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Abbracci e responsabilità
«Baci e abbracci in culla contro il futuro stress: le coccole di mamma fanno adulti più forti. L’affetto materno è un’arma fondamentale per divenire adulti capaci di resistere alle tensioni quotidiane, più sicuri di sé, meno ansiosi e ostili», scrive La Repubblica.
Una paziente ricerca finlandese «ha selezionato 482 bebè e li ha seguiti nella crescita fino all’età di 34 anni. Gli psicologi hanno valutato il grado di affettività e di attaccamento materno quando il piccolo aveva solo otto mesi. Poi, a distanza di anni, con questionari ad hoc, hanno misurato il livello di sicuri e forti, capaci di vincere gli stress della vita. Tali soggetti mostrano livelli di ansia e ostilità fino a sette punti inferiori a quelli mostrati dai loro coetanei le cui mamme non hanno instaurato coi figli ancora in fasce un legame altrettanto affettuoso. L’affetto materno, dunque, è un’ottima risorsa per crescere pronti ad affrontare la vita».
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Oltre i carboni ardenti
La vita di una celebrità è strana: a volte ci si prepara coscienziosamente per anni, si attraversano tutti i gradi del cursus honorum, dalla gavetta al nome in cartellone, e poi si finisce per venir ricordati per qualcosa di anomalo, talvolta perfino di poco attinente con la propria specializzazione.
I quotidiani, in questi giorni, ci ricordano che qualcosa di simile è successo a Mino Damato: giornalista, persona colta e di gran cuore, che i più ricordano per aver camminato sui carboni ardenti in una lontana edizione di Domenica In (quando Elisabetta Gardini non era un parlamentare della Repubblica, ma una giovane conduttrice televisiva).
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La stagione della pazienza
Adotta un anziano: questa la proposta del Comune di Milano, convinto che “l’affido allunga la vita”. L’iniziativa, avviata in via sperimentale una decina di anni fa, si apre ora a tutte le famiglie desiderose di rendersi utili adottando virtualmente un nonno o una nonna.
L’idea nasce dalla constatazione che nel capoluogo lombardo gli over 65 sono il 24% della popolazione, e che uno su tre (quindi, almeno l’8% dei milanesi) vive in condizioni di solitudine. Da qui l’intenzione di valorizzare un progetto già esistente, in base al quale affidare a famiglie disponibili (e selezionate) gli anziani soli, offrendo nel contempo alle famiglie coinvolte un bonus di duecento euro al mese.
Povia, Eluana e gli altri
Non mi azzardo a dire che ha ragione: sul tema della morte, paradossalmente, non esiste una parola “fine”. Non possiamo dire se Eluana Englaro volesse davvero morire o se stesse lottando per vivere, se le sue condizioni cerebrali fossero irrecuperabili o meno, se la sua situazione sarebbe stata considerata irreversibile anche tra un mese, un anno, cinque anni.
Di certo facendo di lei una bandiera, la si è esposta a una discussione – e a un’umiliazione – che non avremmo mai voluto per nostra sorella o nostra figlia.
Dieci anni dopo
Risulta sempre un po’ retorico, e piuttosto pericoloso, parlare di decenni: come esseri umani facciamo difficoltà a ricordare i fatti dell’ultima settimana, e con fatica mettiamo insieme gli avvenimenti dell’anno, figurarsi il senso di inadeguatezza e l’angoscia nell’affrontare un periodo dieci volte più ampio.
Eppure, con il 31 dicembre 2009, si chiude il primo decennio del nuovo secolo, o – absit iniuria verbis – del terzo millennio. Un decennio è già un lasso di tempo che perde di vista la quotidianità per tendere alle unità di misura adottate dalla storia: in un decennio – specie in un decennio di un’epoca come questa – il mondo cambia significativamente.
Dietro la porta
Dal mondo del calcio arriva una storia dal sapore natalizio: Edwin Van der Sar, 39 anni, portiere olandese del Manchester United, «si ferma per stare vicino alla moglie, colpita da un’emorragia cerebrale», che verserebbe in condizioni molto gravi dopo un collasso.
