Slow word

Nel presentare la nuova edizione del Salone del libro, il direttore Ernesto Ferrero sulla Stampa ha voluto riflettere non solo sull’importanza della lettura e sui contenuti, ma anche sul “come”: leggere non è un’attività banale, o almeno non dovrebbe esserlo, e per questo è importante tenere in considerazione i contenuti ma anche il metodo. Ferrero, richiamando la fortunata esperienza di Slow food (presente peraltro al Salone con un suo stand), ha preso in prestito una definizione del massmediologo Derrick De Kerkchove per parlare di “slow word”: parola lenta.

Il concetto è affascinante: tra tante chiacchiere riversate dai media si avverte davvero la necessità di tornare a una parola di peso. Una parola che non scorre via tra le tante ma resta dentro, fermenta, fa riflettere, si fa strumento di crescita e di cambiamento. Una parola che non viene letta di fretta o distrattamente, ma trova asilo e tempo per lasciare il segno.

Di una parola come questa abbiamo bisogno tutti: credenti e laici, intellettuali e pratici. Una parola che ci cambia e che si rivela talvolta anche nei luoghi più insospettabili, in un libro di filosofia, di scienze, di storia, di teologia o, magari, proprio nella Bibbia: che, a ben guardare, è il libro più lento di ogni epoca.

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Pubblicato il 12 Maggio, 2010, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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