Rapporti alla pari

Per un cristiano c’è sempre da imparare dalla realtà ebraica. Sul piano culturale, certo, ma anche relazionale.

La visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma è stata definita storica. Al di là dei contenuti, da parte della comunità ebraica spiccava un approccio da cui, forse, anche la realtà evangelica dovrebbe prendere esempio.


Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni – e, con lui, la comunità ebraica romana – ha accolto Benedetto XVI senza pretenziosità, ma con dignità. La comunità ebraica non dimentica di essere una piccola, ancorché vivace, realtà perfettamente inserita nel tessuto sociale romano; è fiera della sua storia, del suo passato e del suo presente, del suo contributo alla città, ma se ne compiace con il giusto understatement quando parla con il capo di una chiesa che conta milioni di fedeli nel mondo.

Non è facile trovare il giusto approccio, e Di Segni ci è riuscito: non da pari, ma alla pari.

Probabilmente è una questione di esperienza: quell’esperienza che dà consapevolezza di sé, che permette di avere una sobria opinione del proprio percorso, che consente di mantenere ferme le proprie convinzioni e allo stesso tempo di dialogare con gli altri senza paura.

Di Segni non ha sorvolato sul passato, ma allo stesso tempo non ha lesinato parole di speranza. Ha rivendicato il diritto alla libertà religiosa (e immaginiamo quanto sia stato indigesto, per gli esponenti cattolici, sentir parlare del 1870 come momento che ha segnato la conquista di quella libertà), ma non per questo ha chiuso la porta a un riconoscimento reciproco, a un rapporto franco e sereno, a un avvicinamento non certo dottrinale, ma importante sul piano umano e sociale.

Non ha dato l’impressione, Di Segni, di considerare Roma una città troppo piccola per ebrei e cattolici, né ha dovuto ribadire che la comunità non si considera ospite tollerata ma, a tutti gli effetti, cittadina della Capitale.

Non ha avuto paura di riconoscere Benedetto XVI come vescovo di Roma, mentre Renzo Gattegna, presidente delle comunità ebraiche italiane, poco prima gli si è rivolto con un meno rituale “signor pontefice”. Allo stesso modo Riccardo Pacifici non ha trascurato di segnalare la delusione sulla questione relativa a Pio XII, ma allo stesso tempo ha riconosciuto e onorato l’impegno delle realtà cattoliche che, durante la guerra, salvarono gli ebrei dalla deportazione.

Né sudditanza, né arroganza.

Naturalmente per esercitare in maniera convincente una posizione simile è necessario avere una storia alle spalle. La comunità ebraica italiana ha una storia lunga e, quindi, un’esperienza relazionale di un certo livello dal punto di vista sociale.

Un’esperienza che l’ambiente evangelico, evidentemente, non ha. Ma che forse, diviso tra tentazioni integraliste e collaborazioni acritiche, nemmeno sta cercando seriamente di costruire.

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Pubblicato il 18 gennaio, 2010, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 3 commenti.

  1. Sempre auspicabile che i rapporti fra chiese e uomini (religiosi e non) siano improntati su rispetto reciproco. Se, come scrivi, Di Segni ha saputo gestire l’incontro con sapienza, senza sudditanza, nè arroganza, questo certamente gli fa onore; ma ci sono due cose che mi sono poco chiare, la prima è, per quale motivo si dovrebbe usare maggiore riverenza e rispetto verso il capo di una chiesa per il solo fatto che conta milioni di fedeli, per quale motivo non bisogna trattarlo da pari; la seconda è, per quale motivo un ebreo o un cristiano dovrebbero rivolgersi al capo della chiesa cattolica con termini che sono contrari allo spirito e alla lettera della parola di Dio (Sua Santità, Santo Padre, ecc.). Signor Pontefice, non mi pare irrispettoso.

    • Non credo che si debba esercitare verso la chiesa cattolica una maggiore riverenza, ma questo non deve nemmeno farci perdere di vista la realtà: una minoranza, fermi restando i diritti di base, non deve aspettarsi di dettare legge, né può pretendere di venire trattata da maggioranza.
      In merito al “signor Pontefice” non ho parlato di appellativo irrispettoso ma irrituale.

  2. Io non lo so se è questione di esperienza, di storia vissuta, di divisioni…
    So che per quanto piccola sia la comunità ebraica italiana, è difficile che il papa non abbia un certo rispetto per la rappresentanza ebraica in Italia, mentre non so proprio dire se quello stesso rispetto lo rivolge anche a noi, cristiani non cattolici.

    È vero che il dialogo è la strada da percorrere, però faccio davvero fatica a fare qualche passo in quella direzione. Almeno per ora…

    Però grazie di cuore per l’ottimo spunto di riflessione, anche se mi scoccia un po’ darti ragione 🙂

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