Di solito le notizie sulla vita privata dei calciatori non sono particolarmente edificanti in termini di moralità e solidarietà: atleti che si vantano di centinaia di conquiste, che fanno mattina in discoteca, che spendono e spandono per garantirsi una superiorità almeno estetica rispetto ai loro fan e al resto del mondo.
Il perdono di Erba
Di Carlo Castagna probabilmente pochi ricordano il nome. Molto più noto il volto sofferente che abbiamo visto su tutti i canali televisivi a margine della triste vicenda che, l’11 dicembre 2006, lo ha privato in un colpo solo di moglie, figlia e nipotino.
Sì, Carlo Castagna è la principale vittima della strage di Erba, il frutto della follia di due vicini di mezza età – così almeno ha stabilito il giudizio di primo grado – che in quel dicembre di tre anni fa uccisero quattro persone, misero in fin di vita una quinta e diedero fuoco a un appartamento. Senza plausibili motivi, ammesso ne possano esistere per un gesto simile.
Consigli di lettura – 9
Turismo, musica, società, strategie belliche, teologia tra i consigli di lettura di questa settimana.
Si comincia con “In viaggio con Lutero” (Claudiana) di Reinhard Dithmar. Sono numerosi ogni anno i protestanti che si recano in visita ai luoghi della Riforma: a disposizione hanno ovviamente i manuali di storia e le classiche guide turistiche. Mancava, in italiano, un volume che raccogliesse le informazioni utili per un viaggio sulle tracce di Lutero: ci ha pensato la chiesa luterana in Italia che ha pubblicato, in collaborazione con la casa editrice Claudiana, “In viaggio con Lutero”, testo di Reinhard Dithmar, studioso di teologia, germanistica, filosofia, pedagogia e professore di letteratura.
Nel volumetto, comodo come una guida turistica, vengono presentati fatti storici, dettagli, curiosità sulle località della Turingia e della Sassonia dove visse Lutero.
Una lettura interessante da fare sul campo, ma anche comodamente a casa, per scoprire qualcosa di più su Lutero rispetto a quello che racconta un manuale di storia, senza limitarsi ai dettagli di una comune guida turistica.
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Passando alla musica, nell’estate di vent’anni fa moriva uno dei più grandi direttori d’orchestra del Novecento, Herbert von Karajan. Un genio della bacchetta e allo stesso tempo un personaggio di cui si è parlato molto, ma sul quale mancava una voce “preferenziale”: quella della seconda moglie, Eliette.
Una lacuna colmata da una biografia: “La mia vita al suo fianco”, edito da Giunti, scritto proprio da Eliette Von Karajan l’anno scorso, nel centenario della nascita del direttore.
Si tratta, in realtà, di un’autobiografia della signora Karajan, ma inevitabilmente si trasforma nel racconto della persona cui è stata accanto per oltre trent’anni: trent’anni al fianco di un personaggio pubblico che la signora von Karajan racconta indugiando tra viaggi e “prime”, cerimonie e mondanità, ma rivelando anche il Karajan che poteva conoscere solo lei, privato, umano. Un Karajan che, nel racconto della moglie, piace ritrovare, a tanti anni dall’addio.
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Parlando di vita, non si può non incappare anche nella morte. E la morte è un tema che non si affronta mai molto volentieri. Stefano Lorenzetto, giornalista di lungo corso e ampia sensibilità, le ha dedicato un intero libro: si intitola “Vita morte miracoli. Dialoghi sui temi ultimi”, edito da Marsilio.
Con la consueta formula delle interviste a tema, già sviluppata tra gli altri nel suo precedente e piacevole “Italiani per bene”, Lorenzetto dialoga con una ventina di personaggi sconosciuti ai più, ma con una storia che vale la pena di essere raccontata: c’è l’oncologo affetto da sclerosi che sa quale sarà il suo destino, ma non si rassegna e si presenta ogni giorno a curare i suoi pazienti; c’è il geriatra che accudisce i pazienti in stato vegetativo permanente (e ha visto qualcuno di loro risvegliarsi); ci sono persone comuni colpite da quelle che comunemente chiamiamo “disgrazie”, ma che hanno saputo trovare una nuova speranza o una nuova prospettiva grazie alla fede.
