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La testimonianza di Charles Schultz
Nove anni fa, il 12 febbraio del 2000, moriva Charles Schultz. Disegnatore di successo, era diventato famoso negli anni Cinquanta per i Peanuts, strisce che per cinquant’anni hanno raccontato quotidiamente le avventure di Charlie Brown, Snoopy e la loro compagnia di piccoli amici.
Schultz era un cristiano convinto, e la sua fede si percepiva anche nelle storie che raccontava attraverso i fumetti.
Lo conferma un libro ormai datato ma sempre piacevole, scritto dal teologo Robert L. Short e intitolato “Il vangelo secondo Charlie Brown” (Gribaudi editore). Sì, proprio Charlie Brown, il bambino dalla testa tonda che è al centro delle mille piccole avventure dei Peanuts.
Naturalmente non si tratta di un altro vangelo, né il volume ha intenti canzonatori nei confronti della Bibbia. Anzi.
Nelle piccole storie dei personaggi di Schultz è facile trovare una profonda morale cristiana, spaccati di vita quotidiana vestiti di paradossi e iperboli. Proprio partendo da questa constatazione, Short ha voluto andare in profondità e analizzare in chiave dottrinale e sociologica le “strisce” di Schultz, trovandoci sorprendenti spunti spirituali.
Resterà deluso, però, chi pensa che “Il vangelo secondo Charlie Brown” – ripubblicato numerose volte da Gribaudi – sia una semplice raccolta delle strisce più cristianeggianti nella produzione di Schultz: non è una collezione di fumetti, ma piuttosto un profondo insegnamento.
Da un lato “Il vangelo secondo Charlie Brown” parla a tutti i cristiani talentuosi, a volte incerti sul modo di esprimere la propria arte al servizio di Dio; dall’altro lato parla ai cristiani in generale, stimolandoli a comprendere l’importanza di «imparare a parlare in modo comprensibile agli uomini là dove essi si trovano», per usare appunto le parole dello stesso Schultz.
“Là dove essi si trovano”, e non è solo un modo di dire: all’inizio della sua carriera Schultz ha constatato che buona parte dei lettori di quotidiani si ferma alla pagina dei fumetti, e che questo corposo numero di lettori va raggiunto proprio lì, attraverso gli opportuni talenti.
A nove anni dalla scomparsa, e a quasi sessant’anni dalle prime strisce, il suo appello resta valido, anche se risulta ancora poco ascoltato dai cristiani di tutto il mondo.
Per questo viene da pensare che forse, per noi cristiani, il modo migliore per ricordare Schultz è ricordare questa sua intuizione e farne tesoro.
Pregiudizi alla rovescia
Due ragazze sono state cacciate dalla Luteran High School della California per “essersi comportate in modo compatibile con il lesbismo”: ad avvisare i docenti era stato un altro studente, dopo che una delle due lo aveva invitato a visitare il suo spazio Myspace, dove – a quanto pare – la ragazza enfatizzava la sua tendenza sessuale.
In seguito all’espulsione le ragazze avevano fatto ricorso, ma la Corte d’appello della California ha dato loro torto.
Da parte della scuola pare evidente che non si sia trattato di un atto di discriminazione. Come ricorda un giudice della Corte, «il messaggio religioso della scuola è strettamente legato alle sue funzioni secolari, lo scopo di mandare un ragazzo o una ragazza a un istituto religioso è di far si che impari anche i temi mondani dentro un contesto religioso». E la Lutheran High School è parte di una confessione che considera «l’omosessualità un peccato».
Mandare i propri figli in una scuola confessionale comporta il desiderio che vengano formati secondo certi parametri; la scuola è basata su certi, specifici valori, che non si può pretendere non vengano applicati.
Giusto o sbagliato si voglia considerare un rapporto omosessuale – non è di questo che si discute ora -, sarebbe successa la stessa cosa qualora uno studente avesse trasgredito altre regole, raccontando pubblicamente ed promuovendo le sue esperienze di tossicodipendente o le sue avventure sessuali prematrimoniali (immaginiamo che la Luteran High School abbia tra i suoi valori anche la castità).
La chiave della vicenda sta nel fatto che le due ragazze non sono state “sorprese”, ma hanno raccontato, forse enfatizzato, un comportamento che andava contro i principi della scuola che frequentavano. Ben consapevoli, probabilmente, delle conseguenze.
Poi si può discutere finché si vuole se sia giusto o non avere un certo credo, una certa opinione, se sia ragionevole che la Bibbia consideri peccato un certo comportamento o una certa tendenza. Se ne può discutere ma non è questo il punto, anche se, a margine di ogni vicenda simile, viene scomodato lo spettro dell’omofobia.
Il problema nasce dalla reverse discrimination, la stessa condizione in base alla quale si sospetta che il figlio di un personaggio noto sia agevolato nella sua carriera, e si pretende che non debba avere successo a prescindere dalle sue qualità.
