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Buoni maestri

Ricomincia la scuola. Tornano in aula otto milioni di ragazzi e 700 mila docenti, e si apre con i consueti problemi: strutture inadeguate, precari senza certezze, regole poco certe e una certa dose di disinformazione su cause e rimedi, proposte e riforme.

Eppure, nonostante gli acciacchi e i rattoppi, malgrado in troppi la vedano come un parcheggio per i figli o un diplomificio, una sorta di Facebook non virtuale o una palestra di bravate, la scuola resta un pilastro nella nostra società.
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Ricerche a tema

Focus riporta la notizia di una ricerca danese secondo la quale «Davanti al fascino di personalità carismatiche il nostro cervello sembra rinunciare a ogni forma di difesa».

Pare infatti che «alcune aree del cervello – parti della corteccia cingolata anteriore e prefrontale – responsabili del nostro scetticismo e sentimento di vigilanza… se persuase dalle parole di supposti guaritori o profeti… sembrano diventare meno attive».

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L’uomo nella rete

Non ci sono molti dubbi sul fatto che Internet, e la tecnologia in generale, ci stanno cambiando la vita: i tempi si accorciano, le opportunità aumentano, i contatti si estendono, le informazioni si diffondono su scala globale con ritmi e dimensioni impensabili fino ad appena vent’anni fa. Questi sono i “pro”; ci sono, poi, i “contro”, che un articolo sulla Stampa di oggi riassume in una domanda angosciata: “Internet ci rende stupidi?”.

Citando lo studioso americano Nicholas Carr, il quotidiano torinese avvisa che «nell’arco di pochi anni saremo tutti superficiali, incapaci di concentrarci per più di qualche minuto o di distinguere una informazione importante da quelle irrilevanti».

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Solitudine da denuncia

Una denuncia. Poi due, tre, sei. Diverse tra loro ma accomunate dallo stesso problema, un problema che le forze dell’ordine non possono risolvere. Succede in Friuli, ma probabilmente anche altrove: «nelle ultime due settimane – raccontano i Carabinieri al Gazzettino, che ha segnalato la questione – abbiamo avuto sei di questi episodi».

Capita infatti sempre più spesso che persone avanti negli anni raggiungano la caserma dei Carabinieri per sporgere denunce poco verosimili: «Mi hanno spinto, fatto cadere a terra e volevano rapinarmi», è stata la storia di un settantaseienne di Pozzuolo (UD). Ai militari non c’è voluto molto per comprendere che c’era poco di vero: l’abitazione risultava in ordine, l’anziano molto meno, con quel tasso alcolico così sospetto.

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Noia mortale

A metà marzo tre quattordicenni dalla situazione familiare disagiata hanno rubato un’auto per lanciarsi a tutta velocità contromano a fari spenti sulle strade del milanese: le loro scorribande sono andate avanti per sette notti consecutive, fino a quando i Carabinieri non li hanno fermati.

Ieri a Genova un gruppetto di ragazzi (e ragazze) dai 13 ai 16 anni ha deciso di trascorrere la serata attraversando a piedi l’autostrada, fino a quando la Polizia non li ha scoperti e portati in Questura.
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L’incubo del limite

Due notizie. Raccontano storie molto diverse, sono riferite da quotidiani diversi, risultano ambientate in località diverse, eppure sembrano collegate tra loro da un comune denominatore.

La prima vicenda si svolge nelle aule del tribunale di Salerno, dove un giudice ha stabilito con una sentenza la liceità della «diagnosi genetica pre-impianto e all’accesso alle tecniche di fecondazione assistita nei confronti di una coppia fertile, portatrice di una grave malattia ereditaria».

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Stragi nel silenzio

Nella notte tra mercoledì e giovedì, in Egitto, si è consumata una strage: nove persone sono state uccise all’uscita di una chiesa, dove avevano celebrato il natale copto.

Una notizia agghiacciante che merita attenzione per la gravità del fatto e per la scossa che una vicenda simile inevitabilmente porta nei rapporti tra comunità religiose e le ripercussioni che potrebbe avere anche in Europa.

Evidentemente, però, la pensiamo così quasi solo noi.
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Telecomandi e telecomandati

Gli adolescenti che esagerano con tv e internet sono più problematici degli altri: lo rivela una ricerca della Società italiana di pediatria, che nei giorni scorsi ha reso pubblici i risultati di un’indagine condotta su 1300 studenti tra i 12 e i 14 anni.

Se Internet, con i suoi social network, i messaggi istantanei e le chat, è ormai un must per i teenager, la tv è tornata in auge dopo un periodo di minore attenzione: i ragazzi navigano in rete e si fanno compagnia con la tv. Ma non, come si potrebbe pensare, mentre chattano con gli amici: la televisione, per la maggior parte di loro, si accende alla sera, a cena. Quando, probabilmente, sono lasciati soli da genitori troppo presi dal lavoro, o sono in loro compagnia ma hanno, evidentemente, poco da dire e all’assordante silenzio di una tavola senza parole preferiscono lo sciapo sottofondo di un programma.

Un quadro sconsolante, che offre alcuni dati interessanti. Internet, ormai, è il mezzo di interazione più gettonato, ma la televisione resta ben presente nel loro immaginario: la guardano a cena, ma anche direttamente sullo schermo del pc, attraverso i filmati che quasi tutti scaricano dalla rete.

Se per loro la rete è il mondo di relazione, la televisione è maestra di vita: attraverso i suoi programmi assorbono valori e trovano battaglie da combattere, atteggiamenti da sostenere, mode da seguire, guru da ascoltare, personaggi da imitare.

Se il consumo resta nella modica quantità, la televisione sarà solo una delle voci, e attraverso il confronto i ragazzi potranno trovare una posizione equilibrata. Quando però la fruizione deborda oltre il buonsenso e la televisione diventa l’unica voce, il suo universo invade l’immaginario dello spettatore: può succederci allora di fare nostri i suoi valori, di chiamare i personaggi televisivi per nome, di scambiare gli amici con i protagonisti dei talk show, di dare credito a chi non lo merita, di crearci un mondo di immagini, egoismi e consumi dove le parole d’ordine sono “prenditi cura di te”, “tutto intorno a te”, “perché io valgo”, e via degradando.

Si fa presto a dire “a me non succede”, “posso smettere quando voglio”. La dipendenza è sempre in agguato e il rischio, ancora più grave in quanto subdolo, non è di perdere la salute, ma la consapevolezza di ciò che conta. Che, a ben guardare, è anche peggio.