Archivi Blog
Buoni maestri
Ricomincia la scuola. Tornano in aula otto milioni di ragazzi e 700 mila docenti, e si apre con i consueti problemi: strutture inadeguate, precari senza certezze, regole poco certe e una certa dose di disinformazione su cause e rimedi, proposte e riforme.
Eppure, nonostante gli acciacchi e i rattoppi, malgrado in troppi la vedano come un parcheggio per i figli o un diplomificio, una sorta di Facebook non virtuale o una palestra di bravate, la scuola resta un pilastro nella nostra società.
Leggi il resto di questa voce
Rispetto per i vivi
I familiari di una docente atea, deceduta presso una struttura sanitaria padovana, «hanno protestato – scrive il Gazzettino – per la “minaccia” del cappellano che intendeva benedire la salma nonostante l’opposizione della figlia».
La defunta era una docente universitaria 75.enne che da quattro mesi era ricoverata come terminale; dopo essersi «spenta in serenità – denunciano i parenti – un sacerdote voleva entrare in stanza e quando la figlia si è opposta è stata insultata, il sacerdote ha detto che quella era casa sua, che lì faceva quello che voleva e che sarebbe ripassato dopo quando i parenti fossero andati via».
Speriamo vivamente che i termini del confronto siano stati in realtà meno concitati di quanto raccontato dai parenti, ma se i fatti corrispondono almeno in minima parte al vero è necessaria una riflessione.
L'egoismo che uccide
Nei giorni scorsi i giornali hanno raccontato la notizia del panettiere di Sanremo rimasto oltre quattordici ore in coma sulle scale prima che qualche vicino di casa si degnasse di soccorrerlo.
Era lì, rannicchiato sul pianerottolo, dopo che una caduta gli aveva provocato un trauma cranico; tutti i coinquilini però – e ne sarà passato qualcuno, nel corso della giornata – hanno creduto, o hanno voluto credere, che fosse ubriaco.
Sul Corriere Isabella Bossi Fedrigotti commentava lamentando l’indifferenza, “la nuova malattia” che non è “solo un malessere minore” o “un secondario tic”; riflette sul fatto che probabilmente «almeno una ventina di persone, se non di più, quante, cioè, abitano sopra il primo piano, rientrando la sera o uscendo la mattina, abbiano dovuto letteralmente scavalcare il corpo», e conclude che, italiani o extracomunitari che fossero, «le regole del vivere civile si stanno appannando un po’ per tutti».
Ha ragione, ma forse sarebbe necessario aggiungere un elemento su cui non ci si è soffermati.
Probabilmente capita a tutti, quotidianamente e in qualsiasi città, di imbattersi in persone sedute per la strada, distese ai giardini, assopite nelle stazioni, accucciate sotto i portici. Talvolta, nel fissarli, sorge davvero qualche dubbio sulla loro sorte: sono solo appisolati, oppure hanno avuto un malore? Stanno smaltendo i postumi dell’ebbrezza alcolica, oppure hanno perso i sensi per qualche ragione più seria?
Nel dubbio, spesso ci limitiamo ad andare avanti; talvolta allertiamo qualche agente di polizia o telefoniamo al 118.
Non ci permettiamo azioni più marcate per non sembrare fuori luogo: il comune sentire – quel senso di cui giorno dopo giorno stiamo perdendo la funzionalità – ci insegna che è abbastanza normale, per giovani e meno giovani, bivaccare sul sagrato di una chiesa, o stendersi su una panchina a riposare.
E nessuno si permetta di invocare la buona creanza, un’anticaglia che suscita sorrisi di compassione al solo nominarla: d’altronde, ci si sentirà rispondere, cosa ci sarà mai di male nel distendersi su una panchina, sedersi per terra, intralciare con l’auto in seconda fila il percorso degli altri? Sono gesti entrati nella quotidianità egoista di tutti noi: chi, di fronte a uno di questi gesti, provasse a chiedere “ha bisogno d’aiuto?” verrebbe preso a male parole.
Sarà solo una questione di regole e di formalità superflue, ma qualche anno fa era più semplice capire se qualcuno si trovasse in difficoltà.
Oggi che l’abito non fa il monaco, non si distingue il vero dal finto povero. Oggi che la chirurgia estetica fa miracoli, non si distingue il vero dal finto giovane. Oggi che la sciatteria dei comportamenti regna sovrana in ogni piccolo gesto, non si distingue il vero dal finto malato.
