Congelamenti e prospettive
«Ovuli congelati per diventare mamme a 40 anni», titola il Corriere. È «la sfida delle donne in carriera: tremila euro per allungare il periodo di fertilità. La tecnica è stata finora utilizzata da donne con seri problemi di salute, oggi anche da chi è senza compagno a 40 anni».
«La tecnica – si spiega – è stata finora utilizzata da donne con seri problemi di salute che volevano conservare la possibilità di diventare mamme. Oggi c’è una novità. “Sempre più donne chiedono il congelamento degli ovuli semplicemente perché, alla soglia dei quarant’ anni e senza un partner, rischiano di veder sfumare il loro sogno di maternità”».
«Non si tratta di atti di egoismo ma del disperato tentativo di realizzare una parte fondamentale di se», precisa Sabina Guancia, presidente dell’associazione per la famiglia; più critica Eleonora Porcu, del centro di procreazione assistita Sant’Orsola di Bologna: «Mi lasci dire una cosa prima di tutto: congelare gli ovuli per poter fare figli più tardi è una sconfitta».
Il ricorso al congelamento degli ovuli è la sconfitta, decisamente.
La sconfitta di una società che ci ha illuso di poter avere tutto e in qualsiasi momento.
Ma è anche la sconfitta di chi ha creduto in questa chimera, preferendo lasciarsi sedurre dal mito (poco scientifico) dell’onnipotenza.
Il congelamento degli ovuli è, in fondo, la mossa estrema di chi non si rassegna, e crede ancora di poter piegare la natura ai propri comodi. Procreare fuori tempo massimo, magari senza un compagno, ma procreare.
«Non è egoismo», si puntualizza. Ma se non è egoismo, poco ci manca. Certamente non è altruismo, o sensibilità nei confronti del nascituro. Forse anzi bisognerebbe chiedersi se è davvero a lui che si tiene tanto, o se prevalga il semplice desiderio di essere madre a tutti i costi e a prescindere dalle conseguenze.
Sia chiaro: ben venga il lavoro femminile. Tanto più oggi, quando risulta pressoché essenziale per far quadrare i bilanci familiari. E ben venga anche la richiesta di uno stato sociale più attento alle esigenze di chi a un certo punto rischia di perdere il lavoro a causa di una gravidanza (e succede ancora in troppi casi).
Ma allo stesso tempo è necessario crescere e confrontarsi con la realtà. Una realtà che richiede, ogni giorno, scelte grandi e piccole. E sarà sempre così, in un modo o nell’altro. Potrà migliorare, ma nella vita dovremo sempre e comunque decidere cosa vogliamo fare.
E allora è necessario, prima di tutto, dare un senso alla vita, cercare un progetto, una direzione, una prospettiva che renda le nostre scelte convincenti.
Fatalmente, quindi, si torna alle classiche domande che l’essere umano si pone da sempre: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.
Ineludibili e onnipresenti, ci corrono dietro in ogni epoca e in ogni questione. Forse è il caso di fermarsi e trovare una risposta.
Pubblicato il 20 marzo, 2009, in Uncategorized con tag altruismo, bilanci, Bologna, carriera, chimera, compagno, conseguenze, convincenti, credere, crescere, decidere, desiderio, direzione, disperazione, domande, donne, egoismo, Eleonora Porcu, essere umano, famiglia, fatalità, fede, fertilità, Lavoro, mamme, maternità, nascituro, natura, novità, onnipotenza, ovuli, procreazione, progetto, prospettiva, risposta, Sabina Guancia, salute, Sant'Orsola, scelte, scienza, sconfitta, seduzione, sensibilità, società, sogno, Stato, tecnica, Tempo, Vita. Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.
Proprio in questi giorni riflettevo su quanto sia giusto avere un figlio a quarant’anni e non pensavo solo a chi, per un motivo o per l’altro, non abbia voluto o potuto averlo prima, ma anche a chi, come me, figli ne ha già avuti eppure si ritrova a desiderare di averne un altro oppure no, ma arriva lo stesso…
Del resto una donna è fertile fino alla menopausa, quindi anche per vie naturali può rimanere incinta anche in età, diciamo così, avanzata. Ora, che capiti o meno, che sia voluto o no, avere un figlio a quarant’anni cosa comporta?
Intanto è necessario essere consapevoli che un frugoletto stravolge la vita, ma questo non so se sia sempre ben percepito da chi decide di mettere un figlio in cantiere: soprattutto i primi anni la madre, in particolare, è fagocitata dai bisogni del bambino; poi cresce, e ci sono altri bisogni, che sono anche pressanti in una società del fare com’è la nostra (quanti genitori si barcamenano tra le proprie attività e quelle dei figli : compiti, sport, musica, danza, etc…). Da adolescenti poi, i ragazzi hanno un bisogno esponenziale dei genitori, anche se magari cercano di allontanarti «perché sono grande, ce la faccio da solo…» (sì, come no…).
Non vorrei essere nei panni di una cinquantenne alle prese con un bambino delle elementari e ancora meno in quelli di una sessantenne alle prese con i problemi di un adolescente turbolento (ogni tanto sclero pure io, che ho solo una ventina d’anni di differenza con i miei figli), ma anche a vederla dalla parte dei figli non mi pare così semplice, visto che si ritrovano ad avere una nonna come madre…
Forse non aveva tanto torto l’Ecclesiaste quando scriveva «Per tutto c’è il suo tempo, c’è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo…». Concordo con lui.
Ciao.
Sandra