Archivio mensile:settembre 2008

Cani e cristiani

Non trattate i cani meglio dei cristiani: è questo l’appello che don Mauro Scattolon, parroco di Spinea (VE) ha fatto sul periodico parrocchiale.

L’editoriale, in forma di lettera indirizzata al “caro cane”, si rivolge in realtà ai padroni che per il proprio fedele amico spendono più che per la carità cristiana. E si chiede, nemmeno troppo retoricamente, se nella zona verrà realizzato prima il canile o un alloggio per extracomunitari.

La questione, che gli ambientalisti hanno subito volto in polemica, non è oziosa. Tantomeno per i cristiani, che – è bene ricordarlo – hanno scelto una strada caratterizzata da un comportamento, un pensiero, un’etica non casuali né indifferenti.

Uno dei principi biblici più pressanti, dopo l’amore incondizionato per Dio, è “ama il tuo prossimo come te stesso”: a scanso di equivoci, va precisato che la Bibbia parla di esseri umani.

La Bibbia non ci dice se sia buono o no tenere cani o gatti, se sia corretto coccolarli, se sia giusto curarli. Ci insegna sicuramente il rispetto per il creato e l’umanità, ma non deve diventare un alibi né – come dicevamo nei giorni scorsi – una priorità assoluta nella nostra vita.

Il creato ha un senso, che man mano l’uomo comprende sempre di più e sempre meglio, e anche gli animali, va anche detto, ne hanno uno: se immergersi nella natura è quanto di più piacevole e rigenerante esista di fronte allo stress, la pet therapy è ormai riconosciuta a tutti i livelli come una cura per una serie di disagi comportamentali.

La questione cambia, però, se l’animale prende il posto dell’uomo. Si chiede don Scattolon se per caso non dedichiamo più carezze, attenzioni, cure e affetto al nostro cane (o gatto) rispetto a quante ne doniamo ai nostri familiari: figli, consorti, genitori anziani. Se non proviamo una maggiore pietà per un cucciolo abbandonato di quanta ne proviamo per un anziano che passa da solo la sua giornata davanti alla televisione.

O addirittura se, da cristiani, non troviamo ormai normale dedicare più risorse economiche al benessere del nostro cucciolo di quanto ne riserviamo ai bisognosi, che magari liquidiamo con un generico e superficiale “va’ a lavorare!”.

Non esiste una regola, ma esiste una soglia.

Una prima soglia, di buonsenso, ci riguarda come esseri umani e dovrebbe evitarci almeno di insultare la dignità del nostro prossimo privilegiandogli senza ritegno il nostro beniamino a quattro zampe.

Una seconda soglia, morale, ci riguarda come credenti e dovrebbe muovere – senza regole né imposizioni – direttamente dalla pietà cristiana e dalla maturità spirituale di ognuno di noi.

Ci rendiamo conto che può non essere così semplice attenersi a simili parametri, in una società che ci porta in tutt’altra direzione.

E allora, in assenza di una spiritualità cristiana dignitosa, comportiamoci almeno in maniera umana.

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Sorprese nostrane

I giornali oggi danno spazio all’ultimo scoop su Sarah Palin, candidata vicepresidente con John Mc Cain, che tre anni fa nella chiesa pentecostale della sua città era stata benedetta dal suo pastore con una preghiera dedicata al suo impegno politico.

«Noi chiediamo, salvala da Satana, mostrale il cammino, Dio. Porta finanze alla sua campagna in nome di Gesù. Usala per invertire la rotta di questa nazione»: così, secondo Il Giornale, avrebbe pregato Thomas Muthee (che la testata definisce “vescovo”), pastore delle Assemblies of God di Wasilla (Alaska), ripreso in un video amatoriale e finito su Youtube (ovviamente in un momento topico della campagna elettorale).

