Archivio mensile:Maggio 2018
Lo strappo di Windsor
Sabato nella Cappella di San Giorgio a Windsor è andato in scena il matrimonio tra il principe Harry e l’attrice americana Meghan Markle; la cerimonia, celebrata dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e concelebrata dal decano di Windsor David Conner, si è svolta con rito anglicano, per quanto siano stati numerosi gli innesti episcopali in onore all’origine statunitense della sposa. Una cerimonia interessante, caratterizzata dalle immancabili letture bibliche – ampie citazioni dal Cantico dei cantici – e da un sermone intenso, in perfetto stile USA, del reverendo Michael Curry; in chiusura i presenti hanno intonato in coro la ormai tradizionale “Bread of Heaven” (“Pan di vita”, sentita anche al matrimonio del fratello William), mentre fuori dalla chiesa voci gospel hanno cantato il classico “Amen”.
Purtroppo la copertura dei canali italiani è stata ampia ma deludente: RaiUno, Canale5, RaiNews, SkyTg24 hanno interrotto le varie fasi – preghiere, formule, perfino il sermone – con commenti e interventi non sincronizzati (e spesso inutili, ridondanti o autoreferenziali). La più deludente probabilmente è stata RaiUno, dove il chiacchiericcio degli esperti non è cessato nemmeno nei momenti topici; la migliore, inaspettatamente, Real Time, che – pur offrendo una traduzione a tratti precaria – si è dimostrata rispettosa del rito, lasciando ai telespettatori la possibilità di vivere il momento senza narrazioni superflue.
In merito ai protagonisti, pare che Harry, lo scapestrato di famiglia, abbia trovato la quadra per mettere la testa a posto, impalmando una fanciulla alternativa quanto lui; per parte sua Meghan, da consumata attrice, pareva compresa nel ruolo, pronta a recitare il copione più importante e formale della sua vita, nel contempo compiaciuta per i colpi assestati alla tradizione di riti che avevano resistito per secoli: rivendicazioni che suonavano vagamente eccentriche per una persona che si apprestava a entrare – si spera consapevolmente – in una vera famiglia reale, che di certo non è il posto più indicato per scelte fuori dal coro.
Manifesti controversi
Polemiche a Roma in seguito all’affissione di un manifesto pubblicitario dedicato alla difesa della vita. Il messaggio – “l’aborto è la principale causa di femminicidio al mondo” – non è stato accolto particolarmente bene sui social, dove si è registrata una pioggia di insulti e di critiche sia nel merito, per l’iniziativa stessa (e questo era prevedibile), sia per il metodo, dato che il concetto di femminicidio definisce una categoria di delitti molto specifica in cui non pare possa rientrare la soppressione di una vita femminile tout court.
Dopo un paio di giorni il Comune di Roma, che in un primo momento aveva declinato la sua competenza sull’affissione, ha disposto la rimozione dei manifesti.
Se lo scopo era far parlare del tema, l’obiettivo è stato decisamente raggiunto proprio grazie alle reazioni dei detrattori.
Messaggi dall’Eurofestival
È tempo di Eurofestival: sabato sera sul palco della classica rassegna musicale continentale ospitata quest’anno a Lisbona (diretta su RaiUno) sarà in gara anche un brano ispirato a un personaggio cristiano del passato, il nordico Magnus Erlendsson, che il danese Rasmussen racconterà nella sua “Higher ground”. Magnus era un nobile norvegese vissuto nell’undicesimo secolo, «conte delle isole Orcadi convertito al cristianesimo, che governò le isole scozzesi fra il 1106 e il 1115 all’insegna del dialogo, della pace e del rifiuto della guerra»: nel primo caso «restò sulla nave a recitare i salmi», nel secondo trovò la morte «dopo aver rifiutato di contendersi col cugino Haakon il governo, fino ad allora condiviso, della contea. Aveva appena pregato per le anime dei suoi carnefici». Il brano si può ascoltare qui.
A proposito, Avvenire ricorda anche che il regolamento dell’Eurosong Contest vieta «citazioni esplicite che rimandino a politica o confessioni religiose», ma nonostante questo «per ben due volte hanno vinto canzoni con chiari rimandi alla fede, “Hallelujah” (degli israeliani Gali Atari & Milk and Honey, nel 1979) e “Hard Rock Hallelujah” dei finlandesi Lordi nel 2006», il cui testo recitava «Gli angeli del rock n’roll portano l’Hallelujah / nella creazione di Dio Altissimo e soprannaturale / solo chi crede davvero / sarà salvato»). In un terzo caso, «nel 2014 per la Svizzera salirono sul palco i Takasa, una band composta da membri dell’Esercito della salvezza, l’organizzazione umanitaria evangelica».
Il tema dimenticato
Ha fatto scalpore l’incontro tra i presidenti delle due Coree, Kim Jong Un e Moon Jae-in: un momento storico che potrebbe preludere ad altri sviluppi positivi. Peccato che il problema, con la Corea del nord, non sia solamente internazionale, ma anche interno, e riguardi in primo luogo l’annosa questione dei diritti umani: «le sevizie, le torture, le uccisioni di massa, le prigioni ridotte a luoghi di sopraffazione totale e senza limiti – denuncia Pierluigi Battista -, tutto questo non entra nei negoziati. Viene cancellato dagli argomenti di interesse pubblico. I dissidenti e gli oppositori sono esposti al massacro senza che una sola voce si levi nel mondo». Insomma, conclude, «la Corea del nord la fa franca. Nessun ispettore andrà a controllare le fosse comuni degli assassinati del regime. Nessuna diplomazia oserà chiedere conto della violazione sistematica dei diritti umani. Nessun comitato chiederà il rispetto delle garanzie che dovrebbero tutelare la libertà e la dignità di un popolo vessato e sfortunato».