Anche questa è vita
Anche il XXI secolo riesce talvolta a tirar fuori storie da libro Cuore. Come quella del ragazzo di Rovereto, un diciassettenne che ha deciso di abbandonare la scuola per sostenere la famiglia dopo che il padre aveva perso il lavoro.
«La mamma ha ancora un impiego – spiega la preside dell’istituto che frequentava – e avrebbero fatto sacrifici, pur di vederlo studiare, però il ragazzo si è sentito un po’ l’uomo di famiglia, con la responsabilità di contribuire al bilancio. Un vero peccato perché era bravo, con la media del 7».
I giornali parlano ogni giorno della crisi, ma non la senti vicina fino a quando non ti tocca. È a quel punto, quando entra nella tua famiglia e compromette lo status quo, che dentro di te scatta qualcosa, una sorta di consapevolezza capace di farti fare con naturalezza scelte che altrimenti non avresti mai fatto.
Non dev’essere stato facile, per il ragazzo. Settimane passate con la spada di Damocle di un possibile licenziamento del padre – si sa, queste cose non succedono da un giorno all’altro, e l’incertezza che le accompagna è uno stillicidio -, poi la notizia: papà resta a casa. Ma la mamma lavora ancora, gli avranno detto per indorare la pillola e attutire il dramma.
Non gli è bastato. Così, con quella vis adolescenziale che rende i ragazzi capaci di gesti altrimenti improbabili, non ha voluto sentire ragioni, e si è messo a cercare lavoro.
Una decisione che gli fa onore, hanno detto da molte parti. Vero, gli fa onore. Forse il suo è stato solo il caso più plateale, l’unica vicenda giunta all’orecchio del grande pubblico: forse esistono altri suoi coetanei che, in silenzio, hanno voluto o dovuto assumersi il peso di una responsabilità familiare trasmessa prima del tempo da un padre atterrato dalla crisi.
Quanti siano non lo sapremo mai. Ma il loro esempio getta un’ombra ancora più sconfortante sui tanti loro coetanei che attraversano inconsapevolmente le difficoltà del mondo che li circonda, e forse anche della loro stessa famiglia. Un’inconsapevolezza che non è spensieratezza ma irresponsabilità, come se per i giovani esistesse una sorta di immunità, il diritto a non capire, a non vedere, a non cercare una soluzione.
Il loro coetaneo trentino, invece, non si è chiamato fuori, non si è considerato esente dalle conseguenze di un dramma familiare, non si è trincerato dietro al luogo comune della gioventù che va vissuta senza pensieri.
Non si è accontentato di lasciarsi vivere: ha voluto vivere in prima persona la sua vita. E se vivere la vita a volte significa anche attraversare una crisi, così sia. Sempre meglio che guardare scorrere la propria esistenza dalla gabbia dorata di una realtà virtuale.
Pubblicato il 27 novembre, 2009, in Uncategorized con tag abbandono, bravo, capire, caso, coetanei, conseguenze, crisi, cuore, Damocle, decisione, difficoltà, diritto, dramma, famiglia, gabbia, giornali, gioventù, immunità, incertezza, irresponsabilita', Lavoro, mamma, media, notizia, ombra, onore, orecchio, padre, peccato, pensieri, preside, ragazzi, ragazzo, ragioni, realtà virtuale, responsabilità, Rovereto, sacrifici, scelte, Scuola, secolo, silenzio, soluzione, spensieratezza, status quo, storie, uomo, vedere, vicenda, vivere. Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.
I miei complimenti a questo ragazzo e ai suoi genitori, che certamente gli hanno trasmesso valori morali seri e importanti.
Sicuramente non sarà l’unico, ma visto che la tendenza oggi è all’insegna dell’egoismo e dell’egocentrismo (e non solo dei più giovani), hai fatto proprio bene Paolo a dare spazio a questa storia: almeno possiamo dire che qualche esempio positivo c’è.