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Dimmi quando. O forse no
La notizia, se confermata, sarebbe inquietante: l’Università di scienze mediche di Teheran avrebbe scoperto che basta un esame del sangue per scoprire quando una donna andrà in menopausa.
Anche se, con tutto il rispetto, la fonte accademica non sembra garantire una particolare attendibilità alla dichiarazione, l’ipotesi ha fatto il giro del mondo, suscitando discussioni e riflessioni. Sul Corriere ha commentato la notizia la scrittrice Silvia Avallone, esprimendo un certo scetticismo: «L’idea che un prelievo sia sufficiente a predire il futuro – commenta – può entusiasmare o meno. Del resto ricorriamo ancora agli oroscopi e ai tarocchi per sapere se e quando avremo un figlio, e dovremmo gioire adesso che il responso potrà essere scientifico e non più vaneggiato».
Certezze illogiche
I greci la chiamavano “ubris”: era la tracotanza di chi si voleva elevare al livello della divinità (e per questo veniva punito).
La ubris torna in mente di fronte alle parole granitiche, senza la scalfitura del benché minimo dubbio, dello psicoterapeuta Fulvio Scaparro. Intervistato dal Corriere per commentare la vicenda di Stella, bambina nata in questi giorni dal seme paterno congelato 22 anni fa, Scaparro non lascia spazio a obiezioni: «La storia di Stella? Una notizia splendida. Un successo della scienza che non avrà conseguenze psicologiche negative sulla bambina».
Ne è sicuro, nonostante si tratti del primo caso di questo genere, perché «Stella è nata da due genitori che la desideravano. Ed è questo a contare».
La scienza è una materia in continua evoluzione: sviluppa conoscenze, testa risultati, sperimenta soluzioni. Supera ogni giorno i suoi limiti, e questa continua marcia all’avanguardia dell’umanità porta a esplorare campi ancora sconosciuti, a sondare reazioni incognite, in un incrocio continuo tra scienza, società, fede.
Per questo lascia perplessi, e forse un po’ angosciati, sentire uno scienziato esprimersi con tanta certezza. Le certezze ce le aspettiamo da valori sociali consolidati nel tempo, e le cerchiamo nella fede.
Suona piuttosto preoccupante leggere baldanti rassicurazioni da parte di chi può solo sperimentare e verificare le reazioni dei test, né rasserena sentire risposte che vendono certezze assolute in base a schemi che solo in parte si possono applicare al caso specifico.
Non rasserena, anzi: porta a chiedersi se davvero possiamo fidarci di una scienza che non sa ammettere i suoi limiti, e pretende all’occorrenza di farsi anche fede.
Incertezze salutari
In Gran Bretagna gli atei sono partiti alla riscossa qualche mese fa con una serie di spot sui bus: una campagna che ora si allarga ad altri Paesi d’Europa, ma non senza qualche piccola delusione.
Succede in Spagna, per esempio, dove l’iniziativa atea è stata presa in contropiede dai cristiani: anticipando l’intenzione delle associazioni atee di “vestire” alcuni autobus con uno spot agnostico (“Probabilmente Dio non esiste, quindi smettila di preoccuparti e goditi la vita”), una piccola chiesa evangelica ha racimolato la somma necessaria per lanciare con le stesse modalità il messaggio “Dio sì che esiste: godi della vita in Cristo”.
Il bus “cristiano” ha cominciato a circolare per Madrid a Natale: il pastore evangelico Paco Rubiales, spiega Il Giornale, «ha deciso di investire le offerte domenicali dei suoi 75 fedeli per fare opera evangelica con un chiaro messaggio».
Due modi diversi di vedere il mondo: un’incertezza (“Probabilmente Dio non esiste”) contro una certezza (“Certo che Dio esiste”). Un messaggio egoista (“goditi la vita”) contro un messaggio che invita al senso di responsabilità (“godi la vita in Cristo”). Un messaggio edonista contro un messaggio di speranza.
Come già si diceva, suona decisamente paradossale che proprio gli atei invitino a non ricercare certezze, ritirandosi in buon ordine dietro a un rassegnato “probabilmente”: proprio loro, che non credono se non vedono, che non muovono un passo senza la sicurezza incontrovertibile di un test scientifico, che irridono i cristiani per quella sicurezza irrazionale chiamata fede.
Eppure il confronto spagnolo tra atei e cristiani a colpi di bus offre un altro spunto di interesse, e permette qualche considerazione positiva su entrambi i fronti. Il portavoce degli atei dichiara che l’obiettivo di questa iniziativa è «far pensare chi non è molto credente e dargli un appoggio»; il pastore Paco Rubiales «confessa che con la campagna evangelica vuole arrivare “ai non cristiani o ai cristiani addormentati”».
È curioso notare che gli intenti delle due campagne, agli antipodi per il messaggio comunicato, sono pressoché identici: con i loro spot sia gli atei, sia i cristiani desiderano risvegliare le coscienze e il senso di responsabilità, mettere le persone di fronte alla propria condizione e alle proprie preoccupazioni, rispolverare le domande sopite, riportare in primo piano i dubbi messi da parte per lasciare spazio al miraggio di una vita piena di vuoto.
E si sa, per riflettere seriamente c’è chi ha bisogno di una scossa (“Dio non esiste”) e chi di una speranza (“Dio esiste”).
In questo senso non è detto che la seconda soluzione sia più efficace della prima: demolire le proprie false certezze (“credo davvero in Dio o sono un ipocrita?”) può essere salutare, nell’ottica di una ricerca spirituale.
La provocazione della campagna atea potrebbe quindi portare ben lontano da facili edonismi, spingendo invece i madrileni alla ricerca di una soluzione a quel “probabilmente”: se il messaggio aiuterà gli spagnoli a confrontarsi onestamente con se stessi e a cercare la Risposta, la campagna atea potrebbe dare frutti inaspettati.