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La solitudine dell’uomo telematico
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A leggere il titolo di Repubblica, pare che sia arrivata l’apocalisse della rete: «Facebook sotto assedio: “Cancelliamoci tutti”».
Al centro delle polemiche c’è il sito più cliccato della rete, dove 400 milioni di internauti hanno creato una propria scheda e interagiscono con amici (veri, presunti o fittizi) raccontando senza riserve gusti, passioni, idee: un catalogo di vizi (molti) e virtù (poche) che ha fatto rabbrividire i garanti della privacy a ogni latitudine.
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I due fronti dell’etica
Pubblicato da pj
Da agosto tutte le aziende dovranno adeguarsi a una normativa che, se verrà presa sul serio, provocherà più di qualche grattacapo: il testo unico 81/2008, infatti, prevede che in ogni luogo di lavoro venga effettuata una “valutazione dello stress-lavoro correlato e gli interventi per ridurne le cause”.
Se la maggior parte delle imprese si trova probabilmente in ritardo su questo versante, ce n’è una che – segnala il Gazzettino – è in anticipo di sette anni: si tratta di un’azienda vinicola di Altavilla Vicentina, dove Matteo Cielo già nel 2003 ha deciso di «misurare il grado di soddisfazione dei propri dipendenti, una trentina in tutto, sottoponendo loro dei questionari”, per capire “come vedevano l’azienda in cui lavoravano”».
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La morale personalizzata
Pubblicato da pj
Il titolo non poteva non incuriosire: “Italia rassegnata e furba, senza senso del peccato”
così la Stampa presenta un’intervista con il presidente del Censis, il sociologo Giuseppe De Rita.
I contenuti non sono meno forti: colloquiando con il giornalista Fabio Martini, De Rita scodella una magistrale analisi dei problemi italiani e della loro origine, arrivando a una conclusione sorprendente.
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Consigli di lettura – 7
Pubblicato da pj
La settimana di consigli letterari è cominciata con Tra i giusti (Marsilio), indagine sull’Olocausto in Africa. A realizzarla e darne resoconto in un libro è stato Robert Satloff, esperto in politica dei paesi arabi e islamici, che ha lavorato per quattro anni per ricostruire le storie, rintracciare i superstiti in giro per l’Europa e il nord Africa, visitare i resti dei famigerati campi di lavoro africani.
Con dovizia di particolari e ampi riferimenti alle fonti Satloff racconta una storia praticamente inedita, che – com’è avvenuto anche in Europa – ha visto coinvolte le popolazioni locali, in particolare gli arabi, nel bene e nel male: c’è il bene di gesti toccanti e umani, e c’è il male del collaborazionismo, ma non solo: Satloff classifica come “male” anche quell’indifferenza che ha caratterizzato molti di fronte a un’ingiustizia intuibile.
Abbiamo poi virato verso il Settecento per un classico di John Wesley, pubblicato da una collaborazione tra Claudiana ed Edizioni GBU. Si tratta di La perfezione cristiana e ripropone in italiano – a distanza di 118 anni dalla prima pubblicazione nella nostra lingua – A plain account of Christian Perfection, datato 1765. Interessante anche la decisione di mantenere la traduzione originale di oltre un secolo fa, con adattamenti a cura dello studioso Massimo Rubboli che, tra l’altro, nell’introduzione contestualizza il messaggio di Wesley: scopriamo così che il predicatore inglese già in altri scritti aveva affrontato il tema della perfezione cristiana e la mise al centro del suo impegno personale fin dal 1725, 40 anni prima della redazione di questo volume. Il libro è quindi un vero compendio dei suoi studi, delle discussioni, delle convinzioni maturate da lui, esperienza dopo esperienza, sull’importante tema.
Storia contemporanea, invece, per l’ultimo lavoro – uscito postumo – di Ryszard Kapuscinski, Nel turbine della storia (Feltrinelli): una riflessione globale di un giornalista di lungo corso, autore dagli anni Ottanta e Novanta di numerosi resoconti dai luoghi “caldi” del pianeta e di sottili analisi sulla situazione geopolitica dei luoghi e del pianeta nel suo complesso. Nel volume Kapuscinski analizza la situazione nelle singole aree continentali, le tendenze globali e i possibili scenari futuri.
Un quadro d’insieme tra passato e presente che, per quanto resti “senza conclusioni” – perché, come ricorda l’autore, “nessuno può dire con sicurezza in che modo andranno a finire le cose” – è un documento, uno strumento di riflessione, uno stimolo ad affrontare il mondo nella sua globalità imparando a guardare oltre il proprio giardino.
L’etica del lavoro è invece il tema di Controcorrente: la mia storia di cristiano e di manager (Città nuova) di Giuseppe Sbardella: l’autore riassume il senso del suo impegno spirituale, sociale, lavorativo come professionista cristiano; in poco più di duecento pagine, affronta temi su cui tutti, probabilmente, ci siamo interrogati almeno una volta: tra questi il rapporto tra fare e apparire, il “sapersi vendere”, il rapporto tra collaborazione e competizione, l’amicizia sul posto di lavoro, l’opportunità del lavoro domenicale, le soluzioni alla “tirannia del cellulare aziendale”, le relazioni con altre culture, il rapporto tra lavoro e preghiera, ossia la visibilità cristiana in azienda.
