da capirlo: a proporre soluzioni si rischia di venir tacciati di insensibilità e di autoritarismo.
Questione di prospettive: da noi chi scrive sui muri è un giovanissimo artista incompreso che deve pur esprimere la sua creatività, sfogare i suoi impulsi, costruirsi un’identità, disorientato in una società senza riferimenti e senza valori.
In Giappone, invece, chi imbratta i muri è semplicemente un vandalo, un incivile che danneggia opere pubbliche, beni altrui, monumenti. E che, come tale, va rimproverato dall’opinione pubblica, sanzionato in maniera decisa, chiedendo le sue scuse per il comportamento inadeguato e la sua disponibilità a rimediare.
Ma non solo. Da noi i mezzi di comunicazione fanno cassa di risonanza alle bravate dei poveri disadattati, talora giustificando le loro azioni con un certo compiacimento; in Oriente sono un serio strumento di verifica sul comportamento delle autorità, ma anche dei singoli cittadini, per il bene di tutti.
Da noi la società è una comoda terra di nessuno per le proprie scorribande e un confortevole alibi per giustificare i propri limiti, mentre in Giappone è uno strumento di controllo per gli eccessi dei suoi membri.
Problemi simili in paesi diversi vengono affrontati con approcci diversi. Tanto da farli sembrare, alla fine, due mondi diversi.
Pubblicato il 1 luglio, 2008, in Uncategorized con tag Bibbia, chiesa evangelica, credente evangelico, cristiani evangelici, cristianità, cristiano, Dio, fede, Gesù Cristo, religione, spiritualità, Vangelo. Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.
Si dice che la famiglia sia il luogo dove i ragazzi imparano l’esempio del buon, o del cattivo, vivere; c’è del vero, non lo si nega, ma non posso credere che i genitori di quegli incoscienti d’Ivrea si divertissero alla stesso modo alla loro età o che non si siano arrabbiati per questo gioco da dementi.
Allora dovremmo pensare che, spesso, più che la famiglia può il gruppo di amici, che influenza nel bene o nel male (di solito nel male) i nostri figli, che si comportano all’interno delle mura domestiche in maniera tanto diversa da come si comportano fuori, nel gruppo.
E diamo pure la colpa al dialogo insufficiente tra genitori e figli, alla poca dimostrazione di affetto e alla carenza di considerazione per i figli come persone, ma se, a loro volta, anche i genitori sono state “vittime” dei molti silenzi quando erano ragazzi, come si può pensare di risolvere la situazione?
Sono sempre più convinta che serva una sorta di patente per diventare genitori, vista la grande responsabilità che occorre per svolgere il “mestiere” più difficile del mondo.
No, non parlo di un corso teorico-pratico, ma di attingere a una fonte colma di saggezza e di dimostrazione d’amore: la Bibbia.
Certo che se i genitori nenanche sanno cosa sia, allora…