Sia il Corriere che il Giornale aggiungono testualmente che «il video è destinato a riaprire la polemica sull’affiliazione di Palin alla controversa chiesa pentecostale [secondo Il Giornale, “pentacostale”], che crede nel “battesimo nello Spirito Santo” che si può manifestare nel “parlare in lingue”, nella capacità profetica e di guarigione».

C’è da chiedersi quale sia la fonte, sicuramente comune, che ha ispirato il commento dei due illuminati giornali, e se questa fonte conosca davvero la realtà americana: negli Stati Uniti gli evangelici pentecostali – escludendo qualche immancabile esagerazione – non danno infatti il destro per particolari critiche, al pari delle altre realtà evangeliche.

La sorpresa – o peggio, la “polemica” – relativa al “parlare in lingue”, alle “profezie” e al “dono di guarigione”, non sembra quindi per niente americana. Anzi, suona fin troppo italiana.

Bibbia a colori

«La natura attraversa la Bibbia come una vite. Ci sono il giardino dell’Eden e il ramoscello d’olivo di Noè. Le querce presso cui Abramo si è incontrato con gli angeli e l’albero piantato presso i rivi d’acqua citato nei Salmi».

Adesso questa presenza verde ha avuto un suo riconoscimento con una nuova versione della Bibbia che verrà lanciata negli USA il prossimo 7 ottobre da Harper Collins. A caratterizzarla non è solo la carta riciclata e l’inchiostro ecologico (a base di soia), ma il testo stesso: «una versione della Scrittura – scrive Time – che richiama l’attenzione su più di mille versetti relativi alla natura e li sottolinea stampandoli in un piacevole colore verde foresta, come la “red letter edition” della Bibbia enfatizza le parole di Gesù».

Una versione che coglie la sensibilità sempre maggiore degli evangelici USA nei confronti della salvaguardia del creato, ma che probabilmente incontrerà qualche resistenza. E non perché usa la New Revised Standard Version, traduzione non amata dai conservatori: è il senso stesso del progetto a lasciare perplessi i battisti del sud, la corrente più conservatrice nel contesto evangelico. Rileva infatti Richard Land che l’ecologia «certo è importante, ma quando è stato chiesto a Gesù quale sia la cosa più importante, lui ha risposto “Ama il tuo Dio, e ama il tuo prossimo come te stesso”. Non ha detto nulla riguardo la creazione”».

Iniziativa interessante sotto vari punti di vista.
Intanto, ben venga una nuova versione della Bibbia che sia in grado di allargarne ulteriormente la diffusione e la lettura, purché la traduzione sia leggibile, fedele, accurata.
Tanto meglio se, come pare, la versione di cui parliamo potrà riuscire raggiungere un target appassionato ai temi sociali più che alla lettura delle Sacre Scritture.

In merito all’interesse dei cristiani per la salvaguardia del creato, va ricordato che non è una moda né un concetto nuovo. Apprezzare ciò che Dio ha creato, scoprire la perfezione di ciò che ci circonda, sorprenderci di fronte alle meraviglie della natura spinge il cristiano ad amare e a ringraziare con maggiore intensità il suo Salvatore.

Nello specifico, la salvaguardia del creato è un tema affascinante. E dei temi affascinanti non bisogna avere paura, anche se bisogna riconoscerne la pericolosità. Bene, quindi, l’attenzione alla tutela della natura, all’aiuto del prossimo, all’impegno sociale e magari anche all’azione politica.

Ma l’ecologia, come gli altri temi, non deve diventare una nuova ragione di vita, una nuova denominazione o un tema prevalente nella predicazione. Non va persa di vista la prospettiva: il centro della Bibbia è il rapporto di Dio con l’uomo, il suo scopo è raccontare che esiste per ogni essere umano la possibilità di ottenere la salvezza – quella salvezza che sfugge ai tentativi di raggiungerla con le nostre forze – attraverso l’azione di Gesù Cristo. Il resto è corollario.

