Quei bisogni fraintesi

Tutte le testate hanno riferito della retata che, a Bari, ha portato in carcere sette persone accusate di concedere prestiti a usura.

Si tratta di un reato odioso, dato che l’usuraio approfitta senza scrupoli del bisogno altrui; in questa vicenda, poi, l’azione viene resa ancora più odiosa dal fatto che i prestiti venivano concessi ai “poveri”. Così, almeno, precisano i giornali.

Il dato, di per sé, suona quasi superfluo: di solito chi può garantire un certo reddito o possiede beni immobili non ha bisogno di prestiti, e se ne ha bisogno riesce a ottenerli da una banca, senza passare le forche caudine di un prestito sottobanco a tassi da capogiro.

Vista la precisazione, viene da chiedersi se le vittime fossero di persone “più povere” di altre. Una risposta – sorprendente – la dà il Corriere: gli usurai che «prestavano piccole somme di danaro a tassi usurai a chi non poteva fare la spesa in macelleria, oppure a chi non era in grado di acquistare scarpe griffate per la propria figlia adolescente o a chi doveva organizzare il matrimonio per il figlio».

Diciamo spesso – con sollievo – che il problema alimentare non esiste più, nel nostro Paese: anche le persone più indigenti possono avvalersi di un pasto caldo, grazie al sostegno di associazioni, iniziative, opere di carità. Fa quindi un certo effetto pensare che qualcuno non riesca a “fare la spesa in macelleria”.

Se il problema è davvero mettere insieme il pranzo con la cena, non possiamo che abbassare il capo in segno di rispetto per un dramma esistenziale acuto, anche se pare strano che in una città come Bari non vi siano iniziative benefiche, pubbliche e private, per gli indigenti.

Magari ci illudiamo, ma siamo certi che bussando alla porta di qualsiasi chiesa evangelica o parrocchia cattolica sia possibile ricevere aiuto concreto, e magari qualche consiglio utile.

I “bisogni” che però più ci hanno colpito sono gli altri, citati nell’articolo del Corriere: l’acquisto di “scarpe griffate per la propria figlia adolescente” o l’organizzazione del “matrimonio per il figlio”.

A confermare l’ultima ipotesi c’è anche una specie di contratto esibito dagli inquirenti come prova: vergato a mano su un foglio a righe, con scrittura incerta la vittima di turno conferma di aver ricevuto “18 mila euro per sposare mio figlio“.

A questo punto non possiamo non interrogarci sul significato di povertà. Ci hanno insegnato che la povertà assoluta, l’indigenza, consiste nella difficoltà a sopperire alle necessità di base. La povertà relativa va un passo avanti, e contempla la difficoltà a vivere in modo allineato al contesto in cui ci si trova. Naturalmente si tratta di una condizione sottile, spesso più percepita che reale, e che dipende anche da fattori soggettivi, da situazioni, perfino dall’approccio psicologico.

La variabilità del contesto non deve diventare un alibi per l’eccesso: si può essere dignitosi anche senza essere alla moda, ed è desolante pensare che qualcuno possa spendere oltre le proprie (limitate) possibilità solo per compiacere un figlio.

Forse, paradossalmente, fare debiti per accontentarlo è più semplice che dargli una corretta prospettiva sulla vita: una prospettiva che, in modo perfino banale, indichi la precedenza dell’essere sull’apparire, l’importanza della sobrietà come chiave per una vita serena, il valore della ricchezza interiore.

D’altronde non si può insegnare quello che non si sa, né dare ciò che non si ha. Se, pur di apparire ciò che non si è, si accetta di legarsi alla spirale senza fine di un debito usuraio, allora non ci si può stupire se domani il figlio considererà il lusso qualcosa di ordinario, banale, dovuto.

Casi isolati e circoscritti? Mica tanto. Un trafiletto del Magazine informa che “il matrimonio non conosce crisi“: non si parla del numero di unioni annuali né di serenità nella familiare, ma delle spese per il ricevimento.

«Non importa se c’è la crisi, tutto deve essere perfetto, dall’abito alla location del ricevimento, fino alla scelta del fotografo. E guai a tagliare il numero degli invitati».

Si spende di più in Basilicata (quasi 40 mila euro), Campania e Abruzzo (più di 25 mila), all’altro estremo della classifica ci sono i liguri (13 mila, gli emiliani (14 mila) e i veneti (quasi 17 mila euro).

Morale: si spendono decine di migliaia di euro per ogni matrimonio, ovunque e nonostante la crisi.

Per commentare un quadro così desolante non occorre nemmeno chiamare in campo l’etica. Basta rivolgersi al buonsenso.

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Pubblicato il 24 luglio, 2009, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 2 commenti.

  1. Il problema non è che si fa debiti per cose superflue, ma la società dell’apparire per essere. Un Padre che ha un figlio o una figlia da sposare, si trova a fare i conti con il problema di non fare cattiva figura di fronte alla famiglia dei consuoceri, che tra l’altro non credo siano disposti ad accollarsi spese che non gli competono, l’egoismo la fa da padrona insieme alla mentalità dell’apparire, perchè se ti sposi con un “pidocchiso” che non si può permettere un ricevimento decente, sei visto male dai parenti, mormorato da tutti. Una volta non era cosi, quelli della mia età se lo ricordano, ma oggi purtroppo e cosi, triste realtà, ma è cosi. Lo stesso vale per i figli a cui compri le scarpe o i vestiti griffati, perchè i modelli imposti dalla moda sono questi e tuo figlio/a non vuole fare cattiva figura, e in molto casi i figli si mettono a fare di “tutto” se non sono i genitori a potergli dare quello che vogliono pur di apparire. La colpa pincipale è dei modelli imposti da questa società consumistica dove ciò che conta è l’appararire e non l’essere. Questo vale anche per gli adulti, e purtroppo, anche per molte delle nostre chiese…, ci sono chiese dove quando entri, sembra che sei a una sfilata di moda, e altre dove c’è gente modesta, potrei farti un esempio della mia città che è molto significato, anzi, più di uno. Non tutti hanno la forza di saper andare avanti contro corrente rispetto a questa mentalità dominante. Si può dire ancora tanto su questo argomento se si vuole…, ci sono dei veri e propri trattati di sociologia che analizzano queste tendenze che hanno trasformato la nostra società.
    In peggio…, da cui è nato e si sviluppa tra i giovani anche il darsi allo spaccio di stupefacenti, perchè si vuole tutto e subito!

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