Ma quanto mi costi

Trenta euro per frequentare il catechismo. Una parrocchia cattolica di Chivasso si è trovata di fronte a una scelta: chiedere un contributo alle famiglie o chiudere.

Si tratta di una parrocchia con annesso oratorio “che toglie i ragazzi dalla strada”; un’attività nobile che però non esenta la struttura religiosa da spese di gestione a più zeri (“solo il riscaldamento l’anno scorso è costato 11 mila euro”, spiega a La Stampa padre Bruno).

Di qui l’idea di stabilire una retta per le lezioni di catechismo e, immaginiamo, per i corsi di formazione.

«Qualche mamma – riferisce La Stampa – ha storto il naso per la novità: “Ma come? Anche la parrocchia ci chiede di pagare per preparare i bambini alla comunione?”»

Una risposta che offre un quadro abbastanza realistico dell’approccio che la nostra società ha nei confronti delle cose sacre.

Eh già, “anche la parrocchia”. È impensabile spendere trenta euro per la formazione interiore dei nostri figli, salvo poi spenderne dieci volte di più per un corso di inglese, per un’attività sportiva o per una gita a Gardaland. O bruciare, in una settimana, la stessa cifra tra sms e telefonate superflue.

Non dovremmo stupirci: le regole, oggi, le scrivono il consumismo e la carriera. Provate a dire a qualcuno – talvolta anche a un cristiano coerente – che quest’anno avete intenzione di collaborare con un’organizzazione umanitaria, o di dare una mano a una missione: probabilmente porterà quasi subito il discorso sul risvolto economico («ma ti rimborsano almeno le spese?»), come se l’euro fosse l’unica chiave di lettura accettabile per spendere degnamente il nostro tempo.

In questo quadro la spiritualità non trova spazio: così immateriale e difficilmente quantificabile, non può che venir ridotta a un dettaglio, una questione marginale da affrontare in bassa priorità.

Anzi, talvolta pare quasi che la formazione e la crescita spirituale sia una concessione che noi facciamo a Dio. E, come per qualsiasi favore, ci aspettiamo che almeno non comporti spese.

Per questo ci suona strano, e talvolta intollerabile, che le lezioni bibliche per i nostri figli abbiano un costo, che un libro o un disco di musica cristiana vada comprato e non duplicato, che ci venga chiesto un aiuto per venire incontro alle spese della chiesa che frequentiamo.

Per obiettare a questa incombenza, più di qualcuno si cimenta nel citare – fuori contesto – il luogo comune del “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, ovviamente guardandosi bene dall’onestà di ricordare i numerosi passi in cui la Bibbia esorta a donare a Dio e a sostenere chi si cura della nostra salute spirituale.

Decisamente un bell’esempio di coerenza: ringraziamo Dio per la prosperità che ci ha donato ma ce la teniamo ben stretta, dimenticando che – a nostra volta – siamo chiamati a dare con liberalità ciò che abbiamo ricevuto.

Un paradosso con cui conviviamo molto volentieri e senza troppi pensieri.

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Pubblicato il 1 ottobre, 2009, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.

  1. Se bisogna chiedere, e se a coloro ai quali viene chiesto la richiesta non piace, qualcosa non funziona, e non credo che vicende simili siano ascrivibili soltanto alla diffusa mancanza di generosità, ma credo ci siano altre ragioni sulle quali coloro che chiedono farebbero bene a riflettere.

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