Pentimenti poco convincenti

Cesare Battisti, “ex terrorista”, scrive una lettera aperta al nostro Paese, chiedendo: «L’Italia cristiana mi perdoni».

Ricorderete la vicenda: Battisti si macchiò di alcuni delitti molto poco politici negli anni di piombo, venne condannato in seguito a processo, e per non finire in carcere si rifugiò in Francia, che da decenni ormai ospita senza crearsi troppi problemi i terroristi nostrani, negando l’estradizione in quanto le nostre sarebbero sentenze politiche seguite a una guerra civile, e non volgari atti di terrorismo.

Dopo la Francia Battisti è migrato in Brasile, dove aspetta la sentenza dei supremi giudici sulla richiesta di estradizione avanzata dal nostro Paese.

Dal carcere di Brasilia Battisti scrive a tutti noi; nella lettera, letta pubblicamente durante una sessione del Senato brasiliano, il terrorista si chiede «se non è giunta l’ora che l’Italia mostri il suo lato cristiano», per il quale «il perdono è un atto di nobiltà». Parla di una «moltitudine manipolata» e ribadisce la sua innocenza: «non ce la faccio a pensare a me come a qualcuno capace di fare nemmeno un centesimo di tutto ciò che mi attribuiscono… Sono vittima di un bombardamento mediatico».

C’è una sentenza e ci sono numerose testimonianze che inchiodano Battisti alle sue responsabilità; tuttavia potremmo anche accettare che si tratti solo di un drammatico malinteso, di una congiura che ha voluto prendere un innocente, magari più ingenuo degli altri, per farne il capro espiatorio di una vicenda. Non sarebbe il primo caso, e nemmeno l’ultimo.

Anche ammettendo che sia così, qualcosa non torna.

Siamo consapevoli che chiedere perdono stia diventando una moda, più che una necessità: a ogni delitto bastano pochi minuti per sentire uno sprovveduto dotato di microfono chiedere ai familiari delle vittime se “hanno perdonato”.

È un’abitudine figlia di un’informazione malata, ma anche di una prospettiva concettuale distorta.

Chiedere perdono comporta, cristianamente parlando, alcuni passaggi. La riflessione sulle proprie azioni, innanzitutto, e poi il pentimento: ossia il riconoscimento dell’errore, di aver causato dolore, cui segue un cambiamento interiore in base al quale è possibile affermare con sincerità “non lo rifarei”.

Battisti si professa innocente, e questo – paradossalmente – crea un problema in relazione alla sua richiesta: per qualcosa che non si è commesso non può esistere perdono, ma solo giustizia.

E poi, l’atteggiamento di Battisti non sembra particolarmente conciliante. Non sembra pentito, ma polemico come al solito: rivendica la sua innocenza, lamenta congiure contro di lui, attacca l’Italia «governata dalla mafia».

Sicuramente è un uomo amareggiato e dolente, ma in una richiesta di perdono ci saremmo aspettati un approccio diverso: forse non un pentimento, ma almeno un briciolo di rammarico; forse non un riconoscimento delle proprie responsabilità, ma almeno qualche parola per il dolore per le vittime.

Forse non ci aspettavamo umiltà, ma nemmeno arroganza.

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Pubblicato il 20 febbraio, 2009, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 2 commenti.

  1. … ehm, scusi, guardi che probabilmente è un gesto provocatorio (e innegabilmente grottesco).
    In ogni caso, il perdono cristiano non inerisce in alcun modo il corso della giustizia umana e il sig. Battisti è stato condannato da un tribunale terreno, di uno stato sovrano e, a meno che non se ne dimostri l’illegittimità, con l’autorità – e il dovere – di amministrare il diritto (terreno) e di garantirne il rispetto; questo dovrebbe succedere, ovviamente in uno stato laico, ma il concetto vedo che risulta piuttosto ostico.
    O si tratta di arroganza?
    Dunque che questo sig. Battisti accolga le responsabilità di ciò che ha commesso e che gli viene ora contestato da una Nazione terrena e non dal Popolo di Dio – Cui dovrà rendere conto a tempo debito e privatamente. Forse la stessa provvida magnanimità sfoggiata dal sig. Ratzinger nel ritirare la scomunica agli scismatici lefevriani (scomunica pronunciata, anzi credo scattata ispo facto, a causa dell’ordinazione di alcuni vescovi e delle gravi controversie dottrinali scaturite dal Concilio… nulla a che vedere con il negazionismo) potrebbe accordare alla richiesta dell’impenitente penitente la giusta indulgenza.
    Non crede?
    Ma dovrei chiedere perdono anche a Lei, caro signore, per il sottile scarcasmo di queste righe, dettato più dalla fastidiosa influenza che mi sottrae dagli impegni quotidiani piuttosto che da vero malanimo.
    Massimiliano Tanzini

  2. Non mi piace l’atteggiamento arrogante di Battisti, non amo la violenza in nessuna sua forma, e non credo che esistano attenuanti di natura ideologica che possano in nessun modo giustificare le responsabilità oggettive o morali di quanti hanno avuto una parte nei cosiddetti anni di piombo. Nutro però parecchi dubbi sulla imparzialità e capacità del potere italiano a valutare nella sua complessità e interezza quel pezzo di storia.
    Dubbi leggittimati dal fatto che dopo moltissimi anni lo stesso potere che si indigna per un terrorista libero, rimane del tutto indifferente o quasi davanti al fatto che certe stragi non abbiano ancora un responsabile. Forse i parenti di quelli che sono morti in quelle stragi sono meno addolorati o meno degni di ricevere giustizia e solidarietà, dei parenti delle vittime di Battisti ?

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