Ci si ride su, almeno fino a quando le conseguenze non si fanno letali. E a quel punto, amaramente, dobbiamo constatare come la coperta che ci siamo cuciti a misura del nostro egoismo sia troppo corta perfino per un’esistenza individualista come la nostra.
L’egoismo che uccide
Nei giorni scorsi i giornali hanno raccontato la notizia del panettiere di Sanremo rimasto oltre quattordici ore in coma sulle scale prima che qualche vicino di casa si degnasse di soccorrerlo.
Era lì, rannicchiato sul pianerottolo, dopo che una caduta gli aveva provocato un trauma cranico; tutti i coinquilini però – e ne sarà passato qualcuno, nel corso della giornata – hanno creduto, o hanno voluto credere, che fosse ubriaco.
Sul Corriere Isabella Bossi Fedrigotti commentava lamentando l’indifferenza, “la nuova malattia” che non è “solo un malessere minore” o “un secondario tic”; riflette sul fatto che probabilmente «almeno una ventina di persone, se non di più, quante, cioè, abitano sopra il primo piano, rientrando la sera o uscendo la mattina, abbiano dovuto letteralmente scavalcare il corpo», e conclude che, italiani o extracomunitari che fossero, «le regole del vivere civile si stanno appannando un po’ per tutti».
Ha ragione, ma forse sarebbe necessario aggiungere un elemento su cui non ci si è soffermati.
Probabilmente capita a tutti, quotidianamente e in qualsiasi città, di imbattersi in persone sedute per la strada, distese ai giardini, assopite nelle stazioni, accucciate sotto i portici. Talvolta, nel fissarli, sorge davvero qualche dubbio sulla loro sorte: sono solo appisolati, oppure hanno avuto un malore? Stanno smaltendo i postumi dell’ebbrezza alcolica, oppure hanno perso i sensi per qualche ragione più seria?
Nel dubbio, spesso ci limitiamo ad andare avanti; talvolta allertiamo qualche agente di polizia o telefoniamo al 118.
Non ci permettiamo azioni più marcate per non sembrare fuori luogo: il comune sentire – quel senso di cui giorno dopo giorno stiamo perdendo la funzionalità – ci insegna che è abbastanza normale, per giovani e meno giovani, bivaccare sul sagrato di una chiesa, o stendersi su una panchina a riposare.
E nessuno si permetta di invocare la buona creanza, un’anticaglia che suscita sorrisi di compassione al solo nominarla: d’altronde, ci si sentirà rispondere, cosa ci sarà mai di male nel distendersi su una panchina, sedersi per terra, intralciare con l’auto in seconda fila il percorso degli altri? Sono gesti entrati nella quotidianità egoista di tutti noi: chi, di fronte a uno di questi gesti, provasse a chiedere “ha bisogno d’aiuto?” verrebbe preso a male parole.
Sarà solo una questione di regole e di formalità superflue, ma qualche anno fa era più semplice capire se qualcuno si trovasse in difficoltà.
Oggi che l’abito non fa il monaco, non si distingue il vero dal finto povero. Oggi che la chirurgia estetica fa miracoli, non si distingue il vero dal finto giovane. Oggi che la sciatteria dei comportamenti regna sovrana in ogni piccolo gesto, non si distingue il vero dal finto malato.
Ci si ride su, almeno fino a quando le conseguenze non si fanno letali. E a quel punto, amaramente, dobbiamo constatare come la coperta che ci siamo cuciti a misura del nostro egoismo sia troppo corta perfino per un’esistenza individualista come la nostra.
Sogni benefici
Il Resto del Carlino (grazie a Marco per la segnalazione) racconta la storia di una mamma bolognese, Laura Neri, che ha vinto 45 mila euro partecipando al quiz più visto di RaiUno, l’Eredità.
La particolarità della vicenda? Che la signora Neri, d’accordo con il marito, ha deciso di non tenere per sé se non una minima parte della vincita, e devolvere il resto in beneficenza: ai bambini dell’Africa, ai pluriminorati seguiti dall’Istituto serafico di Assisi, e – ultimo, ma non meno importante – alla loro parrocchia di appartenenza, che necessita di qualche restauro.
