Archivio mensile:agosto 2008
Valigie a metà
Chissà se è morto felice. Nei giorni scorsi si è sparsa la voce che Dave Freeman è mancato per un banale incidente domestico.
Chi sia Dave ce lo hanno raccontato le cronache degli ultimi anni, quando era diventato noto per un giorno (come tanti, da quando i giornali hanno troppe pagine da riempire e i lettori troppo stress da scaricare) per un suo progetto: una lista di cento cose da fare prima di morire.
Aveva messo in fila, come facevamo tutti da bambini, un elenco di esperienze che avrebbe voluto far sue prima di lasciare questo mondo: perché, questa era la sua tesi, non si può mai dire di essersela spassata abbastanza, in questa breve vita.
Per questo ha deciso di scappare dai tori per le vie di Pamplona alla fiera di San Firmino, buttarsi da una torre legato per le caviglie in un tipico rito di iniziazione indigeno delle isole Vanuatu, immergersi nel fiume Gange, e così via.
La sorte l’ha colto impreparato, verrebbe da dire, o quantomeno a metà del suo percorso di vita ideale: aveva realizzato metà dei suoi cento desideri. «La vita è un viaggio breve. Come puoi essere sicuro di riempierla con quanto di più divertente ci sia, visitando i più bei posti che esistono sulla Terra, prima di fare la valigia per l’ultimo viaggio?», diceva.
Non sappiamo se negli ultimi istanti di vita, quelle frazioni di secondo in cui ti passa davanti l’intera esistenza, Dave abbia potuto tirare un bilancio sulla qualità del suo “breve viaggio”, chiudendolo con un sospiro di sollievo, o se fosse rammaricato per non aver vissuto abbastanza.
Non lo sappiamo né potremo mai saperlo: ma, a ben guardare, non ci preoccupa. Quel che invece ci interesserebbe sapere, semmai, è se al momento della dipartita la valigia di Dave fosse pronta.
La politica del paradosso
Geniale, il sindaco di una cittadina in provincia di Vercelli. Riferisce la Stampa che «chi si sposerà nel comune di Varallo… riceverà in regalo un “manuale pratico di separazione e divorzio”, Il curioso dono nuziale è frutto della creatività del primo cittadino del Comune piemontese, Gianluca Buonanno. “L’obiettivo – spiega il sindaco – è fornire ai futuri sposi tutte le informazioni utili nell’eventualità, non auspicata, ma purtroppo sempre più frequente, di una separazione».
Va detto che il sindaco «non è nuovo a trovate estrose, sulle pagine dei giornali erano già finite altre “imprese” estive, come il “sindaco spazzino” e il “deputato a domicilio”».
E, bontà sua, «forse per mettere le mani avanti rispetto a eventuali polemiche, Buonanno spiega che il suo provvedimento altro non è che “un modo semplice, ma efficace, per far capire che il matrimonio è una cosa seria”».
Geniale, dicevamo. Per far capire che il matrimonio è una cosa seria, cosa si inventa il sindaco? Un corso prematrimoniale civile, come hanno fatto con successo alcuni sui colleghi (di centrosinistra, tra l’altro)? Un discorso spiazzante nell’ambito della cerimonia nuziale, come il parroco del film “Casomai”? Un libretto-ricordo dove segnare anno dopo anno i momenti topici della vita familiare, come si usa fare in alcuni comuni? O magari un rito che sancisca in maniera significativa, oltre allo scambio delle fedi e alle classiche firme, l’impegno matrimoniale?
Ma no, ci mancherebbe: un sindaco che si è già distinto per le sue doti di spazzino e che ha parificato il ruolo di parlamentare a quello di piazzista a domicilio non poteva essere così banale.
E quindi, via: un bel manuale per la separazione e il divorzio da regalare agli sposi al momento del “sì”. Ma sia chiaro, mica per agevolare da subito intenzioni poco raccomandabili: anzi, per “far capire che il matrimonio è una cosa seria”.
