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Minoranze fastidiose
Tempi duri per i pentecostali. Non passa quasi giorno senza che la denominazione – che, ormai, comprende sul piano numerico la stragrande maggioranza degli evangelici in Italia e nel mondo – subisca riferimenti e allusioni ingenerosi da parte dei media, ispirati dagli eccessi di qualche esagitato o dalla singolarità di certe pratiche.
Una strategia, quella dei media, che potrebbe anche non essere del tutto consapevole, ma che porta l’opinione pubblica ad accostare la diversità alla bizzarria, e la bizzarria al pericolo tout court. Se poi a questi elementi si aggiunge la diffidenza verso lo straniero, ci sono tutti gli elementi per fare di una onesta denominazione il capro espiatorio ideale per le paure, i fastidi, le intolleranze del nostro Paese.
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Crisi e coscienza
Quando si leggono certe notizie sale un moto di sconforto e indignazione. “Una famiglia su cinque è in difficoltà”, e “il 6,3% non riesce ad arrivare a fine mese“.
I dettagli sembrano tratti da una rivisitazione del libro Cuore: «Circa 1 milione e 500 mila famiglie (6,3%) denunciano, oltre a seri problemi di bilancio e di spesa quotidiana, più alti rischi di arretrati nel pagamento delle spese dell’affitto e delle bollette, nonchè maggiori limitazioni nella possibilità di riscaldare adeguatamente la casa».
Che la crisi abbia colpito tutti, e soprattutto chi ha meno possibilità, non è una novità. Ma se fosse davvero come scrive il Corriere, la situazione sarebbe drammatica: il riscaldamento è un bisogno primario, come la casa e la fornitura di energia elettrica.
Qualcosa non quadra. Possibile che, nelle nostre città, si vedano sempre e solo le famiglie agiate? Possibile che, anche statisticamente, non capiti mai di dialogare con qualcuno che debba davvero tirare la cinghia? Possibile che, con la crisi che tutti piangono, capiti di venir guardati da eretici pervicaci quando si rivela di non andare in ferie?
Forse la questione allora viene osservata in una prospettiva sbagliata, e il problema non consiste nel “quanto”, ma nel “come”.
Le statistiche dicono che gli italiani sono in crisi, ma continuano a cambiare cellulari, a comprare notebook, a permettersi vacanze low cost, ad acquistare auto nuove (a rate, si intende), a frequentare palestre e solarium, a pagare l’abbonamento alla tv satellitare (lamentandosi però per il famigerato canone).
Certo, la televisione ci ha raccontato che questa è la felicità e che per raggiungerla non dobbiamo badare a spese. E noi, meschini, ci siamo cascati, identificando la qualità della vita con l’esibizione di beni superflui.
Non vogliamo fare i conti in tasca a nessuno ma forse, prima di lamentarci per un bilancio difficile da far quadrare, dovremmo analizzare onestamente il nostro stile di vita, imparando a distinguere il necessario dal velleitario. Proprio come facevano i nostri nonni che, senza saperlo, erano più vicini di noi al “buon amministratore” di biblica memoria.
Cameron e lo slalom legale
Scandalo dei rimborsi per il Parlamento britannico, dopo che alcuni deputati hanno presentato note-spese gonfiate. La scoperta della malversazione ha fatto discutere la Gran Bretagna, evidentemente poco abituata a situazioni che ad altre latitudini sono ordinaria amministrazione in quasi tutte le istituzioni e le realtà produttive.
La vicenda ha coinvolto anche vari parlamentari conservatori e per questo il leader del partito, Davide Cameron, ha deciso di prendere provvedimenti seri: ha invitato i parlamentari coinvolti a rimborsare quanto dovuto, minacciando altrimenti di espellerli dal partito.
«La gente – ha detto Cameron in conferenza stampa – ha ragione ad arrabbiarsi con dei deputati che hanno utilizzato denaro pubblico per pagare cose che pochi possono permettersi: si sono comportati in modo poco etico e sbagliato, non importa se entro le regole, comunque sbagliato».
Senso etico, giusto e sbagliato, regole: già verrebbe da complimentarsi per il coraggio di aver osato l’inosabile, evocando tre concetti che normalmente a molti politici – e a molti di noi con loro – danno l’itterizia anche qualora presi singolarmente e in piccole dosi.
Ma c’è di più. Controcorrente fino in fondo, Cameron ha sfatato un mito, demolendo nel suo piccolo una roccaforte della excusatio più comune.
