Un sos da Duisburg
Una manifestazione oceanica. Un milione e mezzo di persone, cinque volte più di quanto le strutture potessero reggere. Un’organizzazione inadeguata, affiancata da forze dell’ordine impreparate. Un momento di panico in un tunnel che fa paura a vederlo vuoto, figurarsi pieno. La strage è scaturita da queste premesse: venti giovani sono rimasti a terra, quattrocento hanno dovuto ricevere cure mediche.
La festa, con cinismo e realismo, è stata fatta continuare per evitare guai peggiori. Solo in seguito la cruda realtà è potuta irrompere nella vita di ragazzi giunti da mezza Europa per dimenticare il resto, ubriacati dal ritmo ossessivo della musica techno. E la festa si è tramutata in smarrimento, sgomento, tragedia.
In queste occasioni ci si chiede come sia stato possibile: come mai un paese che fa dell’organizzazione la sua religione si sia fatto trovare spiazzato di fronte a una manifestazione annunciata da mesi anche nelle sue probabili dimensioni.
Forse però, a margine, dovremmo chiederci anche perché. Perché un milione e mezzo di giovani abbia scelto di trasformarsi in un granello di sabbia in mezzo a una folla estesa a perdita d’occhio. Perché abbia affrontato fatica, spese e presumibilmente anche sacrifici per partecipare a un incontro così massicciamente frequentato da risultare, paradossalmente, impersonale. Perché abbiano accettato di ritrovarsi soli in mezzo a tanta gente, dimenandosi di fronte a un palco che spara ritmi e (poca) musica senza tregua per ore.
Alla Love Parade non si arriva spinti dall’amore per la musica. E, probabilmente, nemmeno dal desiderio di conoscere gente nuova. Sembra, piuttosto, semplice desiderio di esserci. Di partecipare a un appuntamento percepito come epocale, per poter dire “io c’ero”.
Volevano esserci per gridare “io esisto” a un mondo indifferente alla loro presenza. E turba che per poterlo fare – ironia della sorte – in contesti come la Love Parade accettino di trasformarsi in uno tra un milione, una presenza irrilevante, un numero. Per dimostrare di essere unici i ragazzi si amalgamano in una folla, seguono la massa, si adattano ai gusti più generici e commerciali.
Un milione e mezzo di giovani presenti allo stesso party non è un successo organizzativo: è un grido d’aiuto. E anche se la musica techno a tutto volume copre la voce e ottunde i pensieri, non possiamo fare finta di non sentirlo.
Pubblicato il 26 luglio, 2010, in Uncategorized con tag aiuto, Amore, cinismo, commerciali, cure, desiderio, dimensioni, europa, fatica, festa, folla, gente, Giovani, grido, gusti, Love Parade, manifestazione, massa, Milione, musica, numero, occasioni, organizzazione, Paese, panico, partecipare, party, paura, pensieri, presenza, ragazzi, realismo, religione, ritmo, sabbia, sacrifici, sgomento, smarrimento, strage, successo, techno, tragedia, tunnel, ubriachezza, Vita. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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