Consolidare il matrimonio regalando le istruzioni per farlo fallire senza troppi disagi burocratici. La speranza è che sia solo una provocazione, ma non ne siamo così certi.
Per questo tremiamo pensando a quali potranno essere le prossime iniziative legate all’estro del sindaco. Chissà se, dopo il manuale per il divorzio facile donato agli sposi, si inventerà un manuale sulle onoranze funebri da donare ai neo papà all’atto dell’iscrizione del pargolo all’anagrafe.
Certo, spiegherà poi il sindaco di fronte alle polemiche, mica è per augurare loro di morire giovani: però si sa che è meglio essere pronti, dato che la morte è una spiacevole eventualità in cui si imbattono molti.
A scanso di equivoci: Gianluca Buonanno non milita in qualche partito della diaspora comunista, non gioca ai girotondi, non è un discepolo markusiano, non teorizza la fine dei valori. È un parlamentare della Lega nord.
Segno che non è mai il caso di fermarsi ai luoghi comuni.
Effetti collaterali
Una volta i ministri erano azzimati. Anziani, se preferite. Vecchi, per molti versi. Tanto vecchi che, dopo decenni di politica attiva, li si accusava di aver perso il contatto con il territorio, talvolta perfino con la società, e sicuramente con i giovani, di cui non riuscivano a capire le speranze.
Si è invocato per intere legislature un cambio generazionale, agitando sui giornali il virtuoso esempio – così si voleva far considerare – di tutti i paesi europei, dove presidenti e ministri erano giovani o giovanissimi, a ovest come a est. Insomma, si faceva presto a maliziare sul fatto che dopo la caduta del Muro, e con lui dei politburo, l’Italia era il paese con i governi e i parlamenti più vecchi.
L’accusa è caduta da quando il nuovo presidente del consiglio, per altri motivi, ha preso alla lettera questa argomentazione, proponendo un baby governo dove i trentenni la fanno da padroni. Una ventata di novità che ha dato vita a interessanti proposte alternative, a scelte meno politiche e più coraggiose, a uno svecchiamento nei tempi e nei modi. Se poi i risultati siano all’altezza delle attese, o se almeno lo saranno a fine mandato, è un’altra questione: intanto qualcosa è cambiato, e si vede.
Si vede, purtroppo, anche sui giornali: in questa estate 2008 il pettegolezzo di Stato ha avuto un’impennata che ha oscurato anche le vicende della vipperia televisiva in salsa sarda, quella che ogni anno delizia i rotocalchi con legami, tradimenti e abbandoni degne del peggiore Olimpo letterario.
In primavera hanno avuto buon gioco, i giornali stranieri, a ricordare il passato velinaro di una giovane ministra, eletta – magra consolazione – la più affascinante del continente: il ritorno di foto e calendari risalenti a una vita (gaudente) fa deve essere stato imbarazzante per lei, ma lo è stato soprattutto per il ruolo che ricopre.
Poi, con i primi caldi, si è aperta la caccia al “Pinco Pallino”, presunto compagno che un’altra ministra pudicamente celava agli occhi dei media.
A chiudere il cerchio mancava solo il ministro all’istruzione. Forse per il suo ruolo, forse per la sua immagine, la facevamo inflessibile e austera nonostante i suoi trent’anni: una via di mezzo tra la maestrina dalla penna rossa e la signorina Rottenmeier.
E invece no: ecco che anche lei, formalmente single come le altre, è stata sorpresa – e prontamente paparazzata – in affettuose effusioni con un aitante immobiliarista.
Sono giovani, verrebbe da commentare benevolmente con un sorriso paterno. E, in fondo, è vero. Se oggi si è giovani fino a cinquant’anni, a trenta si viene considerati poco più che adolescenti: nei negozi ti danno del “tu” e nessuno si scandalizza se vivi ancora in casa con i genitori. E, si potrebbe aggiungere, i coetanei delle nostre ministre oggi in pubblico fanno ben di peggio di qualche tenero bacio ai tavolini di un bar.
