La morale personalizzata
Pubblicato da pj
Il titolo non poteva non incuriosire: “Italia rassegnata e furba, senza senso del peccato”
così la Stampa presenta un’intervista con il presidente del Censis, il sociologo Giuseppe De Rita.
I contenuti non sono meno forti: colloquiando con il giornalista Fabio Martini, De Rita scodella una magistrale analisi dei problemi italiani e della loro origine, arrivando a una conclusione sorprendente.
De Rita descrive un paese rassegnato e furbo, dove l’indignazione verso gli scandali si trasforma in un comodo “quindi posso farlo anch’io”. Un alibi sempre più comune: d’altronde, rileva il sociologo, «Se sei un piccolo ladruncolo, cosa c’è di meglio che prendersela col grande ladro?»
Il problema è che «È entrato in crisi il senso del peccato – riflette De Rita -, ma lo Stato che dovrebbe regolare i comportamenti sconvenienti non ha più l’autorità morale per dire: quel reato è veramente grave».
La causa di questa deriva? Una figura insospettabile come Don Milani. Sì, ribadisce De Rita, proprio Don Milani e la sua obiezione di coscienza: «Ci voleva una autorità morale come la sua per dire che la norma della comunità e dello Stato è meno importante della mia coscienza. È da lì che inizia la stagione del soggettivismo etico».
Un relativismo che, secondo De Rita, ha portato a tre conseguenze: «La prima: la libertà dei diritti civili. Prima di allora non dovevi divorziare, non dovevi abortire, dovevi fare il militare, dovevi obbedire allo Stato e poi sei diventato libero di fare tutto questo.
Seconda strada: la soggettività economica, ciascuno ha voluto essere padrone della propria vita, non vado sotto padrone, mi metto in proprio. E’ il boom delle imprese.
La terza strada, la più ambigua: la libertà di essere se stessi e quindi di poter giudicare tutto in base ad un criterio personale. Il marito è mio e lo cambio se voglio, il figlio è mio e lo abortisco se voglio. L’azienda è mia e la gestisco io».
Morale: «Oramai si decide in proprio se si è peccato o no, se si è fatto reato o no, se quel magistrato vada bene o no».
La svolta di Don Milani viene ricordata – giustamente – per la consapevolezza sociale che è stata in grado di far scaturire negli “ultimi”. Il problema nasce non dall’uso, ma dall’abuso dei concetti espressi dal religioso: un’interpretazione egoistica di quella che si doveva configurare come una preziosa opportunità.
Probabilmente Don Milani non avrebbe mai pensato di scatenare una reazione del genere, né si sarebbe aspettato che, cinquant’anni dopo, il suo motto avrebbe portato a considerare bene e male come fattori relativi, da gestire in proprio e senza interferenze, fino ad arrivare a un mondo senza riferimenti autorevoli, né autorità capaci di porre limiti a coscienze sempre più rilassate.
Una deriva morale desolante, senza dubbio.
Forse è solo un sogno, ma sarebbe bello se almeno coloro che si considerano cristiani coerenti dessero un timido segnale, impegnandosi per un’inversione di tendenza. Si potrebbe cominciare dalle piccole cose, magari bandendo dal proprio vocabolario frasi come “io mi sento a posto così”, o l’intramontabile “chi sei tu per dirlo”, che già tradisce una scarsa predisposizione al rispetto, all’ascolto, al basso profilo, all’autocritica ossia, per dirlo con la Bibbia, all’umiltà.
No, non è facile, specie in un contesto sociale che usa queste formule a piene mani. Non è facile, in un mondo in cui riferimenti culturali, umani, filosofici e perfino pubblicitari volgono nella direzione opposta.
Eppure la svolta dovrebbe partire proprio da noi e da quell’inestimabile patrimonio di indicazioni che la Bibbia offre da millenni per la salvezza (dell’anima) e la salute (del corpo e della società) a chi si impegna a leggerla senza preconcetti.
Ecco, potremmo ripartire da qui: ricominciando noi per primi, in una società dalla morale personalizzata, a leggere la Bibbia in funzione di quello che vorrebbe dirci, e non di ciò che vorremmo sentirle dire.
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Pubblicato il 3 marzo, 2010, in Uncategorized con tag abortire, abuso, alibi, autorità, azienda, Censis, comportamenti, comunità, conseguenze, Coscienza, criterio, deriva, diritti, divorziare, Don Milani, figlio, giudicare, Giuseppe De Rita, imprese, indignazione, interpretazione, intervista, Italia, ladro, ladruncolo, libertà, marito, militare, Morale, norma, obbedire, obiezione, opportunità, padrone, peccato, problemi, reato, relativismo, scandali, sociale, sociologo, soggettivismo, stagione, Stato. Aggiungi il permalink ai segnalibri. 2 commenti.
Il relativismo, la più importante radice dei mali del secolo. Mentre Don Milani si rivolta nella tomba per le sciocchezze che sente, chiediamoci se per caso a inculcare nella mente delle persone il concetto che non esistono verità assolute, che tutto è relativo e opinabile, non abbiano contribuito in modo determinante le posizioni della chiesa, che ha preteso di includere nella lista delle verità assolute, dottrine e dogmi discutibilissimi, per cui quando le masse hanno cominciato a ragionare con la propria testa (più spesso con quella degli altri) hanno buttato via il bambino insieme con l’acqua sporca.
…anche io quando ho letto l’articolo del de Rita, sono stato colpito dall’espressione …l’italia…senza senso del peccato. Come pure il riferimento a don Milani,non avrei mai,pensato che potesse esserne l’origine.E tragico per l’uomo trovarsi in questa situazione,è pensare che per secoli i predicatori hanno fatto leva sulla condizione sentita del peccato che attanagliava le coscienze e l’anima delle persone. sto pensando a ciò che il vangelo dice ..Troverà ancora la fede nell’uomo nell’ultimi tempi quando Gesù tornerà.
Un allarme anche per noi evangelici,per secoli chiamati, il popolo del Libro, essere trascinati dalla corrente delle ovvietà, il richiamo è anche per me:sforzarsi di andare “controcorrente”.Nello