Dalle parole ai fatti
Un’associazione britannica ha trovato un modo interessante per richiamare l’attenzione nei confronti della sua raccolta fondi per la lotta contro il cancro: ha chiesto agli utenti di esprimersi sulla felicità.
Le prime risposte arrivano da alcuni vip: al quesito “cosa vi rende felici?” «Lo scrittore Alexander McCall Smith, ha risposto: “Il modo più sicuro di essere felici è causare felicità al prossimo, e poi goderne i frutti”. L’imprenditore Charles Dunstone, re dei telefonini, ha risposto: “Il mio consiglio per sentirsi felici è credere che tutti possano dare il meglio”. David Cameron, leader del partito conservatore (e secondo i sondaggi prossimo primo ministro), ha detto: “Per me la felicità è qualcosa di molto distante dal mondo della politica. Nuotare all’alba davanti a una deserta spiaggia della Cornovaglia, per esempio”».
La felicità è un tema semplice e tuttavia complesso: tutti probabilmente abbiamo un’idea di cosa ci potrebbe rendere felici (un panorama, un risultato, un’esperienza), ma allo stesso tempo ci rendiamo conto che la felicità è qualcosa di diverso, più profondo, impossibile da sublimare in una situazione, un oggetto, un evento. E torniamo a cercare.
Forse una delle domande più imbarazzanti, personali e difficili è proprio “sei felice?”: sarà per questo che non lo si chiede quasi mai, e di solito ci si limita a un più neutro “come stai?”. D’altronde spesso non serve nemmeno chiederlo: dal comportamento, dall’espressione facciale, dal modo di relazionarsi facile rendersi conto se una persona sia felice o no.
Probabilmente alla domanda “cos’è la felicità?” ogni cristiano ben addestrato risponderà “la felicità è avere Gesù accanto a sé“. Che sia vero non ci sono dubbi. Ma ci crediamo veramente?
Spesso sembrerebbe proprio di no. Perché è facile mettere Dio nelle nostre frasi, illudendosi che basti questo per farci riconoscere come cristiani.
È invece più difficile, molto più difficile, mostrare la propria felicità vivendo e praticando l’amore cristiano nelle piccole cose di ogni giorno: un sorriso, una parola gentile, un gesto di disponibilità.
Nella quotidianità non si può barare, o almeno non lo si può fare a lungo. È un bene e un male. È un male, perché la nostra vita parla per noi, e non possiamo dire di avere qualcosa che non abbiamo senza venir smentiti dai fatti.
Ma è anche un bene, perché se dimostriamo ogni giorno la nostra felicità saranno i nostri vicini e i nostri colleghi, spontaneamente, a chiederci come riceverla a loro volta.
La nostra felicità parla attraverso ciò che siamo, più che attraverso quel che diciamo.
Pubblicato il 1 luglio, 2009, in Uncategorized con tag Alexander McCall smith, Amore, associazione, attenzione, cancro, colleghi, complesso, comportamento, Cornovaglia, cristiano, David Cameron, Dio, dire, Disponibilità, domande, esperienza, evento, fatti, felicità, fondi, frasi, frutti, Gesù, lotta, ministro, nuotare, parlare, politica, profondità, prossimo, scrittore, situazione, sorriso, spiaggia, tema, Vita. Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.
Bello PJ!
leggere il tuo articolo mi ha ‘reso felice’! oggi giorno siamo tutti stufi di parole, molto meglio incominciare a essere, a vivere ciò che si annuncia con le parole… ma è veramente duro. proprio ieri ho letto Romani 7 e 8 che parlano di queste nostre incostanze e incongruenze. buon lavoro!