In ogni vicenda dove entrano in gioco le tendenze sessuali, si presume ci siano pregiudizi nei confronti dei diversi, e quindi si ha buon gioco a invocare la omofobia con polemiche che però, in molti casi, sono solo strumentali e mirano a imporre – appunto – una discriminazione inversa: il diverso deve avere per forza ragione, in ogni contesto e a ogni occasione, proprio in quanto diverso. Se questo non avviene, la controparte viene liquidata come omofoba, e la vicenda diventa l’ennesimo, gonfiato caso di discriminazione.
Non va dimenticato che la Luteran High School è una scuola privata – in una scuola pubblica il discorso sarebbe stato diverso -, e si tratta di una scuola chiaramente confessionale: come ricordava il giudice, se un genitore vi iscrive i figli è perché vuole che vengano loro inculcati certi principi cristiani, specifiche conoscenze dottrinali evangeliche, strumenti per guardare il mondo circostante da una certa prospettiva.
In questo contesto la scuola si è limitata a portare avanti i propri principi con un provvedimento forse drastico ma sostanzialmente corretto, richiedendo ai suoi studenti il rispetto di un codice di comportamento. Intervenendo ha sollevato (facili) polemiche; d’altro canto se non fosse intervenuta sarebbe venuta meno ai suoi obblighi e al suo mandato.
La coperta è corta, specie per chi mal pensa.
Consigli di lettura – 8
Ago 22
Pubblicato da pj
Storia, società, attualità, sociologia e fede nei suggerimenti di lettura proposti questa settimana nel mio programma radio su crc.fm.
Si comincia con “Evangelici nella tormenta. Testimonianze dal secolo breve” (Claudiana), di Giorgio Bouchard, un libro sulle personalità evangeliche che hanno vissuto i drammi della storia del Ventesimo secolo. È l’ultimo progetto – in ordine di tempo, beninteso – portato a termine dal pastore e saggista, già moderatore della Tavola valdese e autore di numerosi testi sul movimento evangelico (tra cui il mai troppo citato “Movimenti evangelici del nostro tempo”, che continua a essere uno degli strumenti migliori per comprendere il contesto evangelico italiano e internazionale odierno).
“Evangelici nella tormenta” nasce da una serie di conferenze tenute dall’autore nella chiesa battista di Meana di Susa e presenta – per dirla con Marco Brunazzi, autore dell’introduzione – «una serie di medaglioni di personalità evangeliche di vario profilo, dalle più note alle meno, che hanno scandito la storia del Novecento», iniziativa che viene accolta come “opportuna” «in un paese come l’Italia, dove la cultura evangelica… è normalmente confinata in spazi informativi del tutto marginali».
Bouchard nel suo libro racconta le vicende di personaggi che non hanno fatto la storia della chiesa – non direttamente, almeno – ma hanno introdotto la chiesa nella storia: dai paladini anti-apartheid Nelson Mandela e Rosa Parks a un Bonhoeffer africano, Guddinaa Tumsaa, passando per Reinhold Niebuhr e l’ex presidente americano (e pastore evangelico) Jimmy Carter, fino al noto – ma non quanto meriterebbe – missionario Albert Schweitzer e a credenti che hanno vissuto epoche buie, come Ernst Lohmeyer, Madeleine Barot e i ragazzi della Rosa bianca.
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Più “leggera”, invece, la seconda proposta di lettura: si tratta di “Nel catalogo c’è tutto. Per chi va o torna a vivere da solo” (Feltrinelli), del trentenne milanese Francesco Gungui.
Comunemente si dice che le grandi città sono grigie, noiose, impersonali, ma la vita metropolitana, a saperla guardare con la giusta prospettiva, può essere perfino divertente, come dimostra Francesco Gungui. Nei capitoli del libro scorre la vita ordinaria di un giovane di oggi, alle prese con le abitudini da cambiare (andare a vivere da soli è un passo decisivo nella vita di una persona) mentre la propria esistenza comincia a delinearsi tra idee confuse, relazioni carenti, piccole nevrosi e grandi interrogativi.
Il “catalogo” da cui il libro prende il titolo è il catalogo dell’Ikea, che secondo l’autore è un paradigma della generazione di oggi: una generazione “componibile” per una vita “componibile”, proprio come un mobile della famosa azienda. La prosa di Gungui è godibile, e di fronte ad avventure e disavventure che molti di noi hanno affrontato (la ricerca di una casa, il mutuo, le faccende domestiche, il lavoro precario in un mondo di imbroglioni) è difficile non farsi qualche risata. Autocompatendosi, beninteso.
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Si legge uno spaccato di storia recente, invece, in “Da Gerusalemme a Roma. Il Medio Oriente, l’Italia, il mondo: riflessioni di un ambasciatore. 2001-2006” (Mondadori) di Ehud Gol, ex ambasciatore israeliano in Italia dal 2001 al 2006: un periodo non facile per Israele, che ha visto quindi il rappresentante diplomatico in una posizione particolarmente delicata nel difendere il suo paese da un’opinione mediatica mai generosa.