Il punto è che le tre trentenni al Governo non sono solo giovani: sono ministri. Hanno accettato, in scienza e coscienza, un certo incarico, ben consapevoli del peso, dell’impegno, degli effetti collaterali, dell’esposizione mediatica. Dai ministri ci si aspetta un certo lavoro e un certo decoro, e il fatto che i cattivi esempi siano stati troppi – in Italia e all’estero – non cambia la questione di fondo.
Non basta infatti dire che “lo fanno tutti”. Forse sì, e forse è entrato nell’uso comune tanto che, ormai, nessuno si scompone più per così poco. Ma restiamo convinti del fatto che un servitore dello Stato dovrebbe rappresentare un esempio virtuoso: come chiunque abbia un ruolo di riferimento per la società, dai ministri di culto alle forze dell’ordine, dal magistrato al sindaco. A prescindere dall’età.
Laici a parole
Dopo la tragedia, il disprezzo.
Titola il Corriere: “Soltanto funerali cattolici per le vittime di Madrid. Polemica contro il governo”. A quanto pare, infatti, «i funerali pubblici per i 154 morti nella catastrofe aerea di mercoledì scorso, a Madrid, sono stati organizzati dall’arcivescovado, e non sono di Stato».
Differenza solo formale, dato che «a occhio, la differenza non si percepirà lunedì prossimo nella cattedrale dell’Almudena: ci saranno i rappresentanti di Moncloa e Casa Reale; e, soprattutto, non ci sono altre cerimonie ufficiali in programma».
«Gli evangelici – scrive ancora il Corriere – sono i più risentiti: parlano di “dolore aggiuntivo” e disprezzo dei sentimenti”» per i familiari del pastore evangelico Ruben Santana Mateo, scomparso nell’incidente. Protesta l’Alleanza evangelica spagnola, che avrebbe chiesto, se non un funerale evangelico per il pastore, almeno un rito ecumenico o laico. Invece no: funerale cattolico per tutti, siano protestanti, musulmani o atei.
Amaro. Non deve essere piacevole trovarsi privati della possibilità di congedarsi da un proprio caro nella maniera che si ritiene più opportuna, tanto più vedendosi imporre un funerale di un altro credo: una situazione oltretutto paradossale e ancora più incomprensibile se è vero, come afferma il presidente Zapatero, che non si tratta di esequie ufficiali.
Non è una questione religiosa, ma politica. Perché questo fatto accade proprio dove meno ci si aspetterebbe, ossia nella laica Spagna del 2008.
Ma come, caro Zapatero. Proprio lei, che vede la religione, specie quella dominante, come fumo negli occhi, e che si vanta di aver liberato lo Stato da tutte quelle credenze superstiziose dopo secoli di oscurantismo.
Proprio lei, che tutela tutte le minoranze (o forse, viene da pensare ora, solo quelle che fanno notizia). Proprio lei, che sta dalla parte dei deboli e di chi non ha voce.
Proprio lei, che ha cambiato le leggi per rendere tutti uguali fino all’ultima minuzia.
Proprio lei, che ha permesso a tutti di celebrare il proprio amore in maniera ufficiale, a prescindere dal sesso con cui ci si trova a nascere.
Proprio lei, che ha tolto le croci dai muri e le Bibbie dai tribunali per non turbare chi la pensa diversamente, o per chi semplicemente si limita a non pensare.
Proprio lei, tanto attento ai diritti degli “altri”, dei “diversi”, proprio lei si rende complice di un’ingiustizia che – per i suoi parametri – dovrebbe urlare vendetta al cielo, o almeno alla Corte europea.
