La speranza rubata

La notizia è nota: «Dal 1992 vive in uno stato vegetativo. E per anni il padre si è battuto per interrompere l’alimentazione forzata che la tiene in vita. Adesso, il caso di Eluana Englaro è a una svolta: dopo una lunga battaglia legale, infatti, la Corte d’appello civile di Milano ha autorizzato il padre, in qualità di tutore, ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione forzato. Fino alla sua morte. Il provvedimento è immediatamente efficace, secondo quanto appreso da fonti giudiziarie, e può essere già attuato».

È stato il padre, in una battaglia legale durata quasi dieci anni, a ottenere il diritto a sospendere l’alimentazione. «Dolore? Mia figlia è morta 16 anni fa», ha dichiarato quando ha saputo della notizia.

Il tema richiede una certa dose di serietà, ma soprattutto di delicatezza: delicatezza per una ragazza che da sedici anni vive in stato vegetativo, delicatezza per una famiglia che ha pianto tutte le sue lacrime e che sicuramente prima di decidere – dopo sette anni – di chiedere l’eutanasia per la propria figlia deve aver riflettuto a lungo e con dolore sulla scelta.

Nonostante tutto, e con tutto il rispetto dovuto a chi soffre, chissà perché di fronte a casi come questo ci torna in mente Berlicche, e la riedizione che ne fa ogni settimana Tempi. Il diavoletto che parla con il suo discepolo-nipote, e che ben rappresenta sul piano logico il punto di vista diabolico, direbbe più o meno così: «lascia che tutti si concentrino sul dolore. Il dolore di una ragazza che ha perso sedici anni di vita in un letto di ospedale, il dolore di una famiglia che non ha più speranza. E’ proprio la speranza, caro nipote, quella che dobbiamo rubare agli uomini se vogliamo portarli dalla nostra parte. La fede? Quella è facile, in fondo in questi anni il battage laicista ha giocato ampiamente a nostro favore, e perfino i nostri avversari, i cristiani, sono possibilisti nei confronti dell’eutanasia, e talvolta perfino dell’eugenetica: la società dell’apparenza non può sopportare l’idea di malati senza termine di guarigione, o di bambini che nascono con qualche difetto fisico.
Hai fatto un buon lavoro, ne convengo, nel convincerli che l’apparenza sia così importante da sostituirsi – per il bene di tutti, ovviamente – alla sostanza. Ora non ci resta che togliere all’essere umano l’ultima difesa dai nostri attacchi: la speranza, appunto. Se la scienza riesce a convincere un genitore che vita di un figlio non è più degna di essere vissuta, siamo a buon punto.
Coraggio, nipote, manca poco: gli umani dicono che la speranza è l’ultima a morire. L’ultima: poi, finalmente, toccherà all’uomo. E il nostro compito (scusa se non dico “missione”, ma ricorda troppo da vicino il nostro Avversario) sarà compiuto».

Pubblicato il 9 luglio, 2008, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 8 commenti.

  1. Hai centrato in pieno una notizia che anche a me ha fatto molto riflettere in cui ci sarebbero molte cosa da dire e anche una parte della tua riflessione è stata la mia, o meglio le parole dei due personaggi che ha citato: “e perfino i nostri avversari, i cristiani, sono possibilisti nei confronti dell’eutanasia, e talvolta perfino dell’eugenetica”.

    Proprio su questo ho riflettuto appena sentita la notizia; che risposta, che posizione, abbiamo noi cristiani, io come cristiano? Veramente è questa, quella che citano i due personaggi, la posizione che traspare agli altri? Non avrei molta difficoltà a dire SI, è proprio quello che gli altri vedono e pensano di noi cistiani. Essere POSSIBILISTI in fondo vuol dire essere in mezzo al guado, ne da una parte, ne dall’altra, insomma non avere nessuna posizione. AVVERSARI? Forse non vogliamo esserlo, forse quel sentimento buonista, antiguerriglia, pacifista di questi tempi ha preso anche noi cristiani nella grande battalgia contro l’avversario principale; ma se abbiamo rinunciato a questa battaglia in un certo senso abbiamo alzato bandiera bianca, ci siamo arresi o peggio ancora in un certo senso siamo passati dalla parte dell’avversario.
    “Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?»”
    Questo è quello che in questo momento mi è tornato alla mente in modo forte, forse ci siamo, chissà.

  2. Eutanasia significa “buona morte” e, nello specifico, il dare una buona morte, alleviandone le sofferenze, a un malato terminale.

