Rosso (al) blasfemo

A volte, a leggere certe notizie, sembra davvero di riscoprire l’acqua calda. La Federazione italiana gioco calcio ha deciso di proibire le bestemmie in campo, che potranno venir sanzionate subito dall’arbitro con l’espulsione del giocatore blasfemo, o nei giorni successivi dalla procura federale sulla base della prova televisiva.

Una norma che viene accolta con soddisfazione dal presidente del Coni, Petrucci, secondo cui «non è una guerra santa ma una questione di rispetto e di etica».


Naturalmente la decisione della Figc è sacrosanta: se la bestemmia è inaccettabile sul piano sociale, non si vede il motivo per cui il campo di calcio debba essere terra di nessuno dove si possono ignorare bellamente la correttezza e l’educazione.

Eppure non possiamo non rilevare che la punibilità della bestemmia non è una novità: semmai va segnalato il lassismo dell’autorità (in questo caso, il direttore di gara), che troppo spesso negli ultimi anni, per un malinteso senso di libertà, ha reso comune l’abitudine di lasciar correre anche le imprecazioni più pesanti.

Ben venga, dunque, un giro di vite, con regole certe in direzione di un comportamento più adeguato. La speranza è che, dopo un primo periodo di inflessibilità, non finiscano per restare inapplicate come moderne gride manzoniane, riportando la situazione allo sgradevole status quo dell’inciviltà.

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Pubblicato il 10 febbraio, 2010, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 5 commenti.

  1. Pur essendo d’accordo con il provvedimento, non è ipocrisia vietare la bestemmia in campo, quando la Tv e certi programmi televisivi marciano proprio su bestemmie, discussioni accese, litigate varie, per fare ascolti? Comunque spero che questo possa essere un inizio per una bella retromarcia.

  2. Che tristezza la necessità di imporre il divieto di non bestemmiare.

  3. Cosa ne pensi del divieto di esporre scritte non solo politiche (su cui concordo) ma anche “religiose”, spirituali?

    Non è una forma di espressione del proprio pensiero?

    Il calciatore non è un dipendente dello stato, un funzionario, ma un libero cittadino e un libero professionista, come un attore, un dentista, con la differenza – certo – che la sua attività ha una valenza anche pubblica, in quanto idolo di ragazzini e tifosi.

    Io sono a favore delle scritte.

    L’idea di vietarle mi sembra (ma posso sbagliarmi) una scusa, come si suol dire, “pelosa”.

    Il segno della croce prima di entrare in campo o per festeggiare un goal sarebbe tollerato perchè meno appariscente, una scritta non sarebbe permessa perchè messaggio esplicito.

    Un cantante mostra una maglietta con una particolare scritta durante i suoi concerti, un calciatore mostra la sua felicità di dichiarare la sua dipendenza da Gesù: a mio avviso sono simili.

    Infine: i musulmani a mio avviso possono pregare sulla pubblica via, finchè non ottengono un luogo di culto. La loro spiritualità (che non condivido, ma che non desidero soffocare in quanto l’adesione al cristianesimo è – manco a dirlo – volontaria!) è manifestata in luogo pubblico. Se loro a mio avviso possono, perchè non un calciatore? E se venisse un calciatore musulmano a esporre una scritta pro Allah, ben venga: gli italiani devono imparare a convivere prima o poi con le culture e religioni diverse.
    So che è un tema spinoso e non sono comunque arrivata a un’opinione definitiva: per questo ti scrivo.

    Con stima

    • In merito al divieto assoluto di esporre messaggi sulle magliette, mi pare che il regolamento sia in effetti un po’ “peloso”. Lo si può fare perché non ha una ripercussione economica: non a caso ci si guarda bene dal vietare gli sponsor a bordo campo o sulle casacche, anche quando sollevano qualche perplessità sul piano etico.

      Per quanto riguarda le riunioni religiose sulla pubblica via, probabilmente non sarebbero un problema se non creassero un disagio concreto. Se le riunioni si tengono da anni, settimana dopo settimana, sui marciapiedi dell’affollato viale Jenner e non nella pace del parco Sempione è difficile non farsi venire il dubbio che non si tratti di un’esigenza ma di una strategia.

      • Grazie per la risposta!

        Effettivamente, non vivendo a Milano, non conosco la reale situazione delle preghiere in viale Jenner: bisogna andare e vedere sul campo per capire meglio un fenomeno.

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