Si tratta, racconta il Resto del Carlino, di una scelta meditata, tanto che ha segnalato la sua intenzione di vincere già sulla scheda con cui ha richiesto di partecipare al quiz.
Una scelta che solleva curiosità, e cui Laura e il marito Paolo rispondono senza scomporsi: «Non abbiamo sogni materiali nel cassetto, ma ogni giorno ci chiediamo cosa possiamo dare alla vita. Così abbiamo deciso di sostenere un progetto di solidarietà, anzi tre, ai quali collaboriamo già da tempo. Non avevamo la possibilità di farlo diversamente, dato i nostri stipendi. Quindi partecipare all’Eredità poteva essere una soluzione».
Ci sono tre fatti che colpiscono, nelle parole della coppia. Innanzitutto la dichiarazione “non abbiamo sogni materiali nel cassetto”: non sappiamo quanti di noi sarebbero disposti ad affermarlo a cuor leggero. Tutti, probabilmente, abbiamo qualche progetto in corso: l’arredamento da cambiare, l’auto da sostituire, le rate da pagare, i soldi da accantonare per dare un futuro ai figli. Sono rari coloro che davvero possono affermare di “non avere sogni materiali”. Materiali, si badi, perché la coppia dimostra, con il suo gesto, di avere più di qualche sogno: aiutare il prossimo, sostenere chi soffre, condividere i drammi di chi si trova in gravi difficoltà. Non è questione di possibilità economiche: l’amore si dimostra quando i nostri sogni lasciano il posto ai bisogni degli altri.
La seconda affermazione riguarda la decisione di partecipare con lo scopo di fare beneficenza: “non avevamo la possibilità di farlo diversamente, dato i nostri stipendi”. Segno che, per quanto possibile, aiutano da tempo le organizzazioni e le realtà che ora hanno deciso di sostenere in maniera più massiccia. Si è trattato quindi di un exploit, ma che non nasce dal nulla e non muore in sé.
Facile dire “se vincessi un premio, darei una mano”: la generosità nasce dal cuore, non dal portafogli, e si dimostra attraverso da piccoli gesti, non con donazioni eclatanti.
La terza questione interessante riguarda il fatto che hanno destinato la vincita a progetti “ai quali collaboriamo già da tempo”. Non si tratta di beneficenza generica, senza radici, ma di un coinvolgimento di lunga data nei problemi, nei traguardi, nella vita di tre realtà benefiche. Forse non saranno andati in Africa, ma seguono regolarmente le vicende dell’Amref. Forse non fanno quotidianamente la spola con Assisi, ma non dimenticano l’Istituto serafico. Forse non sono in grado cambiare le sorti di una parrocchia, ma fanno quel che possono. Chissà se possiamo dire la stessa cosa, se condividiamo un progetto di aiuto umanitario o un’opera missionaria, oppure se ci limitiamo a tacitare la nostra coscienza di tanto in tanto, quando qualche missione ci commuove più di altre.
Più di qualcuno, nel leggere la notizia, avrà pensato a quanto sarebbe piacevole unire l’utile al dilettevole, partecipando ai telequiz a scopo benefico. Qualcun altro avrà arricciato il naso di fronte alla scelta anomala della coppia bolognese.
Non possiamo dare ragione agli aspiranti missionari da quiz: la solidarietà e la compassione non si dimostrano con i soldi degli altri.
Detto questo, non possiamo nemmeno condividere la posizione di chi critica la scelta di Laura e Paolo: se la decisione nasce da premesse convincenti e convinzioni solide come quelle della coppia bolognese, ben venga un’idea originale come la partecipazione all’Eredità.
L'invincibile angoscia
Pare che a gennaio, per le strade di Londra, verrà lanciata una campagna promozionale decisamente originale sulle fiancate degli autobus campeggerà lo slogan “Dio probabilmente non esiste, quindi smettila di preoccuparti e goditi la vita”.
Ad aver lanciato l’iniziativa, insieme a una colletta per realizzarla, è la British Humanist Association, che in questi giorni ha annunciato di aver raggiunto la ragguardevole cifra di 113 mila dollari, “superando di ben sette volte gli obiettivi prefissati”, tanto da ipotizzare di estendere la campagna pubblicitaria a Manchester ed Edimburgo.
