Il decennio senza prospettive
Cosa resterà di questo primo decennio di XXI secolo? Se lo chiede, con qualche tocco di lirismo, Vittorio Macioce sul Giornale.
Sembravano anni già visti, detti, profetizzati: «sono stati lì a scrivere, immaginare, sognare, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, viaggi nel tempo, teletrasporti, telelavori, cibernauti, argonauti, terre promesse, visitors e ufo robot. Poi il 2000 è arrivato e sono passati dieci anni. Non è che non è successo nulla, solo che il futuro, quando ci cammini sopra, non è questa cosa straordinaria».
Però va ammesso: quasi nulla è andato come si vaticinava. Anzi, peggio: questo esordio di nuovo secolo ci ha lasciato l’inquietudine di un passato ormai concluso e un futuro mai cominciato.
«Gli anni Zero – scrive Macioce – stanno per finire e lasciano sulla strada una macchia, un segno indefinito, l’incertezza, la ricerca di qualcosa di solido, navigando tra il reale e l’incorporeo».
È cambiata la prospettiva: «questo non è più l’orizzonte dei padri. Il rischio non è più l’avventura, ma è qualcosa che ti entra nel dna… Qui di certo invece non c’è più nulla». Nel lavoro, ma anche nell’amore: «La famiglia si è allargata, fino a evaporare. Nulla è per sempre, figuratevi l’amore. La stessa identità dell’uomo è un ircocervo, con questi laboratori dove ballano cellule chimera, umane al 99 per cento».
Gli anni zero sono finiti “come un domino di speranze cadute“, e adattandosi alle nuove tecnologie ci hanno lasciato un ammasso di fatti senza più un filo conduttore a collegarli, a dare loro una prospettiva e un senso compiuto. «Anni di passaggio, anni di frammenti. La storia è un susseguirsi di flash, di immagini, di fotografie, di spezzoni di vita e di ricordi scaricati dalla madre rete».
Ci lasciano in eredità “un presente che si dilata a dismisura e non diventa mai futuro” fatto di «Frammenti. Buttati lì, passati troppo in fretta, senza il tempo per digerirli, con questo futuro appiattito sul presente».
Lo scrittore Jonathan Franzen, ricorda Macioce, “dice all’umanità degli anni Zero che le nostre vite stanno deragliando“. D’altronde, nell’epoca del relativismo disincantato e depresso, dove non ci sono più santi né eroi, «Ci siamo lasciati alle spalle il mondo dei padri e ora fatichiamo a trovare una strada, perché il navigatore satellitare è vecchio e la mappa, il tuttocittà, è stracciato, perduto, disperso da qualche parte nel portabagagli».
Il quadro prospettato da Macioce non gronda ottimismo. In un presente che non passa e non lascia spazio al futuro, in una società che sembra tesa ad aspettare Godot senza sapere bene dove trovarlo o quando tornerà, tutto ciò che ci resta è incertezza, desolazione, delusione, disincanto.
Colpa dei tempi, si dirà. Un’autoassoluzione comoda che però non offre le risposte necessarie. Se non vogliamo cadere nella depressione del fatalismo dobbiamo invece ammettere che le colpe sono anche nostre, e non da oggi.
Come cristiani abbiamo guardato, con noncuranza o addirittura con un certo compiacimento, chi negli anni Settanta seminava contestazione, negli anni Ottanta arrivismo, nei Novanta relativismo. Non possiamo quindi stupirci se, nel nuovo secolo, raccogliamo i frutti dei nostri silenzi.
Pubblicato il 13 agosto, 2010, in Uncategorized con tag Amore, argonauti, arrivismo, autoassoluzione, bastioni, chimera, cibernauti, colpe, combattimento, contestazione, cristiani, delusione, depressione, deragliamento, desolazione, disincanto, dna, Eredità, fatalismo, fiamme, flash, fotografie, frammenti, futuro., Godot, identità, immaginare, immagini, incertezza, incorporeo, mappa, navigatore, oggi, Orione, orizzonte, padri, passaggio, passato, presente, profezia, prospettiva, reale, relativismo, rete, ricordi, rischio, risposte, robot, scrivere, silenzi, sognare, solido, strada, straordinaria, telelavori, teletrasporti, tempi, terre, umanità, uomo, vecchio, visitors, Vita, vite, XXI. Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.
Bell’articolo decisamente “lirico”.
Pero’ occorre anche ricordare che questi sono stati gli anni in cui aree del mondo che pensavamo destinate allo scollamento progressivo dall’occidente industrializzato, hanno iniziato un cammino vigoroso di crescita, economica e sociale.
Sono gli anni in cui Russia e Cina sono diventate terre amiche, e più in generale sono gli anni in cui quasi ogni luogo del pianeta è diventato raggiungibile e visitabile in sicurezza. Una bella conquista se si pensa che fino al 21 anni fa in Europa avevamo ancora un bel muro che divideva in due la città di Berlino.
E poi sono anche gli anni in cui è stato compiuto il più grande sogno dell’Illuminismo, un’enciclopedia universale, disponibile a tutti in tutte le lingue, qualcosa che ad inizio di questo decennio in pochi avrebbero immaginato possibile.
Ciò che ci piace meno è forse un ruolo meno centrale del nostro occidente all’interno dello sviluppo economico mondiale, quindi meno ricchezza e sicurezza per noi, ma quante responsabilità in meno! Siamo finalmente in compagnia di altri, con i quali, insieme, avremo da gestire e governare i prossimi anni di questo pianeta.
Per quanto riguarda il futuro appiattito sul presente… Direi al contrario che è l’epoca dove il passato rivive nel presente, grazie alla grande capacità di recuperare immagini, testimonianze e di rendere vive, immediatamente accessibili. Questo vale per una citazione latina dimenticata, la biografia di un politico, il dibattito su una vicenda storica, per un vecchio amico che riusciamo a ritrovare, per un pezzo musicale, o una vecchia sigla televisiva che riusciamo a riascoltare un secondo dopo averla ricordata. Il passato è accessibile, non è più perduto: rinasce e diventa presente.
E’ il presente? Quello si allarga, si estende nello spazio, e si moltiplicano allo stesso tempo le modalità con cui il presente lascia traccia di sé.
E il futuro? Per definizione ne sappiamo poco, del futuro. Pero’ certamente questa è un’epoca dove i dibattiti fioriscono (anche in questo blog). Certamente molte novità richiedono nuovi strumenti di elaborazione, orientamento. Ma questo è avvenuto in ogni epoca, e nella nostra forse siamo più fortunati, gli strumenti sono molti di più. E le idee non sono state mai così libere di circolare e di farsi sentire.