Voci nel silenzio

“Meglio dedicare il minuto di silenzio ai morti sul lavoro”, ha detto il preside di una scuola romana, evidentemente allergico al lutto nazionale di ieri, indetto per piangere i sei soldati italiani caduti in Afghanistan.

Quella del direttore scolastico è una posizione minoritaria, certo, ma non isolata se anche su Facebook – che sempre più si conferma come il regno della superficialità – si chiedeva di condividere piuttosto un più generico lutto «per coloro che muoiono sul lavoro in un paese senza regole, senza controlli, senza giustizia. Senza finire sul giornale, lodati come eroi».

Posizione comprensibile, ma che inevitabilmente si pone in aperta polemica – politica, ideologica o sociale: fa poca differenza – nei confronti di una vicenda drammatica delicata come la morte dei nostri sei militari.

Il punto è proprio questo: in un momento di dolore ha senso la polemica? Ha senso chi urla “pace” al microfono dei funerali di Stato? Ha senso – o, piuttosto, ha cuore – chi scrive “-6” sui muri di Milano?

Qualcuno obietterà che, in altri momenti, la voce della contestazione si perde nell’indifferenza. Ed è innegabile che sia così. Però, esprimendo un disagio in questo modo si perde il senso del rispetto, della pietà, dell’umanità verso chi soffre. Certo, la morte è uguale per tutti e il dolore non conosce ufficialità, ma se passa l’assioma che ogni lutto è uguale, allora si perde il senso delle proporzioni e il significato del gesto. Se ogni sofferenza è uguale, allora ha ragione chi mette sullo stesso piano il dolore della vittima e del carnefice.

Se ogni morte è uguale, allora non ha senso guardare con gratitudine chi si è sacrificato per darci la libertà. E, forse, nemmeno chi ci ha donato la Vita.

Sia chiaro, non è giusto sminuire la fine di chi perde la vita per l’assenza di sicurezza sul posto di lavoro. Ma è un problema diverso, e non gli si rende onore sfruttando la scia di un altro lutto.

Una voce nel silenzio si sente forte. Ma chi parla rivela tutta la sua debolezza.

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Pubblicato il 22 settembre, 2009, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 2 commenti.

  1. Di fronte alla morte si dovrebbe sempre mettere da parte la polemica e rispettare, in silenzio, il dolore dei familiari.
    Però la retorica che l’italietta esibisce in queste occasioni è veramente stucchevole.
    Sinceramente non me la sento di accodarmi a chi definisce “eroi” e “martiri” dei militati, ovvero persone che hanno scelto una determinata professione ben consapevoli dei rischi che comporta. La vita di un soldato non ha minor valore di quella di nessun altro, ma un militare sa che ogni giorno corre il rischio di morire, mentre un operaio si aspetta di tornare vivo dalla fabbrica o dal cantiere.
    In Italia non passa quasi giorno senza la morte bianca di qualche lavoratore che adempie con la stessa diligenza il proprio dovere, in luoghi dove per legge dovrebbe essere garantita la sua sicurezza, e per stipendi molto inferiori a quelli dei militari in missione.

  2. Davanti alla morte è vero bisognerebbe mostrare rispetto e non fare polemiche, ma non si possono lasciare senza contraddittorio i teatranti e gli ipocriti che approfittando del dolore sincero e dello smarrimento generale sfruttano il palcoscenico per i loro scopi, tacciando tutti quelli che non aderiscono alle loro tesi di essere anti-italiani, non patriottici, e in definitiva dei vigliacchi.
    Personalmente credo che la missione che è costata la vita ai nostri soldati era e rimane indispensabile e ho assoluto rispetto per quanti vi partecipano, tanto più se perdono la vita nell’adempimento del loro dovere; ma questo non può servire da alibi per tappare la bocca a quanti sostengono cose vere e inconfutabili del tipo: a) La stessa missione è stata condotta in modo scriteriato (soprattutto dopo la folle avventura irachena); b) I soldati che vi partecipano spesso (non sempre) sono più motivati dal bisogno economico che dal desiderio di esportare pace e democrazia (e mi duole dirlo, questo fa di loro dei rispettabilissimi morti sul lavoro, ma non degli eroi); c) I bombardamenti che fanno centinaia di vittime civili sono la più grossa mano d’aiuto che si può dare a fondamentalisti e terroristi; d) Conduttori di programmi frivoli e starlette varie, farebbero meglio a non osservare minuti di silenzio e a non occuparsi di cose più grandi di loro speculando sul dolore altrui.
    Ci sarebbero anche la d, la e, ecc., ma preferisco fermarmi.
    Venga quel benedetto giorno descritto in Isaia 2:4.

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