Proprio lei: non solo non concede a un ministro di culto il diritto a un funerale secondo il suo rito. Addirittura gli impone un funerale di una confessione diversa. E, oltretutto, nascondendosi dietro un distinguo piuttosto ipocrita – e piuttosto risibile – tra funerali ufficiali e funerali di stato.
Per Ruben Santana, il pastore perito nel disastro aereo, non cambierà nulla. Per i suoi parenti, probabilmente, sì: al dolore per la perdita del proprio caro si aggiungerà l’amarezza di una vicenda kafkiana che si potrebbe, e si dovrebbe, evitare.
Perché certo, caro Zapatero, è facile passarsi per progressisti cercando lo scontro su temi di grande impatto mediatico. È facile riempirsi la bocca con parole come “diritti”, “laicità”, “solidarietà”.
Vivere ogni giorno il rispetto per l’altro è molto più difficile.
Anche per lei.
Cristiani a cinque cerchi
Si è parlato poco di fede, durante queste Olimpiadi. Sarà perché si svolgono in un paese a libertà limitata, o forse perché gli inviati avevano di meglio da raccontare.
All’inizio delle competizioni abbiamo visto solo la testimonianza cristiana dell’italiano Pellielo, riportata peraltro senza troppo entusiasmo dalle testate nazionali; poi più nulla, anche se qualche spunto utile ci sarebbe stato: si sarebbe potuto indagare sui perché la divisa dello Zimbabwe riportasse in evidenza la dicitura “Faith”, fede; oppure sulle motivazioni della giamaicana che dopo la medaglia d’oro si è inginocchiata sulla pista in preghiera. Evidentemente è più comodo fare i provinciali e riferire le curiosità più banali della capitale cinese, con un atteggiamento da turista che torna dalle vacanze e vuole stupire gli amici.
Un sospiro di sollievo arriva da un allenatore coreano: si tratta di Kisik Lee ed è in forza alla nazionale statunitense di tiro con l’arco. Riferisce la Stampa che «non è solo l’allenatore della nazionale di arco Usa, ma anche e soprattutto una guida spirituale per i componenti della sua squadra e battezza i suoi atleti immergendoli nelle piscine. […] Durante i Giochi Olimpici di Pechino, Lee e almeno tre dei cinque arcieri che stanno partecipando alle Olimpiadi si danno appuntamento ogni mattina per cantare inni, leggere la Bibbia o partecipare alla messa [sic] nella chiesa del Villaggio Olimpico».
Sarebbe stato interessante sapere di più su questi battesimi “olimpici”, ma ci rendiamo conto che il servizio sui cormorani cinesi fosse più succulento di un servizio battesimale in un paese dove è vietato perfino importare una Bibbia.
Dal dire al fare
Norme sempre più severe per chi guida: il governo – o, piuttosto, un sottosegretario che ha approfittato del silenzio ferragostano per ottenere il suo quarto d’ora di celebrità – starebbe per emanare nuove norme contro gli eccessi di velocità, l’uso del cellulare alla guida e il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza. Non solo: potrebbe diventare più difficile ottenere la patente, rinnovarla, recuperare i punti perduti.
Per quanto riguarda il telefonino – una delle passioni nazionali – si minaccia addirittura l’obbligo del viva voce, perché sembrerebbe che perfino l’auricolare costringa a distrarsi troppo.
Se saranno solo boutade agostane o proposte concrete, lo vedremo a settembre. Resta, in questo ultimo scorcio d’estate, qualche domanda.
Ci si dovrebbe domandare il senso dell’annuncio anticipato, che di solito non corrisponde mai nella sostanza alla legge effettivamente approvata.
E ci si dovrebbe domandare anche se inasprire le leggi non sia un triste retaggio di altri tempi e altre culture, di quelle gride manzoniane incapaci di farsi rispettare.
Una democrazia seria non si distingue per la quantità di leggi, ma la certezza del diritto: poche norme, semplici e fatte rispettare.
