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Lindsay e il pentimento mancato
Certo che come attrice non è proprio il massimo. Lindsay Lohan, ragazzina terribile dello star system americano, è finita davanti al giudice dopo essere stata pescata al volante in stato d’ebbrezza.
Non è la prima celebrità a peccare in questo senso – evidentemente sui viali di Beverly Hills guidare ubriachi va di moda quanto le sostanze stupefacenti nelle discoteche milanesi – e non è la prima a giungere davanti al giudice con l’aria contrita della ragazza redenta.
Lo scrupolo del “perché io?”
È passato poco più di un mese, e come tutti i casi di cronaca, per quanto gravi siano, anche questo è stato ormai archiviato. Nessuno ne parla più, e in effetti non ce ne sarebbe motivo: un uomo, roso da un’instabilità mentale e da problemi familiari, ha ucciso la ex moglie e altre due persone con cui aveva un contenzioso, trasformando la Bassa padana in un far west e scatenando il panico tra la popolazione per un pomeriggio intero.
Loro sono morti, lui è in carcere (o in cura), il caso è chiuso. Eppure qualche domanda, a distanza di un mese, bisogna porsela: perché, rispetto a tanti uxoricidi, questo è complicato da due elementi che impensieriscono, o almeno dovrebbero farlo.
Sbagliata fino in fondo
«Ma cosa crede, che a sessant’anni cambio vita, cerco un lavoro e mi metto a pulire i gabinetti?»: non sono le parole di una contessa caduta in disgrazia o di un’operaia licenziata dopo decenni di onorato servizio, ma di una donna di mezza età arrestata a Milano per spaccio di sostanze stupefacenti.
Di lei sappiamo solo le iniziali, C.M.: il nome non è stato reso noto, per quel malinteso senso della privacy che porta le autorità a sottrarre al pubblico ludibrio anche i nomi degli evasori dalla bella vita.
Donna a metà
Quando pensi di aver capito come gira il mondo, ti ritrovi al punto di partenza.
La Corte di Cassazione ha sancito che “Per questo lavoro serve un uomo” è una frase discriminatoria meritevole di sanzione: nel caso specifico, settemila euro che un giornalista di casertano, insieme al sindacalista che aveva intervistato, dovrà versare alla direttrice del carcere di Arienzo. A indispettire era stato il titolo dell’articolo: “Carcere, per dirigerlo serve un uomo”, e la Cassazione ha dato ragione alla donna, in quanto si tratterebbe di un «gratuito apprezzamento contrario alla dignità della persona perché ancorato al profilo che deriva dal dato biologico».