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Privilegi incompresi

Chissà come sta quella nipotina di dieci anni, che, un po’ per scherzo e un po’ sul serio, qualche settimana fa ha messo la nonna in vendita su e-bay, il noto sito d’aste online.

La nonna, 61enne, veniva proposta descrivendola come «rara e fastidiosa, e molto lagnosa», ma anche – bontà sua – “molto tenera”, con una passione per tè e caffè.
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Il profumo dell'altruismo

In Piemonte si sono inventati il Bosco del silenzio. L’idea è venuta a Oscar Farinetti, imprenditore «noto per aver creato Unieuro e poi Eataly. Quello che aveva convinto anche Tonino Guerra a parlare in pubblico, a dire in tv “L’ottimismo è il sale della vita“».

Lasciati da parte (temporaneamente?) i suoi affari, Farinetti ha acquistato tredici ettari di bosco, «l’ultimo vero bosco di bassa Langa, l’unico che si sia salvato dall’invasione della vite». E per questo, spiega ha deciso «non solo di conservarlo, ma di dargli una destinazione particolare. Di farlo diventare il regno del silenzio e della riflessione».

In un percorso a tappe in due versioni, adatto a tutti, è possibile incontrare la natura, la letteratura con citazioni di grandi autori («da Leopardi a Baudelaire, da Fenoglio a Pavese a Whitman, da Maupassant a padre Turoldo») e se stessi.

Il percorso è gratuito, unica richiesta per essere ammessi nel bosco: impegnarsi a camminare in silenzio. Nessun divieto, beninteso, ma solo la richiesta di non interrompere i pensieri altrui con la propria voce.

Non ci soffermeremo a parlare del silenzio e dei suoi privilegi, dato che lo abbiamo fatto altre volte.

Ciò che fa riflettere è l’impegno di questo affermato professionista: un imprenditore di successo che non si limita a curare le sue aziende, ma ricava del tempo per creare qualcosa di bello, utile, da condividere con gli altri.

Probabilmente non ha molto più tempo dei suoi colleghi – e di ognuno di noi -, i problemi non gli mancano, gli imprevisti saranno anche per lui all’ordine del giorno. Eppure ha deciso di non lasciarsi travolgere da un diktat egoistico – il successo professionale – e lasciare il segno realizzando qualcosa di buono.

Viene da chiedersi come sarebbe il nostro Paese se fossero meno rari i personaggi come Farinetti, e non solo tra i professionisti. Chissà come sarebbe la nostra città se prendessimo sul serio quel mandato relazionale che Cristo ci ha assegnato, e decidessimo di dedicare una parte delle nostre risorse (tempo, energie, denaro) al benessere altrui.

Potremmo farlo come e meglio degli altri, ben sapendo che il benessere nasce dal profondo e non dai beni materiali; riusciremmo dare qualche consiglio non solo teorico, ma sperimentato in prima persona su cosa significhi affrontare le difficoltà con il conforto della fede.

Un bosco del silenzio, una casa della speranza, una scuola di valori, una sala di riflessione, un consultorio per un aiuto: tutte idee buone, che non dovremmo lasciare sempre agli altri.

Perché anche un bosco dove riflettere e trovare ispirazione può risultare efficace. Talvolta perfino più efficace dell’ennesima chiesa.

Il profumo dell’altruismo

In Piemonte si sono inventati il Bosco del silenzio. L’idea è venuta a Oscar Farinetti, imprenditore «noto per aver creato Unieuro e poi Eataly. Quello che aveva convinto anche Tonino Guerra a parlare in pubblico, a dire in tv “L’ottimismo è il sale della vita“».

Lasciati da parte (temporaneamente?) i suoi affari, Farinetti ha acquistato tredici ettari di bosco, «l’ultimo vero bosco di bassa Langa, l’unico che si sia salvato dall’invasione della vite». E per questo, spiega ha deciso «non solo di conservarlo, ma di dargli una destinazione particolare. Di farlo diventare il regno del silenzio e della riflessione».