Non comprendere la centralità di Cristo porta a considerare sullo stesso piano la “red letter edition”, che pone enfasi posta sulle parole di Cristo, con la nuova “green letter edition”, che sottolinea i temi ecologici contenuti nella Bibbia. E, magari, domani porterà a una nuova edizione che proclamerà con altri colori l’importanza di una dieta alimentare specifica, o dell’impegno sociale, politico, e chissà cos’altro ancora.

Insomma: mentre la Bibbia diventa multicolore, giorno dopo giorno rischiamo di leggerla guardando sempre più alle nostre mode, ai nostri interessi, alle nostre passioni, e smarrendo così il senso più profondo del messaggio di Cristo.

Quando ci si mette d’impegno…

Sono stato tra i pochi “non addetti ai lavori” che, ieri, hanno avuto il piacere di vedere l’anteprima de Il cielo sotto la polvere, primo film “serio” di Sergio Mascheroni dopo il cortometraggio Cinque minuti.

Per essere stato realizzato da non professionisti (in certi casi veri e propri dilettanti, ma comunque con una certa dignità) è un lavoro sorprendente: da un film cristiano non ci si aspetterebbe una qualità, una resa, una competenza tecnica così marcata.

Il lavoro, tra l’altro, conferma che Mascheroni è un sornione: ufficialmente è un grafico, ma sa scrivere testi (per le canzoni di Julim Barbosa), sa presentare (il festival Sabaoth, quantomeno), sa tenere seminari. E, a quanto pare, ne capisce anche di regia, montaggio e dintorni. Insomma, non esibisce le sue competenze, ma dimostra di sapere il fatto suo.

Su evangelici.net trovate la recensione in anteprima.

Quando ci si mette d'impegno…

Sono stato tra i pochi “non addetti ai lavori” che, ieri, hanno avuto il piacere di vedere l’anteprima de Il cielo sotto la polvere, primo film “serio” di Sergio Mascheroni dopo il cortometraggio Cinque minuti.

Per essere stato realizzato da non professionisti (in certi casi veri e propri dilettanti, ma comunque con una certa dignità) è un lavoro sorprendente: da un film cristiano non ci si aspetterebbe una qualità, una resa, una competenza tecnica così marcata.

Il lavoro, tra l’altro, conferma che Mascheroni è un sornione: ufficialmente è un grafico, ma sa scrivere testi (per le canzoni di Julim Barbosa), sa presentare (il festival Sabaoth, quantomeno), sa tenere seminari. E, a quanto pare, ne capisce anche di regia, montaggio e dintorni. Insomma, non esibisce le sue competenze, ma dimostra di sapere il fatto suo.

Su evangelici.net trovate la recensione in anteprima.

Dove si gioca

«Sul web finisce il primato dei siti hard: i social network prendono la leadership», segnala il Corriere.

Stando ai dati che emergono dai motori di ricerca, in dieci anni si è dimezzato l’interesse per siti a luci rosse, soppiantato dalla passione per l’interazione del web 2.0, dove la comunicazione è anima di un rapporto paritario e diretto tra gli utenti. Sui social network ci si conosce, ci si confronta, ci si scambia materiale, idee, pareri, si creano gruppi di opinione (e talvolta, sempre più spesso, si demoliscono matrimoni: ma questo è un altro discorso).

Che l’hard non tiri più come una volta può essere una buona notizia, sempre che l’utilizzo sia davvero calato e non si sia invece spostato – come qualche osservatore nota – verso canali diversi dai motori di ricerca.

La rapida ascesa delle reti sociali, invece, ci pone qualche interrogativo in relazione al nostro modo di relazionarci. Ci dice che gli utenti di Internet, oggi sono là: frammentati per interessi, suddivisi per canali più e meno frequentati, disposti a confrontarsi ma secondo certe regole.

Non solo. Per chi, come i cristiani, comunicare un messaggio è essenziale, questi dati non sono indifferenti: ci dicono che i siti-vetrina hanno fatto il loro corso, e non ha senso quindi investirci eccessive energie; ci spiegano che non è più efficace come un tempo l’esposizione di una verità senza la possibilità di riscontro, confronto, obiezione da parte di chi legge; ci indicano la “piazza” da frequentare se vogliamo che il messaggio arrivi ai destinatari.

