Preghiere pericolose
«Un’infermiera del Somerset (Inghilterra) rischia il licenziamento per essersi offerta di pregare per una paziente. Caroline Petrie è stata sospesa dal servizio per aver offerto sostegno cristiano durante una visita a casa ad una donna anziana».
Le notizie che arrivano dalla Gran Bretagna, sono sempre istruttive.
Riassunto delle puntate precedenti: nella patria del diritto e della libertà non è possibile festeggiare una ricorrenza che abbia un sentore religioso; è vietato indossare un oggetto configurabile come cristiano; è proibito pregare per chi ci sta vicino.
Come se non bastasse, ora è censurabile addirittura chiedere a un proprio paziente se apprezzerebbe la nostra preghiera nei suoi confronti.
L’infermiera faceva proprio questo: si limitava a chiedere ai suoi pazienti se volessero ricevere una preghiera. Si tratta di un gesto che, in un paese civile, verrebbe considerato pietoso e gentile, se non addirittura umano.
Chi soffre, di solito, sente il bisogno di dare un senso al suo dolore, cerca di comprendere la sua condizione, si interroga sulla vita e – talvolta – sulla morte. Una parola gentile che scaturisce da una fede serena può dare più sollievo di un farmaco.
Interessante notare anche che – stando al Corriere – l’infermiera correttamente non imponeva la preghiera, e si asteneva perfino dal proporla a coloro che riteneva potessero venir turbati da una simile offerta: e infatti a segnalare il caso è stata una anziana signora che, ironia della sorte, si definisce cristiana, e che ha riferito il fatto a un’altra infermiera, a quanto pare pronta a riferire alla direzione l’increscioso incidente.
Tant’è: l’infermiera è stata sospesa per aver voluto andare oltre, aiutare in ogni modo a lei possibile i malati che le erano stati affidati, certa che la malattia non sia solo un accidente fisico, ma (difficilmente si potrà sostenere il contrario) rattristi anche lo spirito.
Apprendiamo quindi che, in un paese laico e libero, l’infermiera deve limitarsi a fasciare le piaghe e tacere. Curioso, decisamente. Ci avevano raccontato che per certe professioni è necessaria una vocazione, specialmente quando si tratta di sopportare il peso di un contatto quotidiano con la sofferenza del prossimo: per questo ci eravamo illusi che la solidità spirituale potesse essere un valore aggiunto per chi opera in settori delicati come la sanità.
E invece no. Scopriamo che il medico, asettico nel suo camice bianco, deve limitarsi a guardarci come guarderebbe una cavia da laboratorio, considerando la nostra patologia come una semplice sfida e la nostra persona come un banale ammasso di reazioni fisiochimiche. Non dovrebbe proferire parola, perché potrebbe urtare la sensibilità del paziente; non dovrebbe accennare un sorriso, perché potrebbe offendere il credo di chi vede la malattia come un dono; non dovrebbe elargire rassicurazioni, perché potrebbe turbare la fede del paziente fatalista.
Un paese con un sistema sanitario come questo sarà sicuramente un paese laico. Ma, francamente, non lo definiremmo un paese libero.
Pubblicato il 3 febbraio, 2009, in Uncategorized con tag anziani, cavia, censura, credo, cristiano, diritto, divieti, dolore, farmaci, fatalità, fede, festeggiametni, gentilezza, Gran Bretagna, incidente, laico, libertà, licenziamento, malattia, notizia, parole, paziente, piaghe, pietà, Preghiera, reazioni, sanità, sensibilità, silenzio, sofferenza, Somerset, sorte, spirito, umanità, valore, vocazione. Aggiungi il permalink ai segnalibri. 5 commenti.
Mentre “medico non mangia medico” parlando con infermieri mi viene raccontato che tra di loro c’è la lotta a scaricare “le colpe”
leggi “le grane” gli uni su gli altri.
Forse -non so se quello che avviene nel sistema italiano sia sovrapponibile a quello che avviene in Inghilterra,- l’infermiera che ha sporto denuncia, ha approfittato di questo meccanismo tra colleghi infermieri “morte tua =vita mia”, per tornaconto personale.
Mi sbaglio ?
Sandro
Sandro, medico.