    Nel caso di Eluana Englaro c’è un errore di fondo: Eluana non è malata, Eluana non è terminale.

    In questo caso, più che di eutanasia, parliamo più chiaramente di omicidio, ovvero l’uccisione di una persona, che per Eluana vorrà dire morire di sete e di fame. Bella morte davvero…

    Ancora prima di esprimermi in merito a questa dolorosa vicenda, mi pareva doveroso chiarire la corretta terminologia, che forse volutamente viene ignorata, perché dire “eutanasia” è sicuramente più politicamente corretto che non dire omicidio.

    Ora, posso capire, non accettare, che i non credenti o i credenti a ciò che fa più comodo possano considerare giusto che si smetta di nutrire Eluana (non parliamo di macchine, questa giovane respira da sola…), ma che lo faccia chi si considera credente mi lascia basita: in cosa o in chi crede colui che si dice possibilista all’omicidio? Non in un Dio onnipotente, non in un Dio capace di trarre il bene, sempre, anche da situazioni innegabilmente tragiche, non in quel Dio che ha sacrificato suo figlio per dare la vita a noi.

    Eluana sicuramente non avrebbe accettato di continuare a vivere così, certo. Chi lo avrebbe accettato?
    E i bambini cerebrolesi, e gli anziani le cui funzioni cognitive si spengono ogni giorno di più, e i malati psichiatrici, e i tetraplegici? Anche loro potessero scegliere non vivrebbero così. E a loro, l'”eutanasia” gliela neghiamo? Che crudele è l’essere umano…

  3. Ma che cosa è vivo di Eluana? Non ha più alcuna funzione cerebrale, cognitiva, relazionale. Solo vegetale. E’ vita? Sinceramente non lo so. Spesso diciamo che “la natura deve fare il suo corso”, se in questo caso la “natura avesse fatto il suo corso” Eluana sarebbe già stata libera di andare via.
    Ma ci pensiamo a questo padre che vive da sedici anni la straziante agonia di una perdita-non perdita? Che vive in uno stato di lutto perenne senza possibilità di elaborazione? Ci rendiamo conto che Eluana E’ MORTA e stiamo constringendo quest’uomo a vegliare una bara da sedici anni? Io sono contro l’eutanasia e per la vita. Ma la vita se n’è andata via da quel corpo sedici anni fa.

  4. Come dicevo non intendo sindacare sul dolore altrui, per il quale voglio continuare a provare rispetto; quel che sottolineavo – e il gentile intervento di Giambattista lo confermerebbe – è la tristezza per una società che ha perso il senso della vita. Vita che non è per forza correre, saltare, votare, cantare, ma anche solo respirare.

    Anche noi, “se la natura avesse fatto il suo corso”, saremmo morti nei primi giorni di vita, non riuscendo a nutrirci da soli.

    Eluana respira, come respirano i tanti che sono nella sua stessa condizione, e io – come cristiano – non mi sento in diritto di sopprimere quel suo respiro, come non ho diritto di lasciarmi andare per inedia o fame, né di provocarla ad altri.

  5. Come cristiano la penso esattamente come te Paolo. Però, se un fardello così sarebbe difficile anche per noi che abbiamo (io poca) fede in Dio, non sento di poter condannare quest’uomo per li sua scelta. In questo caso specifico, sono veramente in dubbio, e mi viene da dar ragione ai valdesi quando dicono che certe cose non si possono decidere sulla base di principi astratti. Resta poi un problema di fondo, che si ripropone anche in altre questioni. Tu e io Paolo, siamo cristiani, abbiamo dei principi e cerchiamo di seguirli con coerenza. La società di oggi però è sempre più frammentata in una miriade di posizioni differenti. Anche i laici vogliono seguire la propria coscienza come vogliamo fare noi, perché loro non dovrebbero avere lo stesso diritto?
    Un caro saluto a tutti.
    Giambattista

  6. Comprendo il tuo punto di vista, ma non capisco perché dobbiamo pensare al padre – che, ripeto, merita tutto il rispetto e la comprensione – e mai alla figlia, che ha altrettanto diritto a vivere anche se potrebbe aver detto, in passato, di non voler sopravvivere in situazioni simili.

    Sul piano della comunicazione credo sia una mossa astuta dei media, e di certa parte politica, per spostare l’argomento della discussione sorvolando colpevolmente su alcune questioni fondamentali: un po’ come si fa quando si parla di “diritto insopprimibile della donna” a discapito del nascituro.

