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Il ritmo del messaggio

“God is my dj”, si intitolava la tournée musical-teatrale che Alice portava in giro per l’Italia tra brani sacri e pezzi meno convenzionali.

Chissà se l’iperbole di quello slogan ha qualche parte nella decisione della diocesi cattolica di Genova, che sulla spiaggia di Arenzano ha inaugurato la prima “discoteca cristiana”: l’obiettivo è «far ballare d’estate i turisti e i parrocchiani in allegria, pregando e divertendosi».

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Sempre più in alto

«Non pensavo che mi sarebbe dispiaciuto tanto»: le parole di una donna di mezza età intervistata da un telegiornale, probabilmente interpretano con efficacia il sentimento di molti italiani in relazione alla scomparsa di Mike Bongiorno.

Ieri i palinsesti televisivi si sono riempiti di ricordi: le emittenti, da RaiUno a ReteQuattro hanno rispolverato in fretta e riproposto in prima serata i primi programmi e le ultime interviste dello storico conduttore.

Oggi tocca ai giornali: Bongiorno viene salutato come il “simbolo della televisione italiana” (Corriere), “Il signore della tv” (Repubblica), “il papà della tv” (La Stampa), e via declinando.

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Scomodo, ma a me piace

Non è il numero dei partecipanti. E forse nemmeno il posto. Quello che mi piace di Christian Artists, e che mi ha riportato ancora una volta in quel di Acquasparta, è il clima.

Quel clima di allegria che risuona nelle risate fin dal mattino; quel clima di creatività che si percepisce nei rapporti con gli artisti, tra dialoghi e spunti di riflessione; quel clima di serenità che si respira fino a notte fonda, tra seminari e spettacoli.

È una ricchezza intellettuale che distingue Christian Artists da ogni altro “campo biblico” – sia detto con tutto il rispetto possibile, naturalmente -, che permette a persone completamente diverse per provenienza culturale, preparazione, talento, percorso di fede, appartenenza denominazionale di trovare un comune denominatore in Cristo.

Proprio come dovrebbero fare sempre i cristiani, direte voi. Esatto. Proprio come dovrebbero, e come raramente fanno. Non sono molte, purtroppo, le occasioni di incontro tra cristiani di realtà diverse che si sentono uniti da uno scopo comune; sono rare le riunioni, talvolta anche di grande impatto, che non siano mere celebrazioni di una unità ancora solo teorica, e siano invece mirate alla concretezza di una comunione spicciola e quotidiana.

Christian Artists è così: dialoghi con il performer battista, chiacchieri con il tecnico pentecostale, scherzi con l’oratore “dei fratelli”, in un clima di sintonia che potrebbe suonare quasi irreale, o forse falso, a leggere le cronache evangeliche del nostro tempo.

Non solo. Da quando si è trasferito in Umbria, ospite di un borgo medievale che i bravi presentatori definirebbero “splendida cornice”, Christian Artists ha una marcia e un impegno in più: dimostrare concretamente quell’amore, quella nuova vita, quella gioia che – almeno a parole – caratterizzano il cristiano “nato di nuovo”, quel cristiano che – per intenderci – ha vissuto un’esperienza di fede e in seguito a questa ha fatto una scelta di vita cristiana.

Perché è facile parlare di fede tra noi, in una autoreferenzialità che si autoalimenta e che, giorno dopo giorno, ci chiude al “mondo”, impedendoci di comprendere le necessità e le speranze di chi ci sta attorno. È facile autocompatirsi su quanto poco siamo compresi o su come sia difficile il terreno di casa nostra (fateci caso: avete mai sentito una chiesa dire che nella sua città la gente è sensibile e ben disposta verso il messaggio di speranza della fede?).

Il difficile è sforzarsi per farsi capire. Perché, per farsi capire, è necessario prima capire. Capire gli altri, quegli “altri” da cui ci astraiamo per immergerci nelle oasi dei ritiri spirituali o dei campi biblici.
A volte, con il nostro modo di fare, ricordiamo da vicino la pubblicità di quella coppia che, tornata dalla crociera, vive con disperazione la banale quotidianità ritrovata a casa propria. Anche noi cristiani torniamo a casa dai ritiri spirituali e ci sentiamo “ristorati”, ma ben presto il ristoro si trasforma in frustrazione per il contesto ostile con cui dobbiamo fare nuovamente i conti ogni giorno. La quotidianità è un contesto troppo diverso dall’atmosfera delle giornate felici passate lontane dal “mondo”, specie se il ritiro spirituale non ci ha arricchito di elementi nuovi, capaci di cambiare la nostra prospettiva sulle cose e quindi la nostra capacità di intervenire sul contesto in cui viviamo.

Christian Artists, al contrario di molti ritiri, non è una vacanza: forse per questo non è così popolare. A Christian Artists ci si riposa, ma è un riposo attivo, dove gli stimoli sono continui. Scomodo? Certo, un ritiro spirituale è più comodo: ad Acquasparta siamo chiamati a rendere conto della nostra fede – per dirla con San Paolo – ogni giorno. Al bar del paese, in lavanderia, in piazza. La gente ci guarda, sa chi siamo, e aspetta di vedere se quella fede di cui parliamo è proprio qualcosa che vale la pena vivere, o se è solo un’altra forma di religiosità, magari un po’ più intensa, ma che non cambia davvero la vita.

Sta a noi dimostrare che la nostra vita è differente. Ma non a parole: con i fatti. Aiutati certamente da un contesto di seminari, corsi, incontri, ma da applicare poi alla vita di tutti i giorni. E subito. A Christian Artists la vita non viene sospesa artificiosamente per una settimana, ma continua giorno per giorno in un contesto umano fatto di incontri, di contatti, di sorrisi, di parole.

Per questo Christian Artists mi piace. Mi dispiace solo che pochi abbiano compreso il valore del progetto, perdendo l’occasione per un ritiro spirituale diverso dal solito, ma non per questo meno intenso. Anzi.