Scienziati infelici
Uno studio scientifico segnalato oggi da Repubblica ci mette di fronte alla triste realtà: «Passa tutto, anche abbastanza in fretta, e dopo qualche tempo, cinque anni al massimo, si torna a essere felici come una volta. Chi più, chi meno».
Insomma: come esseri umani abbiamo una notevole capacità di adattamento, e questo comporta da un lato che il dolore non è permanente, ma dall’altro lato che nemmeno la felicità è costante.
La ricerca, curata da economisti e psicologi, è durata vent’anni e ha coinvolto oltre diecimila tedeschi tra i 16 e gli 80 anni; gli studiosi hanno preso in considerazione sei momenti che, nel bene e nel male, lasciano il segno nella vita di una persona: matrimonio, nascita di un figlio, divorzio, perdita del partner, disoccupazione e licenziamento.
Gli esperti hanno poi valutato, per ogni singola persona, “le oscillazioni del livello di soddisfazione” che negli anni precedevano e seguivano lutti e lieti eventi, misurando l’umore e scoprendo che tutto, nel bene e nel male, si dimentica.
Non solo: nonostante nella capacità di adattarsi molto dipenda dal carattere e dai “marcatori genetici” delle singole persone, è possibile individuare un lasso di tempo capace di curare le ferite e stemperare le gioie: cinque anni. In un lustro, infatti, si torna più o meno come si era prima.
Gli esperti hanno concluso con un consiglio abbastanza deprimente: «Provare la durata della felicità ci deve servire a essere più fatalisti».
La ricerca ci ricorda ancora una volta il libro dell’Ecclesiaste, dove – con metodi meno scientifici – il protagonista aveva già provato a verificare la radice più profonda della felicità umana. La sua conclusione era stata, guarda caso, che tutto è inutile, che nulla cambia veramente la nostra esistenza e che prima o poi tutto torna com’era.
Le somiglianze con la ricerca tedesca sono sorprendenti, ma le conclusioni opposte. Scoprire quanto siano vane le vicende umane ha portato gli scienziati a concludere che la vita non ha senso, che la nostra esistenza è un mesto gioco dell’oca dove periodicamente si viene retrocessi al via.
Salomone, al contrario, nel vedere l’inutilità sostanziale di ogni gesto umano ha rafforzato la propria fede e la certezza che l’unico vero significato per la vita può venire proprio dal rapporto dell’uomo con Dio.
Per gli scienziati questa ricerca è solo una triste conferma: l’esistenza, dicono, è solo una vite spannata che gira a vuoto. Per Salomone – e, speriamo, per ogni cristiano – è invece la conferma del fatto che Dio è ancora, e sempre di più, l’unico motivo per il quale vale la pena vivere.
Pubblicato il 15 luglio, 2008, in Uncategorized con tag Adattamento, bene, carattere, cristiano, Dio, Equilibrio, esistenza, eventi, fatalità, fede, felicità, ferite, genetica, male, memoria, obiettivo, psicologia, religione, ricerca, Salomone, scienziati, soddisfazione, speranza, umore, Vita. Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.
…se la loro conclusione e’ vera, la prima domanda che farei a questi scienziati se la vita non ha senso allora e’: perche’ la vivono? la seconda e’: se dunque la loro vita non ha senso allora forse anche altre cose che loro fanno nn hanno senso… quindi anche la loro ricerca potrebbe alla fine non avere un senso…
… “una vite spannata che gira a vuoto” …cioe’ hanno fatto una ricerca per confermare che il loro lavoro, vita, sforzi…ricerche… sono inutili… ma che le fanno a fare allora!?!?!?!?!?! bah… e questi sono gli scienziati… figuratevi gli altri 🙂 va bene buttatemi fuori… 😀