Meglio un furgone oggi

Il Corriere racconta la storia di Aaron Heideman, un artista dell’Oregon che, come tanti altri, è rimasto travolto dalla crisi e si ritrovato, da un mese all’altro, a dormire in un furgone.

Al contrario di tanti altri, Heideman ha messo la sua arte al servizio di chi, come lui, ha visto la propria tranquilla esistenza naufragare in meno di un anno. Lo ha fatto diventando, a modo suo, portavoce delle tante piccole grandi tragedie causate dal tracollo del credito: ha investito i suoi ultimi soldi in carburante e girando l’America per farsi raccontare le storie della gente qualunque colpita dalla crisi.


«Sulla fiancata c’è una scritta che spiega tutto: “Come ti ha colpito la crisi? Raccontami la tua storia”. E, per raccoglierle tutte, visto che le fiancate si sono presto riempite, Heideman usa un rotolo di plastica sul quale le persone che incontra possono scrivere le loro testimonianze. Per ora è già lungo 45 metri».

Hartman conta di vincere il premio per la migliore opera d’arte realizzata da un artista emergente: con l’assegno, 250 mila dollari sicuramente risolverebbe la sua, di crisi.

Ma, al di là della trovata, il successo dell’iniziativa fa riflettere. Immaginiamo le centinaia di persone che, rassegnate e dolenti, si sono assiepate attorno al furgoncino armandosi di pennarello per raccontare la loro vicenda personale. Persone che, magari, fino a qualche anno fa vivevano tranquille, forti delle loro certezze. Persone che oggi sentono il bisogno di aprirsi, di raccontare, di sfogarsi.

Persone che hanno bisogno di qualcuno disposto a stare loro vicino per ascoltare la loro storia. Chiedono ascolto, prima ancora che consigli. Hanno bisogno di qualcuno che solidarizzi con loro, prima ancora di un aiuto concreto.
Chiedono che qualcuno presti attenzione alle loro domande, prima ancora di ricevere una risposta.

È in questi momenti, in queste situazioni che i cristiani dovrebbero sentirsi chiamati in causa. Esercitare l’amore per il prossimo è la prima consegna che i discepoli hanno ricevuto. “Ama il tuo prossimo”, prima ancora che “andate e diffondete il vangelo”.

Le due cose, evidentemente, sono collegate: amare una persona significa anche suggerirle una soluzione, darle speranza, indicarle il senso della vita.

“Amare” e “diffondere il vangelo” sono azioni collegate, ma spesso tendiamo a confonderle e invertirne l’ordine; non sappiamo distinguerle, e così finiamo per esercitarle in maniera approssimativa e poco efficace tra luoghi comuni e rimandi alla religiosità.

Chi soffre ha bisogno del nostro amore, della nostra pazienza, del nostro tempo, della nostra amicizia. Ha bisogno di conoscerci, di guardarci negli occhi, di comprendere che può fidarsi, che il nostro interesse per loro è disinteressato.

Per questo a volte è meglio un furgoncino di una predica.

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Pubblicato il 1 settembre, 2009, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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