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In partes tres
Confessiamolo: un po’ ci eravamo illusi. Mentre le testimonianze dirette, le domande dei lettori, le prime reazioni al dramma si susseguivano a ritmo continuo sulla nostra scrivania, ci aveva sollevati la notizia di un coordinamento che raccogliesse e aiutasse a ottimizzare l’impegno delle realtà e dei credenti evangelici di fronte al terremoto in Abruzzo. Un coordinamento composto da una quindicina di chiese locali provenienti da varie aree denominazionali, oltre a una missione rilevante e all’Alleanza evangelica, disposte a organizzarsi insieme per servire al meglio i bisogni della gente che ha perso tutto.
Sono bastati pochi minuti per sfatare il mito di un’azione congiunta. Il tempo di ricevere un nuovo comunicato di chi preferiva fare da sé, avvalendosi di competenze specifiche e un’esperienza maturata sul campo. Il tempo di scoprire, poco dopo, che una seconda realtà nazionale di peso aveva deciso di muoversi secondo i propri canali.
Naturalmente abbiamo deciso di non fare distinzioni: l’impegno di fronte a un dramma come questo è sempre benvenuto. Certo, sarebbe davvero amaro scoprire, nei prossimi giorni, che il desiderio di operare per conto proprio potrebbe aver causato sovrapposizioni, doppioni, sprechi.
Non succederà, ne siamo certi, perché la buona volontà e il buonsenso prevarranno, e dall’Alto si metterà una pezza ai nostri limiti. Resta un punto interrogativo. Che, viste le premesse, è destinato a resistere a lungo.
Ricominciamo da qui
Apr 30
Pubblicato da pj
Ho ripescato un interessante commento di Aldo Grasso, pubblicato in seguito alla polemica sulla celebre puntata di Annozero dedicata alle carenze nei soccorsi dopo il sisma in Abruzzo.
Scrive tra l’altro Grasso: «Le critiche (non le speculazioni politiche) fatte alla trasmissione di Santoro della settimana scorsa non riguardavano la libertà di informazione o il bilanciamento delle opinioni; no, riguardavano qualità giornalistiche e umane che non possono essere oggetto di trattative o di provvedimenti o d’insegnamenti: la sensibilità, l’opportunità (da non confondersi con l’opportunismo), il buon gusto. Quelle, o ce l’hai o non ce l’hai. Dice l’Ecclesiaste: “C’è un tempo per demolire e un tempo per costruire, un tempo per piangere e un tempo per ridere”».
Sensibilità, opportunità, buon gusto. Non formano una professionalità, ma la caratterizzano. Non determinano il fine, ma indicano il mezzo. Non si possono insegnare (se non in parte), ma sono indispensabili. E non per il lavoro: per vivere in una società civile.
Ricominciamo da qui, da quell’etica che per molti è diventata un soprammobile, da quella deontologia seguita alla lettera ma svuotata di contenuto.
Ricominciamo da qui, tutti: giornalisti e architetti, insegnanti e giudici, medici e politici, imprenditori e dipendenti.
Ricominciamo da quelle indicazioni semplici di Giovanni Battista.
La folla lo interrogava, dicendo: «Allora, che dobbiamo fare?». Egli rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne faccia parte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche degli esattori per essere battezzati e gli dissero: «Maestro, che dobbiamo fare?» Ed egli rispose loro: «Non riscuotete nulla di più di quello che vi è ordinato».
Lo interrogarono pure dei soldati, dicendo: «E noi, che dobbiamo fare?» Ed egli a loro: «Non fate estorsioni, non opprimete nessuno con vessazioni, e accontentatevi della vostra paga».
Così semplice da rasentare la banalità. Semplice, ma impegnativo: richiama il credente al senso di responsabilità, alla coerenza tra quel che si predica alla domenica mattina e ciò che si pratica nel resto della settimana.
Per questo più di qualche cristiano, alle impegnative parole del Battista, preferisce altre, più comode, citazioni.
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