Credo che il mio commento non verrà pubblicato, in quanto se nel mondo degli infermieri vige la legge della giungla, dove il più debole e “sprovveduto” fa le spese del più “furbo” è controproducente pubblicare , individualmente, queste cose, perchè la espone o a rappresaglia, o ad emarginazione, oppure a
“essere cucinata” come pollo da spennare.
Quindi, qualora non esista una denuncia collettiva organizzata, invito caldamente Saren a lasciar perdere il mio commento: io non rischio niente, ma Saren si.
Sandro
Mentre, e aggiungo purtroppo, la definizione di salute assunta dalla World health organization (WHO), ovvero l’Organizzazione mondale della sanità, è rimasta ferma al modello bio-psico-sociale dell’uomo, la branca della medicina che si occupa di Cure palliative ha già da tempo considerato e ammesso che anche la spiritualità è una componente importante del benessere di ogni essere umano.
Non solo: l’articolo 4.15. del Codice deontologico degli infermieri precisa che “l’infermiere assiste la persona, qualunque sia la sua condizione clinica e fino al termine della vita, riconoscendo l’importanza del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale”.
Come si può notare è chiara la discrepanza: è tacito che le persone presentino una componente spirituale e che questa possa influenzare positivamente o negativamente il loro stato di benessere. Diciamo che qualcuno (la WHO, tanto per dire) è rimasto un po’ indietro 🙂
Molto spesso le persone malate non esprimono chiaramente un bisogno insoddisfatto: minimizzano il dolore, mentono sulla ritenzione urinaria, sulle evacuazioni e sull’assunzione dei farmaci o sullo stato d’animo, tanto per fare degli esempi. Credetemi, succede ogni giorno. Quindi spesso l’infermiere “scova” il problema. Ora, se io chiedo a un paziente “Ha male? Vuole che le dia un antidolorifico?” nessuno si scandalizza. Se valuto l’esistenza di un problema psicologico e propongo una chiacchierata con uno psicologo, nessuno si scandalizza (anche se qui, dovrei dire cose penso delle chiacchierate con uno psicologo, ma andrei off-topic…).
Ecco, però, che se propongo di fare qualcosa che oltre a essere buono è anche benefico, si grida allo scandalo.
Mettiamola pure in questi termini: la parte spirituale delle persone è tabù. Fare domande sulla fede è da maleducati. Offrirsi di pregare, poi, è indecente. Questo è quello che ci dicono, ma io non credo sia davvero così; altrimenti devo pensare di vivere in un’oasi nel deserto.
Dove lavoro mi sono sempre sentita libera di parlare della mia fede, di chiedere alle persone che assisto della propria, qualche volta ho pregato con qualcuno, altre volte ho detto che avrei pregato per loro. Nel mio armadietto ci sono sempre opuscoli o vangeli di Giovanni, che distribuisco senza problemi e da quando c’è un caro fratello (grazie Franco!!) che si occupa di portare i vangeli con Salmi in reparto (li lascia nel salottino) io li porto ai pazienti che non possono alzarsi dal letto e ho regalato calendari cristiani a colleghi e alla caposala (grazie Alle!).
Nella mia esperienza non ho mai notato che pregare per un paziente, parlargli del Signore o dargli un vangelo abbia provocato danni. Anzi. 🙂
Sono solidale con la mia collega. Le auguro di vincere la causa e di poter tornare tranquillamente a offrirsi di pregare per e con i pazienti che assiste.
Paolo, a un certo punto parli di medici… Sai, vorrei conoscerlo un medico credente che riesce davvero a parlare del Signore con i suoi assistiti, mettendosi in gioco e offrendosi di pregare. Credo che per loro sia molto difficile, per via di quella formazione tipica, che insegna loro a tenere le distanze. Del resto non sono aiutati nemmeno dal tempo a disposizione (sì e no stanno con i malati venti minuti al giorno) e dal contatto fisico (limitato alle brevi visite del giro mattutino). Sicuramente l’assistenza infermieristica facilita questo approccio ed è per questo che anche il codice deontologico propone una visione più completa dell’assistenza stessa.
Ciao!
Sandra
Cosa succederà se deciderò di basare la mia tesi sulla fede e la psicologia?
Immagino dipenda da come verrà trattato l’argomento.