Ecco, forse il problema è proprio qui. Fate un banale esperimento: verificate quanti rispettino ancora il divieto di uso del cellulare alla guida. Noi ne abbiamo contati un po’ troppi, anche tra quegli stessi elementi che dovrebbero rappresentare e garantire la sicurezza. Ci siamo sentiti delusi, e anche un po’ presi in giro.
Francamente non sembra che le leggi non ci siano, o non siano adeguate. Basterebbe renderle efficaci, magari sostituendo gli annunci con qualche banale, sporadico, doveroso controllo.
Tra carte e comode rate
Repubblica dedica ampio spazio al reverendo John Jenkins della First Baptist Church di Glenarden, a due passi da Washington, protagonista di una crociata contro il consumismo: «John K. Jenkins, il pastore, lo ripete in continuazione: “Non dovete diventare schiavi dei debiti e dei creditori, lo dice la Bibbia” e parte con le citazioni di capitoli e versetti. Nella crisi economica americana, che si mostra soprattutto nelle difficoltà di pagare le rate dei mutui, delle carte di credito, delle auto o dell’assicurazione sanitaria, un ruolo di aiuto sempre maggiore lo sta giocando la religione. […]
Così in tutto il Paese, accanto ai tradizionali corsi di catechismo o prematrimoniali, sono nate le classi di Financial Freedom – libertà finanziaria – per insegnare a gestire l’economia familiare, a rientrare dai debiti e a vivere di quello che si ha».
Per Jenkins, scrive Mario Calabresi, «Il nuovo “satana” sono le carte di credito, che danno l’illusione di una ricchezza che in realtà non si possiede».
Il problema esiste anche da noi, per quanto in forma diversa. Certo, bisogna sostituire “carta di credito” con “rata mensile”, ma il risultato è lo stesso. Galeotto fu chi inventò il pagamento rateizzato, e incauto chi lo definì “comodo”: l’illusione di poter acquistare qualsiasi cosa si desideri, senza limiti, pur di non provare disagio per quella quota che, mensilmente, alleggerisce il nostro conto corrente. In certi casi fino a farlo diventare trasparente.
Un tempo esistevano corsi di economia domestica che insegnavano ad amministrare le finanze familiari; oggi evidentemente quella preparazione è venuta a mancare, se anche i meno sprovveduti non sanno districarsi tra tan e taeg, e finiscono per stipulare finanziamenti capestro quando potrebbero almeno, con un minimo di buonsenso, ottenere condizioni decisamente migliori.
Se il problema esiste, ed è esteso, è opportuno correre ai ripari, come ha fatto il reverendo Jenkins: magari, al grido di “a mali estremi, estremi rimedi”, triturando le carte di credito – si sa, negli USA sono piuttosto plateali – e soprattutto offrendo corsi per insegnare a gestirsi meglio. Che non significa tanto sapersi districare tra le condizioni dei circuiti creditizi, quanto imparare a spendere nel modo migliore.
Sembrerà strano, ma su questo versante la Bibbia è una insospettabile fonte di suggerimenti e indicazioni: non è un pretesto, e se ne sono accorti in molti anche in Italia, dove manager di successo che hanno sperimentato l’efficacia di queste indicazioni e hanno sviluppato corsi dedicati alla cura delle proprie finanze in maniera saggia.
Qualcuno obietterà chiedendosi se sia davvero un tema che riguarda la vita cristiana. Tutto sta nel capirsi: se per vita cristiana intendiamo ogni aspetto dell’esistenza, anche quelli più concreti, allora la risposta non potrà che essere affermativa.
La saggezza, l’equilibrio, il senso di responsabilità sono capisaldi nella vita di ogni cristiano: dal punto di vista più strettamente spirituale, ma non solo.
(Buon)senso di giustizia
In questi ultimi tempi la tolleranza verso i mendicanti sta raggiungendo livelli di guardia: sono sempre più numerosi i sindaci che emettono ordinanze di varia intensità, accomunate dall’intenzione di allontanare i questuanti dal centro cittadino.
