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Presenze luminose
“Turisti senza bon ton“: di questo si lamentano i sindaci delle località turistiche, dalle città d’arte alle stazioni balneari. I primi cittadini, interpellati da un periodico, si rammaricano per l’abbigliamento succinto dei visitatori, gli schiamazzi notturni, l’abuso di alcol, e un senso di libertà che sfiora la mancanza di rispetto per i residenti (e, probabilmente, per gli altri villeggianti).
La storia si ripete ogni anno, e riguarda allo stesso modo gli stranieri in Italia e gli italiani all’estero: l’assenza di obblighi lavorativi (e, talora, familiari), la lontananza dalle abitudini e dalla consuetudine dei gesti quotidiani, l’ebbrezza del viaggio e della permanenza in una località mai vista prima è una miscela entusiasmante, ma che se non viene equilibrata nel modo giusto rischia di scatenare un circolo vizioso di esagerazioni. Con rischi per la salute, per la convivenza, e anche per la dignità.
Sulla pelle dei cristiani
Gli scontri tra cristiani e musulmani che hanno avuto luogo nei giorni scorsi nel nord della Nigeria non hanno avuto grande spazio sulle prime pagine dei quotidiani, nonostante un numero di vittime non irrilevante.
Se lo spazio non era ampio, i titoli erano piuttosto categorici: «Nigeria, strage di religione. Cristiani contro islamici, quasi duecento morti», titolava mercoledì, in un modesto richiamo, La Stampa; Il Corriere, relegando la notizia agli esteri, parlava di “Chiese e moschee bruciate in Nigeria: oltre 200 morti” e precisava in un sommario: “A scatenare la violenza un cantiere islamico in una zona cristiana“, anche se l’inviato, nell’articolo, ridimensionava: «I musulmani volevano costruire una moschea in un quartiere a prevalenza cristiana o più semplicemente un musulmano voleva ristrutturare la sua casa nella zona dei cristiani».
Mete etiche
Già pensare a un football americano femminile suona male: uno sport rude, per maschiacci dalle spalle robuste e senza paura. Pensare che lo possano praticare delle posate ebree ortodosse suona quasi surreale. Eppure succede.
Tutto è cominciato nel 2001, quando il responsabile dell’American Football Association ha invitato mogli e sorelle dei giocatori, sempre presenti sugli spalti per seguire i loro familiari, a provare a loro volta.
In pochi anni la disciplina si è affermata, tanto da permettere di organizzare un campionato, e perfino di allestire una nazionale. Che ha ottenuto ottimi risultati alle ultime competizioni internazionali.
Delle 160 iscritte alla lega, il 70% è composto da ebree ortodosse praticanti: quelle che, per capirci, di solito non scoprono i capelli in presenza di estranei. Molte di loro sono mamme, con nidiate di quattro, o anche sette figli, che lasciano a casa con i papà nelle lunghe ore di allenamento.
L’abbigliamento in campo è comodo ma castigato: lascia libere, ma non scopre il fisico (né il capo), in barba a quegli sport dove la tenuta è diventata un costume da bagno.
Al sabato non si gioca: questo costringe le organizzazioni dei tornei internazionali a fare i salti mortali, e spesso la nazionale deve sorbirsi due partite al venerdì e alla domenica per compensare.
Non solo, un buon ebreo ha le sue pratiche religiose: tra allenamenti e sedute tattiche si deve ricavare uno spazio per la preghiera.
Per non parlare del cibo: niente maiale, coniglio, molluschi e crostacei e tutto ciò che la Legge vieta. Facile quando si gioca in casa, meno quando si gira per gli alberghi del mondo, e chi ha qualche allergia alimentare può capire l’imbarazzo.
Eppure giocano. Giocano senza rinunciare alle loro convinzioni. E, stando ai risultati, giocano abbastanza bene.
Forse il loro esempio è una buona lezione per tutti noi. Noi che spesso, per molto meno, siamo disposti a derogare ai nostri impegni, ai nostri principi, alla nostra etica, convinti che non si possa fare diversamente.
Leggendo di queste ragazze israeliane, infatti, viene davvero da chiedersi se è davvero così difficile mantenere la coerenza in ogni aspetto della nostra vita, o se i nostri “non si può fare altrimenti” sono solo comode scuse per non rinunciare a nulla.
Il ritocco della discordia
Ago 5
Pubblicato da pj
Gisele Bundchen è stata protagonista, ieri, di una vicenda quantomeno curiosa che la riguarda peraltro solo indirettamente.
La famosa e ricercatissima modella brasiliana ha posato per la campagna pubblicitaria di una marca di abbigliamento. Nella foto compare a dire il vero poco vestita, e questo potrebbe già essere motivo di ironia, se la pubblicità in questi anni non ci avesse abituato a paradossi peggiori.
La cosa che ha fatto discutere è che compare magra. Niente di strano per una modella, se non fosse che Gisele Bundchen è incinta. Un colpo di videoritocco, ed ecco sparire il pancione.
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