Attenzione: parliamo di piazze da frequentare, non da creare. I canali esistono già, e hanno un ampio seguito. È lì che si deve svolgere la “missione”. È lì che dobbiamo sollecitare domande, stimolare il dialogo, suggerire risposte. È lì che si gioca la sfida a noi stessi – al nostro approccio, al nostro linguaggio, alla nostra capacità di farci capire da chi ci ascolta – prima ancora che agli altri.

Bibite e Bibbie

A volte non è tanto la notizia a fare la differenza, ma l’accostamento. Leggo oggi su booksblog.it che è disponibile un gadget decisamente curioso, una custodia per alcolici cammuffato da Bibbia. «Pur avendo l’aspetto dall’esterno di una copia della Bibbia – spiega l’articolo -, con tanto di titolo in inglese e decorazioni in oro, l’interno nasconde una fiaschetta classica da liquore, che dovrete semplicemente riempire con il vostro alcolico preferito».

Non è la prima volta che qualcuno usa una Bibbia per travisare contenuti meno nobili: dal detenuto che ci nasconde un martelletto da geologo al sindaco Peppone che, andando negli USA, ci inserisce il Capitale di Marx (in risposta a Don Camillo che, a sua volta, aveva inserito il breviario in una copertina più adatta al viaggio in URSS).

Va peraltro rilevato che l’azienda produttrice, nel realizzare la custodia per liquori, ha esercitato un minimo di pudore: il titolo sulla copertina non è “The Holy Bible” ma semplicemente “The good book”, il buon libro.

In ogni caso la notizia suona anche più curiosa se si tiene conto del fatto che, a tutt’altra latitudine e forse senza alcun contatto tra le due realtà, una nota libreria cristiana italiana ha pubblicizzato di recente una Bibbia con la custodia in latta, che nelle cromature e decorazioni richiama inequivocabilmente (e volutamente) una lattina di bibita: “la Bibbia, l’unico libro che toglie la sete” è stato lo slogan scelto per la promozione.

Che nostalgia dei tempi in cui si diceva “ogni cosa al suo posto”…

Tanti, ma felici

Cinquecento persone, lo scorso fine settimana, hanno partecipato alla festa dell’associazione nazionale famiglie numerose: si è svolta per la seconda volta in Veneto, in provincia di Vicenza, e ha dato ai presenti modo non solo di incontrarsi, ma anche di confrontarsi su temi di interesse comune.

Deve essere una bella sfida, quella di una famiglia numerosa. La giornalista del Gazzettino che ne parlava in questi giorni segnala appartamenti dove c’è “più disciplina che in una caserma”. Grazie al racconto di altri diretti ineressati sappiamo di famiglie di sei, sette, nove, anche quattordici persone dove il menage quotidiano non si riduce all’anarchia più totale, ma dove tutti aiutano tutti, in una economia di scala che vede tutti responsabili e nessuno escluso dalle scelte della famiglia.

Probabilmente i ragazzi non avranno tutti il cellulare, né vestiti firmati, e forse nemmeno abiti alla moda, e si dovranno accontentare della felpa già portata dal fratello maggiore (e magari anche più di uno). Eppure difficilmente si sentiranno questi ragazzi diffondersi in lamenti.

Colpisce che alla festa di Montecchio Prealcino si trovavano “bambini molto educati… senza un grido né un pianto”. Torna subito in mente, per contrasto, un qualsiasi intervallo scolastico tra due ore di lezione. O gli appartamenti dove i nostri vicini allevano figli assenti, pigri, insoddisfatti, senza uno stimolo capace di smuoverli, eccezion fatta per la suoneria del cellulare o l’ultimo modello di playstation.

