Nebbia di idee

Il prossimo 10 gennaio saranno passati cinque anni da quando entrò in vigore la nota legge antifumo emanata dal ministro per la salute Sirchia, che vietava sigarette, sigari, pipe e affini in tutti i locali pubblici del nostro Paese.

Sembrava una delle tante iniziative legislative destinate a vedere scarsi riscontri pratici e invece, contro tutte le aspettative, da ormai quasi cinque anni la legge Sirchia regge egregiamente: gli italiani, per qualche strano meccanismo mentale e sociale, hanno preso a cuore la normativa, rispettandola e pretendendone il rispetto. Tanto che ormai è raro entrare in un bar e trovarsi avvolti in una coltre di nebbia provocata dalle sigarette degli avventori, situazione comune fino a qualche anno fa.


Una buona legge ben applicata dovrebbe essere trattata come un case history, un esempio di successo da prendere in considerazione e replicare in altri settori. O, quantomeno, dovrebbe essere lasciata funzionare.

E invece oggi sul Corriere dobbiamo leggere di un’iniziativa tutta italiana, che rischia di aprire una falla nella miracolosa diga alzata dalla legge Sirchia.

Per una sentenza del Consiglio di Stato, che conferma un precedente pronunciamento del Tar del Lazio, «il fumo resta vietato anche nei nostri bar, e chi infrange il divieto è passibile di una sanzione di oltre 250 euro, come avviene in tutti gli altri locali pubblici o aperti al pubblico, ma i gestori degli esercizi commerciali, non saranno più costretti a far rispettare la proibizione».

Niente fumo, ma senza controlli: il rispetto della norma viene così lasciato, con un ottimismo decisamente ammirevole, alla civiltà e al senso di responsabilità dei fumatori.

I gestori dei locali, da parte loro, non potranno più far rispettare la legge: «Secondo una circolare della presidenza del Consiglio, erano infatti i titolari dei bar a dover vigilare. Il Consiglio di Stato ha invece annullato quelle disposizioni attuative delle norme antifumo».

Certo, i giudici obietteranno che la certezza del diritto non viene messa in discussione, che di fronte a un fumatore recidivo la soluzione c’è ancora, ed è quella di interessare le forze dell’ordine; immaginiamo però che nessuno possa seriamente pensare di distogliere gli agenti dai loro impegni sul fronte della sicurezza per convergere su un bar togliere la sigaretta di bocca a un trasgressore, proprio come non possiamo pretendere un loro pronto intervento per schiamazzi notturni o per la sosta indisciplinata davanti agli stessi bar.

È significativo che nessuno, di fronte a questa sentenza, tiri in ballo la libertà. Nemmeno un libertario (e fumatore incallito) come Marco Pannella: «Questa del Consiglio di Stato non è una vittoria dell’antiproibizionismo. Anche un antiproibizionista — dice Pannella — sa che si possono fissare dei divieti».

Siamo certi che le ragioni dei giudici fossero ineccepibili, per quanto arrivino dopo ben cinque anni. Siamo meno certi che questo accanimento legislativo si intoni con il senso dello Stato e con l’impegno civile che ogni pubblico ufficiale – meglio: ognuno di noi – dovrebbe vivere e praticare.

Perché, ferma restando l’autonomia di ogni potere rispetto agli altri e la libertà di ogni cittadino, ferma restando l’indipendenza di giudizio e il pericolo di rivendicare una funzionalità che odora di normalizzazione, ci dovremmo comunque chiedere quale obiettivo abbiano le nostre azioni.

Dovremmo chiederci se una sentenza – questa e molte altre – debba essere vista come un atto fine a se stesso, teso a un’applicazione assoluta della legge senza “se” e senza “ma”, o se ogni decisione debba essere presa in funzione un contesto, in ossequio al messaggio che – prima ancora del divieto – quella legge deve comunicare.

Un messaggio che oggi, e fin troppo spesso, giunge in termini fin troppo equivoci in nome di un malinteso senso di indipendenza che allo spirito di servizio sembra aver sostituito altre valutazioni, non sempre altrettanto cristalline.

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Pubblicato il 11 novembre, 2009, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.

  1. ooook… è giusto, allora visto che ‘la certezza del diritto non viene messa in discussione’ possiamo anche eliminare i vigili che fanno le multe nelle strade comunali, e magari anche la polizia o i carabinieri su quelle statali… e poi le persone potrebbero anche mettersi a litigare in un bar senza che il gestore dica niente tanto la certezza di diritto rimane, magari potrebbe anche rubare qualcosina, va bene il bar e’ mio ma mica sono un poliziotto io hihihi, possiamo anche togliere le guardie dalle carceri… ecc. ecc. (e poi che cosa ne so cosa fuma quello li… e’ così gentile ne offre a tutti hihhi) (L.)

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