Il problema, si sostiene da più parti, non sono i bisognosi, ma coloro che hanno fatto dell’accattonaggio un mestiere, oltretutto lucroso, insieme a coloro che non si limitano a chiedere ma arrivano a importunare i passanti: insomma, via gli imbroglioni e gli scocciatori.
Se il problema è davvero questo, pare interessante l’esperienza che in questi ultimi mesi si è sviluppata nel quartiere Portoria di Genova grazie all’impegno di un carabiniere. Si chiama Sergio Scupola, trent’anni, ed è un appuntanto scelto; da buon carabiniere – o semplicemente da buon cittadino – non sopporta i furbi. Così, nel suo ruolo di carabiniere di quartiere ha deciso di impegnarsi per allontanare dalle strade della zona i falsi poveri, i falsi invalidi, i falsi malati. «Ha “monitorato” tutta la zona – spiega il Corriere -, ha fatto una sua mappa mentale di chi chiede l’elemosina, ha scattato fotografie, compiuto indagini e anche qualche pedinamento».
Così ha scoperto malati gravi che godevano di ottima salute, miseri senza tetto con una casa più che dignitosa, pescatori che finanziavano il loro hobby con gli oboli degli ignari passanti, e addirittura un agiato pensionato che arrivava da Savona per chiedere l’elemosina al semaforo perché “a casa non sa cosa fare”.
Per scoprire queste vicende e far cessare gli abusi non sono servite intercettazioni, l’esercito, investigatori, Ris, intimidazioni, malversazioni o aggeggi tecnologici: è bastato un carabiniere gentile e intelligente che al momento giusto ha saputo estrarre dalla fondina dell’anima l’arma del dialogo e dell’umanità. Facendo prevalere, nel suo piccolo, quella giustizia spicciola che migliora la vita di tutti i giorni.
Parametri d’infelicità
Ora è ufficiale anche per la statistica: le famiglie italiane sono in sofferenza. Lo rivela – casomai ce ne fosse stato bisogno – l’Istat, che nei giorni scorsi ha pubblicato l’indagine sulla spesa delle famiglie italiane nel 2007.
Curiosamente negli ultimi anni la statistica ha subito un effetto comune anche alla temperatura, con una scollatura tra dati ufficiali e realtà percepita: gli esperti rassicuravano su un’inflazione bassa, e noi vedevamo crescere settimana dopo settimana il costo della spesa. A quanto pare, quindi, alla fine anche la statistica è tornata con i piedi per terra e si è allineata alle impressioni generali.
La deprimente situazione emersa dall’indagine, secondo gli esperti, fa emergere dati poco rassicuranti per il futuro: «Dal punto di vista macroeconomico – spiega Pietro Garibaldi sulla Stampa – la diminuzione reale dei consumi è uno dei fenomeni più preoccupanti, poiché nel lungo periodo il livello dei consumi è un indicatore chiave dello standard di vita».
Di fronte a una frase come questa, inserita quasi en passant tra dati e analisi, sorge un dubbio. Viene da chiedersi se la qualità della vita sia davvero così intimamente legata al livello dei consumi. Sarebbe sciocco negare che esistano delle esigenze primarie (come nutrirsi, vestirsi, abitare) sotto le quali la situazione umana si fa critica. Ma, allo stesso tempo, sarebbe forse il caso di chiedersi se, nella cultura occidentale, cercando una definizione del concetto di felicità non abbiamo dato troppo peso al parametro economico, alla soddisfazione materiale, al possesso.
Forse un momento di crisi come quello attuale, tra i tanti disagi che comporta, potrebbe avere il pregio di farci capire che la vera ricchezza di un popolo non si misura in playstation o schermi al plasma, e che la felicità non si conserva insieme allo scontrino.