Al contrario di loro, le famiglie numerose non possono offrire un doppione a ogni figlio: le bici saranno limitate, i pattini pure, e per potersi esercitare bisognerà – come accadeva prima degli anni Ottanta – imparare ad aspettare con pazienza il proprio turno, senza puntare i piedi o scadere in isterismi da tutto e subito.

Eppure parliamo di famiglie con un ampio numero di figli: forse questi genitori coraggiosi avrebbero qualche ragione per considerarsi giustificati nel vedere la prole crescere trascurata. Invece no. Educati, silenziosi, altruisti.

Allora viene da pensare che la famiglia numerosa sia una scuola di vita. Che non largheggia nel lusso, ma forma in maniera efficace. Forse i genitori non tornano a casa stanchi sentendo il diritto di estraniarsi per riprendersi dalle fatiche del lavoro, e si mettono invece a disposizione delle esigenze familiari. Forse i figli sanno che non possono aspettare la cena con l’indolenza della generazione youtube, ma devono collaborare, per quanto possibile, alla preparazione del pasto. Forse, rendendosi conto che la situazione non permette di tirare avanti da soli, tutti sono più disponibili ad aiutare l’altro. Sapendo che gli spazi sono limitati, tutti sono più sensibili nell’agevolare le esigenze altrui. Sapendo che i soldi non bastano davvero mai – e non solo come luogo comune di un’Italia che non sa più dove spendere – si impara ad amministrarsi in maniera ragionevole e ad accontentarsi.
In una famiglia numerosa la vita è un’avventura quotidiana: si vive stretti, ma felici.

Una famiglia numerosa è un limite o un punto di forza? Il gioco vale la candela? Lasciamo a voi le conclusioni.

Probabilmente però se la nostra società somigliasse a una famiglia numerosa vivremmo tutti meglio.

Chi è stato?

“Chi è stato il primo ad aver tracciato un confine?” ci si chiedeva, con una certa dose di retorica, in tempi più ideologicizzati dei nostri.

Oggi, in un giorno qualsiasi dell’epoca più “post” della storia, vorremmo limitarci a chiedere chi ha cominciato a infierire su Denise.

La Denise di cui parliamo fa di cognome Pipitone, ed è una bambina di quattro anni scomparsa da casa nel 2004: una tra le sparizioni più eclatanti, almeno per eco mediatica, degli ultimi anni.

Vediamo i fatti. Nei giorni scorsi i giornali ci informavano di una clamorosa novità: una turista italiana in vacanza in Grecia ha incontrato una bambina molto simile a Denise. La bambina, raccontano le cronache, parla perfettamente l’italiano nonostante la madre – una trentenne albanese – non spiccichi parola nella nostra lingua.
Il giorno dopo le testate rilanciano: il dna di madre e figlia non corrispondono, si passerà quindi a confrontare le evidenze genetiche della bambina albanese con quelle della famiglia di Denise per verificare un’eventuale compatibilità.

Ieri un doppio contrordine: la polizia greca informa che il dna della presunta Denise corrisponde con quello della donna albanese che sostiene di esserne la madre. Non solo: la bambina biascia solo poche parole in italiano, quelle che servono per chiedere la carità ai turisti.

Probabilmente archivieremo amaramente questo ennesimo falso allarme senza farci domande, ma personalmente mi sento offeso. Offeso come lettore dei quotidiani, che hanno riportato una notizia basandosi su elementi manifestamente errati. Offeso come cittadino per una notizia data male e sviluppata peggio, che ha illuso e poi deluso sul volto della signora Pipitone.

Prima di dimenticare, in attesa della prossima bufala, sarebbe interessante capire chi abbia superato, stavolta, il confine della stupidità. Le ipotesi non sono molte.

Potrebbe essere stata la signora italiana turista in terra greca, reduce da un’overdose di serial polizieschi e tv del dolore. Certo, non è facile confondere una persona che “parla perfettamente” la nostra lingua con una che mette insieme due parole alla bisogna: in questo caso, evidentemente, la proprietà linguistica della signora è ai minimi termini (forse non ci sarebbe da stupirsi, visto il livello culturale medio nel nostro paese).