In un percorso a tappe in due versioni, adatto a tutti, è possibile incontrare la natura, la letteratura con citazioni di grandi autori («da Leopardi a Baudelaire, da Fenoglio a Pavese a Whitman, da Maupassant a padre Turoldo») e se stessi.

Il percorso è gratuito, unica richiesta per essere ammessi nel bosco: impegnarsi a camminare in silenzio. Nessun divieto, beninteso, ma solo la richiesta di non interrompere i pensieri altrui con la propria voce.

Non ci soffermeremo a parlare del silenzio e dei suoi privilegi, dato che lo abbiamo fatto altre volte.

Ciò che fa riflettere è l’impegno di questo affermato professionista: un imprenditore di successo che non si limita a curare le sue aziende, ma ricava del tempo per creare qualcosa di bello, utile, da condividere con gli altri.

Probabilmente non ha molto più tempo dei suoi colleghi – e di ognuno di noi -, i problemi non gli mancano, gli imprevisti saranno anche per lui all’ordine del giorno. Eppure ha deciso di non lasciarsi travolgere da un diktat egoistico – il successo professionale – e lasciare il segno realizzando qualcosa di buono.

Viene da chiedersi come sarebbe il nostro Paese se fossero meno rari i personaggi come Farinetti, e non solo tra i professionisti. Chissà come sarebbe la nostra città se prendessimo sul serio quel mandato relazionale che Cristo ci ha assegnato, e decidessimo di dedicare una parte delle nostre risorse (tempo, energie, denaro) al benessere altrui.

Potremmo farlo come e meglio degli altri, ben sapendo che il benessere nasce dal profondo e non dai beni materiali; riusciremmo dare qualche consiglio non solo teorico, ma sperimentato in prima persona su cosa significhi affrontare le difficoltà con il conforto della fede.

Un bosco del silenzio, una casa della speranza, una scuola di valori, una sala di riflessione, un consultorio per un aiuto: tutte idee buone, che non dovremmo lasciare sempre agli altri.

Perché anche un bosco dove riflettere e trovare ispirazione può risultare efficace. Talvolta perfino più efficace dell’ennesima chiesa.

Il bluff delle letture mancate

In Gran Bretagna un interessante sondaggio ha rivelato che il 65% degli inglesi millanta letture in realtà mai fatte.

Spiega Repubblica: «Una classifica del tutto particolare dove il 65% degli intervistati ammette di aver pronunciato ben più di una bugia, raccontando ad esempio di aver letto “1984” di George Orwell, “Guerra e pace” di Tolstoj (31%), “Ulisse” di James Joyce (25%), o la Bibbia (24%). Motivo della bugia? Vergogna per la propria refrattarietà a capolavori così noti, ma soprattutto così lunghi».

In merito alle Sacre Scritture, riflette la giornalista Maria Novella De Luca, «quante sono le case dove non esiste una Bibbia, il libro più venduto al mondo? Poche, almeno nell’universo occidentale, ma dall’acquistarla a leggerla il passo è lunghissimo».

Che la lettura non sia l’hobby preferito per gli europei del XXI secolo non è una novità: leggere comporta impegno, costanza, concentrazione, talvolta perfino fatica; non è come guardare la televisione, che permette di assopirsi, o come navigare in rete, che permette di distrarsi, di guardare senza vedere.

Il libro è qualcosa di diverso, ci mette a confronto con i nostri limiti; non chiede solo di essere letto, ma anche vissuto. Non ci mette fretta, ma ci incoraggia a un approccio regolare e frequente, per non perdere il filo, per non dimenticare. E, magari, incoraggia anche la rilettura dopo tempo, per ritrovare concetti e vicende dimenticate o, semplicemente, per ritrovare il gusto di certe atmosfere.

Leggere non è un pregio, è un privilegio. Non leggere non è una vergogna, ma un’occasione mancata.

E fingere di aver letto non è la soluzione. Non lo è con i classici, e lo è ancora meno con la Bibbia che, per venir compresa e applicata correttamente, richiede un’applicazione costante.

Si può scegliere di non leggerla, ma è difficile fingere di leggerla quando non lo si fa.

È difficile sul piano culturale; è ancora più difficile sul piano umano e spirituale.