Tutto questo nell’ambito di un percorso professionale che si fa anche percorso di vita, e che ha permesso a Sbardella di arrivare alla pensione senza limitarsi a essere un buon lavoratore, ma offrendo qualcosa di più: il suo risultato non è stato solo economico ma ha arricchito l’azienda anche sul versante umano.
Chiudiamo con un classico della letteratura latina, L’arte di saper parlare, ossia il celebre Orator di Marco Tullio Cicerone (Newton Compton), proposto con testo latino a fronte nella traduzione di Mario Scaffidi Abbate.
Il volume viene considerato un’opera fondamentale nella storia dell’eloquenza, e affronta temi che, fino a quel momento, non erano stati codificati e che ancora oggi, se ci si fa caso, hanno una loro importanza negli oratori pubblici. Cicerone per primo riconosce nel ritmo una componente fondamentale, e per questo studia e fissa una legge che determina la combinazione delle parole più opportune alla cadenza del discorso.
A margine delle illuminanti note di Cicerone, è interessante leggere anche l’introduzione di Mario Scaffidi Abbate, docente di letteratura italiana e linguista: i numerosi esempi biblici portati dallo studioso sul potere della parola dovrebbe convincerci una volta di più su quanto sia importante saperla usare al meglio.
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Se lo fanno tutti
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Rubare in azienda di norma è reato. Non lo è in quel di Livorno, dove due dipendenti presi con le mani nel sacco – o con il diesel nel serbatoio dell’auto, spillato dal rimorchiatore dell’azienda – sono stati licenziati dall’azienda ma poi reintegrati dal giudice del lavoro.
La motivazione non è, come spesso accade, la mancanza di prove. Anzi: forse, semmai, è l’eccesso di prove. Il giudice, dopo un’accurata indagine, ha stabilito che la sottrazione di carburante è un comportamento generalizzato e, oltretutto, tollerato: «l’azienda sapeva, ma non è mai intervenuta con sanzioni».
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Offerte speciali, proposte indecenti
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«Ne ho dovuti lasciare a casa quaranta», si è sfogato sabato il mio vicino, caporeparto di un’azienda brianzola che produce mobili di qualità. Quaranta persone in cassa integrazione, quaranta famiglie che da oggi dovranno dare una robusta sforbiciata alle spese: non solo quelle superflue, anche quelle che non sono indispensabili ma caratterizzano la qualità della vita.
«Sono tempi duri per tutti», ho risposto con un sospiro alla sua amarezza. «No, non per tutti», ha replicato lui. «Duri per chi rispetta la legge», ha aggiunto.
E così ho scoperto una vicenda tutta italiana dove alcune aziende subiscono controlli precisi e puntuali, mentre altre vengono provvidenzialmente risparmiate.
«Hai presente, alla fine della superstrada?», mi ha chiesto. Sì, c’è il capannone di quella rinomata azienda che produce divani. «Facci caso – ha continuato -: luci sempre accese, lavorano a ciclo continuo, giorno e notte. Tutti orientali, personale con scarse competenze, poche pretese e certo non in regola. Logico che poi possono proporre un divano a 500 euro, mentre da noi costa il doppio».
Da cristiano e da consumatore non ho potuto evitare di interrogarmi. Molto spesso sentiamo proporre campagne di boicottaggio nei confronti di aziende che, dopo aver delocalizzato all’estero, offrono condizioni di lavoro improponibili a donne e minori.
Se la risposta dell’opinione pubblica, di fronte ad abusi così plateali, sembra inevitabile, è molto meno scontata una reazione nei confronti di chi gioca sporco ma senza toccare le categorie che toccano la nostra sensibilità.
Non si può fare a meno di riconoscere che anche l’azienda di cui sopra (quella che impiega stranieri senza offrire le dovute garanzie) ha un comportamento poco trasparente e poco etico, e che da questa sua politica commerciale ingorda discende una crisi le cui conseguenze toccano anche noi, i nostri vicini, i nostri familiari.
E allora, come cristiani, dovremmo fermarci a pensare. Faremmo bene a chiederci se possiamo predicare il “non rubare”, e poi accettare senza troppe remore un secondo lavoro in nero.
Faremmo bene a chiederci se possiamo tenere alta la nostra alterità morale, e allo stesso tempo accettare sconti che di morale hanno poco, perché discendono da un trattamento economico discutibile.
Faremmo bene a chiederci se l’etica che diciamo di vivere e che vogliamo mostrare a chi ci sta attorno possa essere così miope da ignorare bellamente i drammi causati da un’economia malata, per continuare ad avvalerci delle “vantaggiose offerte” proposte da aziende, banche, professionisti di cui non possiamo condividere i metodi, ma i cui prodotti ci fanno comodo.
Sì, forse faremmo bene a riflettere. Perché la coerenza è un valore più prezioso di qualsiasi offerta speciale.
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Il ritocco della discordia
Ago 5
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Gisele Bundchen è stata protagonista, ieri, di una vicenda quantomeno curiosa che la riguarda peraltro solo indirettamente.
La famosa e ricercatissima modella brasiliana ha posato per la campagna pubblicitaria di una marca di abbigliamento. Nella foto compare a dire il vero poco vestita, e questo potrebbe già essere motivo di ironia, se la pubblicità in questi anni non ci avesse abituato a paradossi peggiori.
La cosa che ha fatto discutere è che compare magra. Niente di strano per una modella, se non fosse che Gisele Bundchen è incinta. Un colpo di videoritocco, ed ecco sparire il pancione.
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