L’ipotesi alternativa? Sono stati i media a inventarsi quel “perfettamente” e perfino quella differenza di codice genetico che, a quanto pare, nessuno ha mai certificato.

Sia come sia, in ultima analisi è anche colpa nostra: non risulta che nessuno, sui principali giornali, si sia posto il benché minimo dubbio sui motivi di questa cantonata, segno che viene considerato normale sparare notizie inesistenti e che domani, al prossimo avvistamento, sarà la stessa cosa. Significa che ci troviamo di fronte a un giornalismo che diventa pour parler, un’informazione di terz’ordine che si allinea bellamente nei modi ai dibattiti inconcludenti del dopo partita.

Con una differenza: nei talk show sportivi non c’è di mezzo il dolore di una madre.

Modernità fraintese

Anche se mio padre e mia madre mi abbandoneranno, il Signore mi accoglierà. Colpisce come un pugno allo stomaco la citazione dai Salmi incisa su una lapide posta sul muro esterno di un ospedale ottocentesco. Si indovina facilmente che, appena sotto, quella fessura murata e pietosamente nascosta alla vista ospitava, cent’anni fa, una “ruota degli esposti”.

Uno strumento figlio di un’epoca ben diversa dalla nostra, ma che è tornato sotto i riflettori in questi anni. Ultimo in ordine di tempo, anche l’ospedale San Gerardo di Monza ripropone la ruota degli esposti: si tratterà naturalmente di una versione aggiornata, dove una culla termica e dotata di sensori sostituirà il piano di legno grezzo e la campanella che accoglieva i neonati abbandonati nell’Ottocento.

Strano pensare che oggi, nel ventunesimo secolo, ce ne sia bisogno. In una società che si vanta della sua apertura mentale, dove è vietato dare regole, dove non è lecito scandalizzarsi per non passare subito per bacchettoni. Una società dove i matrimoni combinati non esistono più, non esistono barriere di classe, dove non viene negata a nessuno una seconda possibilità; una società post-matrimoniale, sentimentalmente disinibita, senza limiti e confini, dove l’unico limite alla casistica delle unioni è l’immaginazione dei suoi componenti.

Una società dove la parola adulterio ha perso il suo significato di fronte alla coppia “progressista” (secondo il termine usato qualche anno fa da un regista, tradito, che si beffava della fedeltà coniugale), dove i figli naturali, nati fuori dal matrimonio, stanno raggiungendo i figli legittimi (anzi, suona strano che questi ultimi si chiamino ancora così).

Una società dove si può partorire e rifiutare il riconoscimento del neonato, senza nemmeno il fastidio di cercare una motivazione.
Una società dove non ci si crea problemi ad allevare in famiglia i figli avuti insieme, quelli di lei, quelli di lui. Una società dove le relazioni interpersonali si incrociano, si perdono, si ritrovano e si mescolano in un crogiolo sentimental-televisivo a metà tra la vita e il reality show.

Eppure proprio questa nostra società, così libera e realizzata, abbandona i neonati: proprio come quando l’adulterio era un marchio d’infamia e una gravidanza fuori del matrimonio una vergogna.

Come una volta, o peggio: almeno nell’Ottocento si aveva la cura di affidarli alla pubblica pietà, o a un monastero, anziché abbandonarli per la strada in pieno inverno o posarli, con un gesto tra i più orrendi per il suo significato intrinseco, in un cassonetto.

È difficile non rilevare l’assurdità di una società come la nostra, da un lato sempre così sensibile di fronte ai diritti umani, dall’altro capace di inculcare un tale disprezzo della vita.

Una società tecnologica ed emancipata, globalizzata ed ecologica, luminosa e proiettata verso il futuro.

Una società convinta di aver superato i fantasmi del passato, e che invece non ha mai perso il suo cuore di tenebra.