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Crisi e coscienza
Quando si leggono certe notizie sale un moto di sconforto e indignazione. “Una famiglia su cinque è in difficoltà”, e “il 6,3% non riesce ad arrivare a fine mese“.
I dettagli sembrano tratti da una rivisitazione del libro Cuore: «Circa 1 milione e 500 mila famiglie (6,3%) denunciano, oltre a seri problemi di bilancio e di spesa quotidiana, più alti rischi di arretrati nel pagamento delle spese dell’affitto e delle bollette, nonchè maggiori limitazioni nella possibilità di riscaldare adeguatamente la casa».
Che la crisi abbia colpito tutti, e soprattutto chi ha meno possibilità, non è una novità. Ma se fosse davvero come scrive il Corriere, la situazione sarebbe drammatica: il riscaldamento è un bisogno primario, come la casa e la fornitura di energia elettrica.
Qualcosa non quadra. Possibile che, nelle nostre città, si vedano sempre e solo le famiglie agiate? Possibile che, anche statisticamente, non capiti mai di dialogare con qualcuno che debba davvero tirare la cinghia? Possibile che, con la crisi che tutti piangono, capiti di venir guardati da eretici pervicaci quando si rivela di non andare in ferie?
Forse la questione allora viene osservata in una prospettiva sbagliata, e il problema non consiste nel “quanto”, ma nel “come”.
Le statistiche dicono che gli italiani sono in crisi, ma continuano a cambiare cellulari, a comprare notebook, a permettersi vacanze low cost, ad acquistare auto nuove (a rate, si intende), a frequentare palestre e solarium, a pagare l’abbonamento alla tv satellitare (lamentandosi però per il famigerato canone).
Certo, la televisione ci ha raccontato che questa è la felicità e che per raggiungerla non dobbiamo badare a spese. E noi, meschini, ci siamo cascati, identificando la qualità della vita con l’esibizione di beni superflui.
Non vogliamo fare i conti in tasca a nessuno ma forse, prima di lamentarci per un bilancio difficile da far quadrare, dovremmo analizzare onestamente il nostro stile di vita, imparando a distinguere il necessario dal velleitario. Proprio come facevano i nostri nonni che, senza saperlo, erano più vicini di noi al “buon amministratore” di biblica memoria.
Così vicini, così lontani
In un sondaggio riportato su Repubblica si indaga sul vicino insopportabile. I comportamenti condominiali più fastidiosi? Tutti detestano la spazzatura lasciata sul pianerottolo, ma poi «per gli uomini quell’auto parcheggiata fuori dalle linee dal vicino di casa è una delle cose più fastidiose, mentre quelle piccole e insidiose bricioline che fanno tanto felici gli uccellini sul nostro balcone scatenano le ire delle donne, soprattutto quando cadono dal terrazzo della “nemica” del piano di sopra».
Dà fastidio (a tutti) anche l’invasione della propria sfera personale, favorita dalle «pareti extrasottili di cui in genere sono fatti i nostri appartamenti», a causa delle quali «il problema non è solo quello della sveglia del vicino che fa turni di notte e ti fa sobbalzare alle 3 del mattino ma, diventa più imbarazzante, quando si tratta di aspetti più intimi».
Il vicino ideale? Sicuramente non è uno studente, ma piuttosto un anziano; allo stesso tempo si predilige un vicino impiccione che dia un’occhiata alla casa quando si è assenti, ma non si disdegna nemmeno «il vicino “viaggiatore” che lascia sempre libero il posto auto».
Insomma, ricapitolando e ampliando: il vicino ideale è quello che ti controlla la casa ma non c’è mai; è abbastanza giovane per aiutarti a portare su un mobile ma abbastanza anziano da non portare a casa amici; sordo, in modo da non farsi gli affari nostri, ma non tanto da tenere alto il volume del televisore; simpatico, ma invisibile; single e taciturno, ma con una famiglia che all’occorrenza faccia un po’ di compagnia; disponibile ma discreto; cuoco per invitarci a cena, ma che non cucini per non invaderci con gli effluvi dei suoi piatti.
Lui deve essere così. Noi, invece, dobbiamo mantenere il diritto a urlare per le scale, tenere alto il volume dello stereo e delle litigate, avere figli rumorosi, essere scontrosi quando la luna è calante e invadenti quando è crescente, assenti quando si tratta di dare ma presenti quando c’è da ricevere.