Per rappresentare le ragioni di Israele, Gol ha preso spesso in mano la penna e ha scritto lettere, commenti, corsivi sui principali quotidiani italiani.
Nei suoi contributi, raccolti in questo volume, Gol difende con instancabile energia Israele: di volta in volta di fronte all’ambiguità di Arafat e le omissioni dell’Europa, di fronte alle posizioni poco imparziali dei media e dell’Unione Europea, di fronte alla piaga del terrorismo e del fondamentalismo islamico da cui ha origine, di fronte al pacifismo a senso unico. Temi che ci riportano alla memoria l’amarezza di drammi, stragi, diritti negati, occasioni perse.
Il volume si apre e chiude con due capitoli dedicati al nostro paese: il percorso inizia con “L’Italia può aiutare la pace”, intervento su Repubblica nel 2001, e si conclude con “L’Italia ha capito Israele”, pubblicato sul Corriere nei giorni del congedo dal suo incarico.
Non sappiamo se il nostro Paese abbia davvero avuto o possa avere un ruolo importante nel raggiungimento della pace in Medio Oriente, ma sicuramente l’impegno di Ehud Gol nei sei anni del suo mandato è stato essenziale per la comprensione di Israele da parte del nostro Paese.
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Altro tema di cui abbiamo parlato questa settimana è stata la fede di Indro Montanelli: Montanelli è stato uno dei più significativi giornalisti del nostro paese, che con la sua penna e il suo pensiero ha caratterizzato molti dei dibattiti, degli scontri, dei drammi che l’Italia ha vissuto negli ultimi cinquant’anni.
Montanelli non si considerava un credente, eppure non ha mai rifiutato di riflettere su Dio e sulla fede. Anzi: nel suo considerarsi non credente c’era una sorta di rammarico per qualcosa che, per onestà, non poteva dire di possedere ma che cercava.
Giorgio Torelli, giornalista e discepolo di Montanelli, ha parlato spesso con lui di questo tema, e – a distanza di anni dalla scomparsa del personaggio – ha messo nero su bianco il riscontro di questi dialoghi.
Lo ha fatto in un volume che si intitola “Il Padreterno e Montanelli” (Ancora). Torelli racconta di un Montanelli stoico, ma che rivisitava spesso il tema della fede, sospirando «purtroppo, non ho fede. Magari, ne fossi toccato».
Dopo aver tratteggiato un quadro della sua fede – o “non-fede” -, Torelli si pone e pone una domanda sul “Dopo Montanelli”: “la nostra speranza nella misericordia del Padre ci nega o ci permette di ipotizzare un dialogo franco e decisivo tra Dio” e Montanelli?
Una domanda accademica, ovviamente, che non cambia le cose, e cui – su questa terra, almeno – non avremo mai una risposta. Ma è una domanda che permette a Torelli di scandagliare la posizione di decine di intellettuali (teologi, scrittori, giornalisti, missionari, lettori, pensatori di vario genere, naturalmente non tutti cristiani) su un tema delicato, quello della fede e della salvezza.
Le risposte, naturalmente, risentono dell’influenza culturale e delle convinzioni di ogni interpellato, ma permettono di riflettere e far riflettere.
Quale sia stata la sorte di Montanelli, naturalmente, non possiamo saperlo. A quanto ne sappiamo noi, non ha mai accettato Cristo nella sua vita, né si è mai detto credente. Ma chissà: la sua sincerità e la sua schiettezza nei confronti di Dio possono farci sperare.
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Parlando di sociologia, ci ha incuriosito che sembrava la negazione di sé: si tratta di “Non leggete libri per crescere i vostri bambini. ntimanuale del genitore sereno” (Rizzoli), di Elisabetta Zocchi.
Diventare genitori cambia la vita. E fa nascere nelle neomamme e nei neopapà una serie di dubbi, pensieri, preoccupazioni. Proprio facendo leva sulla inevitabile apprensione dei nuovi genitori, negli ultimi anni si sono moltiplicati i manuali mirati a suggerire metodi di ogni tipo per dare ai figli un’infanzia ottimale.
“Non leggete libri per crescere i vostri bambini” è decisamente controcorrente per il settore ed è scritto da Elisabetta Zocchi, giornalista e vicedirettore di due testate dedicate alle mamme, impegnata da anni nel settore della salute materna e infantile.
Zocchi, più che dare consigli particolari, punta a incoraggiare i genitori, perché – scrive – per essere buoni genitori basta il buonsenso. «Le mamme d’oggi – esordisce la Zocchi – devono sapere… che fanno sempre la cosa giusta. Anche quando incorrono in qualche involontaria svista».
Sottolineando che “un genitore non può smettere di credere in se stesso”, l’autrice guida il lettore attraverso dieci capitoli su aspetti essenziali relativi al rapporto tra genitori e neonato, e accompagna ogni capitolo con la risposta a un dubbio ricorrente – e, decisamente, umano – dei neogenitori stessi.
Insomma, il libro di Elisabetta Zocchi non sarà un manuale, ma riesce comunque a dare consigli. Utili e, soprattutto, di buonsenso.
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