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Spiriti sottovuoto
Avie Woodbury è una signora che vive in Nuova Zelanda. Non è famosa, né probabilmente intendeva diventarlo, eppure oggi compare sui giornali di mezzo mondo per aver fatto un affare decisamente particolare: attraverso un’asta online ha venduto per 1400 euro due ampolle senza un particolare valore storico, artistico, affettivo o tecnologico.
Già questa sarebbe una notizia – anche se di gonzi, a questo mondo, ce ne sono parecchi -, non fosse che il presunto contenuto delle bottigliette in questione è ancora più clamoroso del prezzo: la venditrice assicura infatti che nei due contenitori, rigorosamente tappati, sarebbero stati rinchiusi due fantasmi “catturati in casa sua con l’aiuto di un esorcista”.
Certezze illogiche
I greci la chiamavano “ubris”: era la tracotanza di chi si voleva elevare al livello della divinità (e per questo veniva punito).
La ubris torna in mente di fronte alle parole granitiche, senza la scalfitura del benché minimo dubbio, dello psicoterapeuta Fulvio Scaparro. Intervistato dal Corriere per commentare la vicenda di Stella, bambina nata in questi giorni dal seme paterno congelato 22 anni fa, Scaparro non lascia spazio a obiezioni: «La storia di Stella? Una notizia splendida. Un successo della scienza che non avrà conseguenze psicologiche negative sulla bambina».
Ne è sicuro, nonostante si tratti del primo caso di questo genere, perché «Stella è nata da due genitori che la desideravano. Ed è questo a contare».
La scienza è una materia in continua evoluzione: sviluppa conoscenze, testa risultati, sperimenta soluzioni. Supera ogni giorno i suoi limiti, e questa continua marcia all’avanguardia dell’umanità porta a esplorare campi ancora sconosciuti, a sondare reazioni incognite, in un incrocio continuo tra scienza, società, fede.
Per questo lascia perplessi, e forse un po’ angosciati, sentire uno scienziato esprimersi con tanta certezza. Le certezze ce le aspettiamo da valori sociali consolidati nel tempo, e le cerchiamo nella fede.
Suona piuttosto preoccupante leggere baldanti rassicurazioni da parte di chi può solo sperimentare e verificare le reazioni dei test, né rasserena sentire risposte che vendono certezze assolute in base a schemi che solo in parte si possono applicare al caso specifico.
Non rasserena, anzi: porta a chiedersi se davvero possiamo fidarci di una scienza che non sa ammettere i suoi limiti, e pretende all’occorrenza di farsi anche fede.
Chi è stato?
“Chi è stato il primo ad aver tracciato un confine?” ci si chiedeva, con una certa dose di retorica, in tempi più ideologicizzati dei nostri.
Oggi, in un giorno qualsiasi dell’epoca più “post” della storia, vorremmo limitarci a chiedere chi ha cominciato a infierire su Denise.
La Denise di cui parliamo fa di cognome Pipitone, ed è una bambina di quattro anni scomparsa da casa nel 2004: una tra le sparizioni più eclatanti, almeno per eco mediatica, degli ultimi anni.
Vediamo i fatti. Nei giorni scorsi i giornali ci informavano di una clamorosa novità: una turista italiana in vacanza in Grecia ha incontrato una bambina molto simile a Denise. La bambina, raccontano le cronache, parla perfettamente l’italiano nonostante la madre – una trentenne albanese – non spiccichi parola nella nostra lingua.
Il giorno dopo le testate rilanciano: il dna di madre e figlia non corrispondono, si passerà quindi a confrontare le evidenze genetiche della bambina albanese con quelle della famiglia di Denise per verificare un’eventuale compatibilità.
Ieri un doppio contrordine: la polizia greca informa che il dna della presunta Denise corrisponde con quello della donna albanese che sostiene di esserne la madre. Non solo: la bambina biascia solo poche parole in italiano, quelle che servono per chiedere la carità ai turisti.
Probabilmente archivieremo amaramente questo ennesimo falso allarme senza farci domande, ma personalmente mi sento offeso. Offeso come lettore dei quotidiani, che hanno riportato una notizia basandosi su elementi manifestamente errati. Offeso come cittadino per una notizia data male e sviluppata peggio, che ha illuso e poi deluso sul volto della signora Pipitone.
Prima di dimenticare, in attesa della prossima bufala, sarebbe interessante capire chi abbia superato, stavolta, il confine della stupidità. Le ipotesi non sono molte.
Potrebbe essere stata la signora italiana turista in terra greca, reduce da un’overdose di serial polizieschi e tv del dolore. Certo, non è facile confondere una persona che “parla perfettamente” la nostra lingua con una che mette insieme due parole alla bisogna: in questo caso, evidentemente, la proprietà linguistica della signora è ai minimi termini (forse non ci sarebbe da stupirsi, visto il livello culturale medio nel nostro paese).
L’ipotesi alternativa? Sono stati i media a inventarsi quel “perfettamente” e perfino quella differenza di codice genetico che, a quanto pare, nessuno ha mai certificato.
Sia come sia, in ultima analisi è anche colpa nostra: non risulta che nessuno, sui principali giornali, si sia posto il benché minimo dubbio sui motivi di questa cantonata, segno che viene considerato normale sparare notizie inesistenti e che domani, al prossimo avvistamento, sarà la stessa cosa. Significa che ci troviamo di fronte a un giornalismo che diventa pour parler, un’informazione di terz’ordine che si allinea bellamente nei modi ai dibattiti inconcludenti del dopo partita.
Con una differenza: nei talk show sportivi non c’è di mezzo il dolore di una madre.