Vite d’azzardo

Che i soldi non facciano la felicità è una certezza. Che vincere alla lotteria possa portare più svantaggi che vantaggi, è stato segnalato molte volte: giocare d’azzardo rilascia endorfine e quindi può portare a una dipendenza, e anche chi ne fosse immune rischia di non resistere al meccanismo della rivalsa (“devo recuperare quel che ho perso”), trascinato in un pozzo senza fondo di giocate senza esito, fino a ritrovarsi sul lastrico.

Insomma, che il gioco d’azzardo sia una piaga sociale e tenersene lontani sia meglio è fuori di dubbio: paradossalmente lo ammettono a mezza bocca perfino alcuni gestori di lotterie istantanee, casinò online e affini, nel momento in cui raccomandano di “giocare responsabilmente”.

Premesso quindi che lo sappiamo, e lo sanno tutti, fa una certa impressione leggere oggi sul Corriere l’articolo in cui Giovanna Cavalli espone una casistica di vicende in cui il gioco ha davvero rovinato l’esistenza a persone che hanno vinto cifre consistenti.

Si va dall’emigrato gelese cui i boss chiesero “un congruo contributo“, all’infermiere palermitano vessato da una malavita, golosa della sua vincita, che venne convinto a suon di “botte, minacce, persecuzioni, versamenti forzosi ai mafiosi del posto”.

Con la latitudine cambiano i problemi, ma non la morale: dal pensionato di Castiglione delle Stiviere che prese a martellate moglie e figli convinto che “la vincita gli avesse attirato il malocchio”, fino al settantaquattrenne di Amendolara morto d’infarto “pochi giorni dopo aver messo in banca un milione al Gratta & vinci”.

Qualcun altro, a Peschici, ha dovuto fare i conti con l’invidia dei vicini, che “gli hanno incendiato l’auto, un’altra gliel’hanno rubata, la moto gettata in un cassonetto” e con investimenti sbagliati che lo hanno riportato, nel giro di una decina d’anni, a “raccogliere olive”.

Fino alla vicenda più emblematica: una coppia modesta ma felice, “operaio lui, domestica a ore lei”, che vince 11 miliardi al Superenalotto e vede sgretolarsi il rapporto. “Erano poveri ma si volevano bene. Con i soldi arrivarono i guai“: la separazione e le cause in tribunale per contendersi il malloppo.

Si stava meglio quando si stava peggio, sostiene la saggezza popolare. Non aspirare a cose troppo grandi per te, aggiungerebbe il salmista. Accontentatevi della vostra condizione, chioserebbe l’apostolo Paolo.

In fondo, con la dovuta pazienza e saggezza, i problemi si risolvono anche meglio giorno per giorno, senza colpi di scena plateali che mettono a rischio il fragile ecosistema della nostra esistenza.

Sì, perché se è vero che nessuno è del tutto insensibile all’aspetto economico, è altrettanto vero che spesso tendiamo a enfatizzare oltre misura i drammi e i benefici legati ai beni materiali. Tendendo a dimenticare che non si vive di soli soldi, e che la vita è un delicato equilibrio tra relazioni e situazioni, esteriorità e interiorità.

Solo riscoprendo e rispettando questa complessità, evitando di cedere alla tentazione di soluzioni facili, di amicizie a scopo di lucro, di una coscienza disattivabile a comando, di una religiosità solo esteriore, potremo trovare la risposta ai nostri problemi.

Una risposta che, per essere efficace, può essere solo globale, e deve attraversare effetti, affetti, pensieri e desideri.

Una sfida, sì. L’unica capace di liberarci dall’illusoria speranza di una vita votata, altrimenti, a un riscatto impossibile.

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Pubblicato il 6 aprile, 2010, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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