La parola giusta
«L’Argentina, la cui popolazione cattolica è stimata al 91 per cento, è diventata questa mattina all’alba il primo paese dell’America latina ad autorizzare i matrimoni omosessuali in seguito a un voto storico al Senato trasmesso in diretta tv», scrive Repubblica.
Il quotidiano cita poi il capogruppo al Senato dei radicali all’opposizione, Gerardo Morales, secondo cui “La società argentina è cambiata: ci sono dei nuovi modelli famigliari”, considerazione che ha portato ad approvare “questa legge… pensata per tutelare i diritti delle minoranze“.
Manifestazioni e scontri, in Argentina, dimostrano che la legge trova una forte opposizione da parte di ampi strati della società: d’altronde la questione incrocia valori, prospettive etiche e principi che difficilmente potranno trovare un punto di conciliazione.
Da osservatori possiamo solo sperare nell’onestà intellettuale dei media che ne parlano per evitare equivoci – forse non troppo casuali – nella terminologia usata: in Argentina, come in precedenza in Olanda, Belgio, Spagna, Canada, Africa del sud, Norvegia, Svezia, Portogallo e Islanda, sono state legalizzate “unioni omosessuali”, non “matrimoni”.
La differenza non è da poco: probabilmente suonerebbe ridicolo se i giornali scrivessero di “società per azioni omosessuali”, “onlus omosessuali”, “terzetti omosessuali”.
Sarà quindi un’ovvietà, ma di fronte a questa nuova, strisciante offensiva semantica vale la pena di ribadire che anche il matrimonio – proprio come ogni altro consesso umano che ha nella sua ragione sociale scopi economici, volontaristici, culturali – ha una storia, una struttura, un ruolo: è, insomma, qualcosa di più di una semplice unione di diritto tra due persone adulte e viventi mirato all’adozione di minori e alla reversibilità pensionistica.
Se l’obiettivo delle unioni omosessuali è acquisire il riconoscimento di priorità e reciprocità verso l’altro, urtare la sensibilità di chi crede nel matrimonio tradizionale non è certo il modo migliore per raggiungere i propri obiettivi.
Per dirla con Nanni Moretti, “chi parla male pensa male”: come si sarà potuto constatare, fino a oggi l’uso di una terminologia impropria ha dato adito a equivoci e rinfocolato gli estremismi, rivelandosi in ultima analisi controproducente; usare le parole giuste potrebbe invece contribuire a informare sulla questione senza fermarsi ai luoghi comuni.
E poi chissà: magari partire da un approccio appropriato e rispettoso potrebbe aiutare a disinnescare le guerre di religione, e – un giorno – giovare perfino al dialogo.
Pubblicato il 15 luglio, 2010, in Uncategorized con tag adozione, Africa del sud, alba, America latina, approccio, approvazione, Argentina, Belgio, Canada, cattolici, conciliazione, dialogo, Diretta, diritti, equivoci, estremismi, etica, guerre, Islanda, matrimoni, media, minoranze, minori, modelli, Norvegia, obiettivi, offensiva, Olanda, omosessuali, onestà, opposizione, parole, pensione, Portogallo, Principi, priorità, prospettive, quotidiano, Radicali, reciprocità, ridicolo, rispetto, ruolo, semantica, Senato, sensibilità, società, Spagna, storia, struttura, Svezia, terminologia, terninologia, tutela, Tv, unioni omosessuali, valori. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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