    Tentiamo di non cadere almeno noi in questo malinteso.

  7. Ciao Giambattista, vorrei farti una domanda: cosa vuol, dire “vita” secondo te? Cioè, qual è il tuo concetto di vita?

    Te lo chiedo perché ciò che non è vita per te può esserlo per qualcun altro e viceversa.
    Di certo c’è che nessun medico può dire con assoluta certezza che Eluana sia completamente avulsa al mondo esterno, totalmente indifferente alle carezze e alle voci delle persone intorno a lei. In medicina si suppongono molte cose, ma non su tutto c’è certezza e il cervello umano è uno degli organi del corpo umano meno conosciuti a causa della sua complessità.

    Qualche mese fa sono stata a un corso di formazione sulla donazione d’organi (corso obbligatorio per gli operatori sanitari) e abbiamo discusso anche su cosa s’intenda davvero per morte. La morte di una persona, secondo la medicina, non è quella cerebrale, come comunemente si sente dire, ma l’encefalica, cioè quella che comprende il cervello (morte cerebrale), il cervelletto e il tronco encefalico. Anche, anzi soprattutto in un campo come questo, i medici si pongono dei dubbi e molti di essi ritengono che in effetti sia difficile dire con sicurezza che la morte encefalica sia davvero morte.

    Non ho mai sentito dire da un medico che una persona in coma vegetativo persistente, questo è lo stato di Eluana, sia morta. Perché davvero non lo è.

    Voglio raccontarti l’esperienza vissuta dal fratello di un amico della mia famiglia: dopo un incidente era stato ricoverato in rianimazione per diverso tempo. Le sue condizioni fisiche erano gravi, poi si sono stabilizzate. Era in uno stato di coma vegetativo e il personale della rianimazione lo considerava “isolato” dal mondo esterno (non comunicava, non reagiva agli stimoli, etc…). Avevano già accennato ai parenti della possibilità che potesse diventare un donatore di organi (cosa che può avvenire quando c’è la morte encefalica e non prima, quindi non era ancora questo il caso), quando questo signore si è risvegliato. Succede, grazie a Dio. Si è ripreso bene, i familiari erano felici, ma lui è rimasto scioccato: durante il ricovero in rianimazione aveva sentito tutto quello che si diceva intorno a lui. Tutto. Persino che era un candidato all’espianto dei suoi organi. Per i medici è stata una grande, e credo non gradita, sorpresa…

    Ecco, io vorrei che anche chi non è credente non pensi di avere la verità in tasca in materia di coma, perché davvero se ne sa meno di quello che si pensa. E noi, come cristiani, come ben dici tu Giambattista, dovremmo difendere la vita, anche quando, umanamente parlando, a noi, ripeto, a noi – che camminiamo, sorridiamo, parliamo, amiamo – sembra non essere vita o almeno non sembri degna di essere vissuta.

    Paolo, bello il parallelo con il neonato, che lasciato a se stesso non potrebbe che morire.

    Un saluto a entrambi 🙂
    Ciao, Sandra.

  8. Intendo per vita la presenza dell’anima e dello spirito nel corpo, insomma quella parte di noi immateriale dove stanno sentimenti, volontà, emozioni, ragione, che ci rende esseri umani nel senso pieno del termine e non un insieme di cellule tenute lì, e che dubito si trovi ancora nel corpo di Eluana.
    Purtroppo il dibattito su questo tipo di questioni è inquinato da due opposti fondamentalismi: quello scientista che, in ultima analisi, degrada la vita a mero bene di consumo da gettare via quando non funziona più bene, e quello cattolico, che pretende di imporre i propri dogmi (non sempre giusti) anche ai non credenti; quest’ultimo denunciato anche da un illustre cattolico come il priore di Bose Enzo Bianchi, che dice: “Si, oggi c’è troppa nostalgia di “cristianita”: si riaffacciamo pretese e invadenze e si vorrebbe imporre quello che nel cristianesimo si può solo proporre”.
    I media, faziosi ma equamente schierati, non contribuiscono certo a creare il clima di serenità necessario per decidere come regolare tali delicatissime questioni.
    Come cristiani siamo certamente chiamati ad affermare i valori della Parola di Dio, sopratutto vivendoli con coerenza. Ma non possiamo pensare di poterli imporre per legge, né che la libertà di coscienza sia appannaggio esclusivo dei credenti.
    Sappiamo qual’è la scelta giusta ma non possiamo obbligare chi non ci crede a farla.

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