Archivio mensile:ottobre 2018
La madre di tutte le manine
Manine, manine ovunque: ormai è diventata un tormentone la denuncia del leader 5 Stelle, Luigi Di Maio, contro chi potrebbe aver modificato il testo del decreto sulla pace fiscale prima della consegna al Quirinale. Inevitabili le polemiche tra il ministro (“c’è chi trama contro di noi”) e i suoi detrattori (“leggete senza capire, votate senza sapere”), con la relativa scia di ironie incrociate.
Su come siano andate le cose si è discusso per giorni, ma probabilmente non si raggiungerà mai una versione condivisa; non resta quindi che rifugiarsi nella storia, rilevando che la vicenda della mano anonima che verga testi incomprensibili (prima) e sgradevoli (poi) ha origini antiche: risale al VI secolo prima di Cristo, ai tempi del profeta Daniele. Per dettagli, potete chiedere al re babilonese Baldassar (ma, se volete uno spoiler, possiamo anticiparvi che non è finita per niente bene).
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Il fantasma del condono
Periodicamente si aggira per il nostro Paese il fantasma del condono. Un concetto che, spiega Francesca Paci sulla Stampa, all’estero faticano a tradurre, figurarsi a spiegare. Sarà questione di mentalità: a sud delle Alpi abbiamo familiarità con il concetto di indulgenza plenaria (periodica, oltretutto); salendo verso nord prevale un’altra etica: in Gran Bretagna «non si arriva alla contestazione delle multe automobilistiche perché tra telecamere e morale protestante non c’è cruna d’ago che tenga». E comunque, anche se «ab origine, la cultura protestante e quella cattolica divergono assai sul concetto di perdono», è difficile trovare, almeno in Europa, Paesi di origine cattolica lassisti quanto il nostro.
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Il dilemma di Riace
Quale principio deve prevalere tra il rispetto della legge e il valore della solidarietà? Se ne discute a margine del caso che ha visto protagonista, suo malgrado, il sindaco di Riace, Domenico Lucano. Per il gip è colpevole di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per i suoi sostenitori di aver piegato la legge alle ragioni dell’umanità. Questione di ruoli e di prospettive: «quando si scontrano due leggi – scrive Antonio Maria Mira su Avvenire – la legge dell’amore e la legge dello Stato quasi sempre vince la seconda. Ma la prima non perde mai. Mimmo Lucano non è un eroe, ma non è neanche un criminale». Il suo limite, secondo Mira, è stato un “eccesso di solidarietà“, quel sentimento che – forse “sbagliando sugli strumenti”, ma questo lo stabiliranno i giudici – gli ha permesso nel tempo di rendere Riace «un paese accogliente, ordinato, pulito. Dove gli immigrati, i rifiutati della terra, sono accolti e integrati. E dove i rifiuti dell’uomo sono gestiti efficientemente». Lucano, lo rileva anche Massimo Gramellini sul Corriere, “non è un falso buono”, e “sui migranti non ha guadagnato un centesimo”. Ed è vero che «talvolta il fine giustifica i mezzi – prosegue -, cioè la disobbedienza civile, ma una cosa è essere Gandhi nell’India occupata dalle truppe britanniche, un’altra abitare in una democrazia, dove si rispettano anche le leggi che si vogliono cambiare». Al di là di questo, la vicenda ci porta a «un dilemma etico che dovrebbe interrogare le coscienze e invece, come sempre, da noi sta agitando gli ultrà». Che poi, annota Mattia Feltri sulla Stampa, non si tratta esattamente di disubbidienza civile: «la disubbidienza civile, quella di Marco Pannella e dei radicali, era ed è altro: è la violazione plateale e annunciata della legge proprio perché siano le conseguenze a stabilirne l’iniquità».
Sia come sia, ammonisce Goffredo Buccini, in uno Stato di diritto «il fine non giustifica mai i mezzi, anzi, se i mezzi sono sbagliati pervertono il fine», perché «la solidarietà senza legalità diventa caos e arbitrio».
Questione di prospettive, certo, ma anche di ruoli: il ruolo dei giudici chiamati a valutare la legittimità formale di un comportamento. Ma anche il ruolo di un pubblico ufficiale, il sindaco, chiamato a sua volta ad applicare e rispettare per primo le leggi della Repubblica che servono proprio a tutelare i cittadini.
Come qualunque amministratore pubblico sa, a volte quelle leggi provocano un cortocircuito, finendo per schiacciare il cittadino che dovrebbero tutelare, scatenando di conseguenza in chi le deve applicare un frustrante senso di impotenza. Per questo a volte, intravedendo una possibile scorciatoia, l’amministratore decide di percorrerla.
Il sindaco di Riace, probabilmente con le migliori intenzioni, nel suo piccolo ha scelto di assumersi quel rischio, ma senza farsene portabandiera; per questo, nella migliore delle ipotesi, è difficile dipingerlo come un pericoloso esponente del buonismo sovversivo, come pure, dall’altro lato, come un eroe dell’umanità applicata contro un sistema disumano. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. In equilibrio tra limiti e virtù.
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