Dopo la pubblicazione del volume “La Casta” e le polemiche che ne sono seguite, i politici e le istituzioni sotto tiro si sono difesi normalmente con concetti apparentemente inattaccabili, come: “tutto è stato fatto secondo la legge”, “non sono riscontrabili violazioni”, “non è colpa nostra se la normativa è lacunosa”.
Cameron ha dimostrato che anche un politico può avere un’anima etica, strigliando i suoi deputati nonostante siano rimasti “entro i limiti previsti dalla legge”: «si sono comportati in modo poco etico e sbagliato, non importa se entro le regole, comunque sbagliato».
Ecco. Di fronte alle tante giustificazioni accampate da politici e amministratori di ogni ordine e grado, dovremmo essere in grado di opporre un sonoro “non importa”. Perché non è la legge che descrive la persona, ma il modo in cui la persona stessa la applica.
Certo, per farlo dovremmo, a nostra volta, riconoscere l’esistenza di un “giusto” e di uno “sbagliato”, di un “bene” e di un “male”: nell’operato dei politici, ma anche nella nostra vita.
Si sa, è più semplice proporsi di cambiare gli altri che tentare di cambiare noi stessi. E forse è proprio per questo che, anche se a parole vorremmo cambiare tutto, alla fine tutto resta com’è.
Tanti, ma felici
Cinquecento persone, lo scorso fine settimana, hanno partecipato alla festa dell’associazione nazionale famiglie numerose: si è svolta per la seconda volta in Veneto, in provincia di Vicenza, e ha dato ai presenti modo non solo di incontrarsi, ma anche di confrontarsi su temi di interesse comune.
Deve essere una bella sfida, quella di una famiglia numerosa. La giornalista del Gazzettino che ne parlava in questi giorni segnala appartamenti dove c’è “più disciplina che in una caserma”. Grazie al racconto di altri diretti ineressati sappiamo di famiglie di sei, sette, nove, anche quattordici persone dove il menage quotidiano non si riduce all’anarchia più totale, ma dove tutti aiutano tutti, in una economia di scala che vede tutti responsabili e nessuno escluso dalle scelte della famiglia.
Probabilmente i ragazzi non avranno tutti il cellulare, né vestiti firmati, e forse nemmeno abiti alla moda, e si dovranno accontentare della felpa già portata dal fratello maggiore (e magari anche più di uno). Eppure difficilmente si sentiranno questi ragazzi diffondersi in lamenti.
Colpisce che alla festa di Montecchio Prealcino si trovavano “bambini molto educati… senza un grido né un pianto”. Torna subito in mente, per contrasto, un qualsiasi intervallo scolastico tra due ore di lezione. O gli appartamenti dove i nostri vicini allevano figli assenti, pigri, insoddisfatti, senza uno stimolo capace di smuoverli, eccezion fatta per la suoneria del cellulare o l’ultimo modello di playstation.
Al contrario di loro, le famiglie numerose non possono offrire un doppione a ogni figlio: le bici saranno limitate, i pattini pure, e per potersi esercitare bisognerà – come accadeva prima degli anni Ottanta – imparare ad aspettare con pazienza il proprio turno, senza puntare i piedi o scadere in isterismi da tutto e subito.
Eppure parliamo di famiglie con un ampio numero di figli: forse questi genitori coraggiosi avrebbero qualche ragione per considerarsi giustificati nel vedere la prole crescere trascurata. Invece no. Educati, silenziosi, altruisti.
Allora viene da pensare che la famiglia numerosa sia una scuola di vita. Che non largheggia nel lusso, ma forma in maniera efficace. Forse i genitori non tornano a casa stanchi sentendo il diritto di estraniarsi per riprendersi dalle fatiche del lavoro, e si mettono invece a disposizione delle esigenze familiari. Forse i figli sanno che non possono aspettare la cena con l’indolenza della generazione youtube, ma devono collaborare, per quanto possibile, alla preparazione del pasto. Forse, rendendosi conto che la situazione non permette di tirare avanti da soli, tutti sono più disponibili ad aiutare l’altro. Sapendo che gli spazi sono limitati, tutti sono più sensibili nell’agevolare le esigenze altrui. Sapendo che i soldi non bastano davvero mai – e non solo come luogo comune di un’Italia che non sa più dove spendere – si impara ad amministrarsi in maniera ragionevole e ad accontentarsi.
In una famiglia numerosa la vita è un’avventura quotidiana: si vive stretti, ma felici.
Una famiglia numerosa è un limite o un punto di forza? Il gioco vale la candela? Lasciamo a voi le conclusioni.
Probabilmente però se la nostra società somigliasse a una famiglia numerosa vivremmo tutti meglio.