È evidente che il nostro vicino ideale non esiste. E, se esiste, non ci somiglia per niente.
La triste realtà, infatti, è che noi stessi siamo molto lontani dal nostro ideale di vicino. Anzi: forse, mettendoci una mano sulla coscienza, potremmo concludere che nessuno, potendo scegliere, ci vorrebbe come dirimpettai.
Considerando che la prima testimonianza della nostra fede cristiana non è la predicazione ma il comportamento, non c’è molto da stare allegri.
Forse allora, prima di giudicare i comportamenti altrui, dovremmo fermarci e riflettere sul nostro.
«Fai al tuo vicino quello che vorresti lui facesse a te». Non lo ha detto un amministratore di condominio, ma Gesù.
Tanti, ma felici
Cinquecento persone, lo scorso fine settimana, hanno partecipato alla festa dell’associazione nazionale famiglie numerose: si è svolta per la seconda volta in Veneto, in provincia di Vicenza, e ha dato ai presenti modo non solo di incontrarsi, ma anche di confrontarsi su temi di interesse comune.
Deve essere una bella sfida, quella di una famiglia numerosa. La giornalista del Gazzettino che ne parlava in questi giorni segnala appartamenti dove c’è “più disciplina che in una caserma”. Grazie al racconto di altri diretti ineressati sappiamo di famiglie di sei, sette, nove, anche quattordici persone dove il menage quotidiano non si riduce all’anarchia più totale, ma dove tutti aiutano tutti, in una economia di scala che vede tutti responsabili e nessuno escluso dalle scelte della famiglia.
Probabilmente i ragazzi non avranno tutti il cellulare, né vestiti firmati, e forse nemmeno abiti alla moda, e si dovranno accontentare della felpa già portata dal fratello maggiore (e magari anche più di uno). Eppure difficilmente si sentiranno questi ragazzi diffondersi in lamenti.
Colpisce che alla festa di Montecchio Prealcino si trovavano “bambini molto educati… senza un grido né un pianto”. Torna subito in mente, per contrasto, un qualsiasi intervallo scolastico tra due ore di lezione. O gli appartamenti dove i nostri vicini allevano figli assenti, pigri, insoddisfatti, senza uno stimolo capace di smuoverli, eccezion fatta per la suoneria del cellulare o l’ultimo modello di playstation.
Al contrario di loro, le famiglie numerose non possono offrire un doppione a ogni figlio: le bici saranno limitate, i pattini pure, e per potersi esercitare bisognerà – come accadeva prima degli anni Ottanta – imparare ad aspettare con pazienza il proprio turno, senza puntare i piedi o scadere in isterismi da tutto e subito.
Eppure parliamo di famiglie con un ampio numero di figli: forse questi genitori coraggiosi avrebbero qualche ragione per considerarsi giustificati nel vedere la prole crescere trascurata. Invece no. Educati, silenziosi, altruisti.
Allora viene da pensare che la famiglia numerosa sia una scuola di vita. Che non largheggia nel lusso, ma forma in maniera efficace. Forse i genitori non tornano a casa stanchi sentendo il diritto di estraniarsi per riprendersi dalle fatiche del lavoro, e si mettono invece a disposizione delle esigenze familiari. Forse i figli sanno che non possono aspettare la cena con l’indolenza della generazione youtube, ma devono collaborare, per quanto possibile, alla preparazione del pasto. Forse, rendendosi conto che la situazione non permette di tirare avanti da soli, tutti sono più disponibili ad aiutare l’altro. Sapendo che gli spazi sono limitati, tutti sono più sensibili nell’agevolare le esigenze altrui. Sapendo che i soldi non bastano davvero mai – e non solo come luogo comune di un’Italia che non sa più dove spendere – si impara ad amministrarsi in maniera ragionevole e ad accontentarsi.
In una famiglia numerosa la vita è un’avventura quotidiana: si vive stretti, ma felici.
Una famiglia numerosa è un limite o un punto di forza? Il gioco vale la candela? Lasciamo a voi le conclusioni.
Probabilmente però se la nostra società somigliasse a una famiglia numerosa vivremmo tutti meglio.