Non tutti i casi proposti sono “da manuale” o del tutto condivisibili, ma il quadro generale che Lorenzetto offre è – come sempre – chiaro e sobrio; il tono è delicato, ma capace di impennarsi e anche di mordere quando cita fatti di cronaca che negano il valore di quella vita la cui importanza viene ribadita, intervista dopo intervista, insieme agli interlocutori.
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Veniamo alla strategia. Sono passati sei anni dalla caduta di Saddam Hussein, ma – come tutti possiamo constatare – al di là del trionfo militare americano, a tutt’oggi la battaglia non è stata vinta del tutto.
Si è trattato – e si tratta – di una guerra diversa da quelle del passato, e proprio per questo richiede – e avrebbe richiesto – un approccio diverso.
A rileggere oggi, a distanza di sei anni dall’uscita, il libro del generale Wesley Clark, “Vincere le guerre moderne. Iraq, terrorismo e l’impero americano” (edito da Bompiani), si può restare sorpresi. Clark, eroe di guerra in Vietnam, è stato comandante supremo delle forze alleate in Europa dal 1997 al 2000, direttore del dipartimento piani strategici del Pentagono e a capo della delegazione per gli accordi di pace nei Balcani a Daytona. Insomma, è uno che conosce l’argomento militare e diplomatico.
Nel libro, Clark presenta la sua posizione critica sulle scelte effettuate dall’amministrazione Bush in relazione alla guerra in Iraq; racconta i retroscena e ventila le “reali motivazioni” della strategia americana. Una posizione, quella di Clark, probabilmente non del tutto disinteressata, visto il suo tentativo di avviare una carriera politica con la candidatura alla presidenza USA nelle file dei democratici nel 2004 (finita con un nulla di fatto); tuttavia, vista la sua esperienza, non si può non prendere in considerazione le sue osservazioni.
Nel volume, dopo una disamina della situazione, Clark offre anche qualche spunto per una soluzione, e qualche consiglio per il futuro: in primis il fatto che nelle “guerre moderne” i terroristi vanno sconfitti “dall’interno” con un puntuale lavoro di intelligence, e non sul campo.
Naturalmente le tesi di Clark non sono state prese in considerazione da Bush nel corso del suo secondo mandato. Ma, nell’era obamiana, e di fronte a una situazione in Iraq ancora critica, chissà che le idee del generale non abbiano maggiore fortuna.
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Chiudiamo con uno spunto di lettura teologico.
La predestinazione è un tema su cui, nel corso dei secoli, la chiesa cristiana si è interrogata a lungo. La salvezza si realizza, si attua o si accetta come un dono?
In base alla risposta sono nati movimenti, sono scoppiate dispute, si sono consumate divisioni, probabilmente più che per qualsiasi altro tema dottrinale.
Giorgio Tourn, pastore e già presidente della Società di studi valdesi, ha toccato il delicato argomento con un libro pubblicato da Claudiana. Si intitola semplicemente “La predestinazione nella Bibbia e nella storia”, e si propone di fare il punto in maniera chiara e senza spirito di parte sulla questione.
Tourn parte ovviamente dalla Bibbia e dalla temperie culturale in cui il problema si è posto per la prima volta; analizza il modo di affrontare la predestinazione dei cristiani nell’età apostolica, gli sviluppi nella teologia cristiana (dai padri alla scolastica). Numerosi capitoli sono dedicati, ovviamente, alla posizione assunta nel tempo dalle correnti evangeliche (dalla Riforma alla Ginevra di Calvino, dal Calvinismo al protestantesimo moderno).
Affronta, infine, la dottrina della predestinazione analizzandola in chiave teologica, fino a concludere considerando la necessità di “reinventare” un tema che oggi, dopo secoli di dispute, è paradossalmente fin troppo trascurato.