Tra i finanziatori ci sono anche alcuni personaggi noti a livello internazionale, e tra questi non poteva mancare il biologo Richard Dawkins, autore di vari libri dove espone la sua fede (o non-fede) e irride i cristiani, considerati creduloni, irrazionali e – tutto sommato – un po’ tonti per la loro ostinazione a credere in qualcosa che la scienza non percepisce e non capisce.
L’ideatrice, Ariane Sherin, ha spiegato «di aver pensato all’iniziativa dopo aver visitato un sito cristiano in cui si spiegava che i non credenti finiranno all’inferno. “Ho pensato che sarebbe stato positivo presentare un messaggio incoraggiante, per gli atei questa è l’unica vita che abbiamo e dovremmo godercela non vivere nel terrore”».
Poveri atei, viene da pensare. Canzonano i cristiani, e poi si angosciano per le loro elucubrazioni cui – a parole – non danno nessun credito.
Poveri atei, che ridono dei cristiani così poco scientifici, e poi per incoraggiarsi si basano su uno slogan che richiede altrettanta fede, se non di più.
L’ateo è scientifico, logico, lineare. E allora suona strano che per rassicurarlo basti uno slogan: tanto più uno slogan che si apre con l’incertezza di un “probabilmente”.
Non è la premessa più incoraggiante. “Non preoccuparti e goditi la vita”, si raccomanda. Ma in base a cosa? A un assunto la cui indimostrabilità è presente fin dalle premesse? A una certezza a metà? Dio (forse) non c’è, si dice. Ma se poi ci fosse?
In queste condizioni “godersela” e “non vivere nel terrore” suonano come frasi banali, senza senso né prospettiva. Godersela ignorando la realtà ricorda da vicino la vicenda dell’orchestrina che continuava a suonare mentre il Titanic affondava.
Se queste sono le loro certezze, se questo è il modo di rassicurarsi di fronte a chi paventa un inferno in cui non credono, se la risposta al terrore di una società senza valori e di una vita senza obiettivi è un piacere immediato, frugale, disperato… se questo è il loro mondo, allora la compassione nei loro confronti è d’obbligo.
L’invincibile angoscia
Pare che a gennaio, per le strade di Londra, verrà lanciata una campagna promozionale decisamente originale sulle fiancate degli autobus campeggerà lo slogan “Dio probabilmente non esiste, quindi smettila di preoccuparti e goditi la vita”.
Ad aver lanciato l’iniziativa, insieme a una colletta per realizzarla, è la British Humanist Association, che in questi giorni ha annunciato di aver raggiunto la ragguardevole cifra di 113 mila dollari, “superando di ben sette volte gli obiettivi prefissati”, tanto da ipotizzare di estendere la campagna pubblicitaria a Manchester ed Edimburgo.
Tra i finanziatori ci sono anche alcuni personaggi noti a livello internazionale, e tra questi non poteva mancare il biologo Richard Dawkins, autore di vari libri dove espone la sua fede (o non-fede) e irride i cristiani, considerati creduloni, irrazionali e – tutto sommato – un po’ tonti per la loro ostinazione a credere in qualcosa che la scienza non percepisce e non capisce.
L’ideatrice, Ariane Sherin, ha spiegato «di aver pensato all’iniziativa dopo aver visitato un sito cristiano in cui si spiegava che i non credenti finiranno all’inferno. “Ho pensato che sarebbe stato positivo presentare un messaggio incoraggiante, per gli atei questa è l’unica vita che abbiamo e dovremmo godercela non vivere nel terrore”».
Poveri atei, viene da pensare. Canzonano i cristiani, e poi si angosciano per le loro elucubrazioni cui – a parole – non danno nessun credito.
Poveri atei, che ridono dei cristiani così poco scientifici, e poi per incoraggiarsi si basano su uno slogan che richiede altrettanta fede, se non di più.
L’ateo è scientifico, logico, lineare. E allora suona strano che per rassicurarlo basti uno slogan: tanto più uno slogan che si apre con l’incertezza di un “probabilmente”.
Non è la premessa più incoraggiante. “Non preoccuparti e goditi la vita”, si raccomanda. Ma in base a cosa? A un assunto la cui indimostrabilità è presente fin dalle premesse? A una certezza a metà? Dio (forse) non c’è, si dice. Ma se poi ci fosse?
In queste condizioni “godersela” e “non vivere nel terrore” suonano come frasi banali, senza senso né prospettiva. Godersela ignorando la realtà ricorda da vicino la vicenda dell’orchestrina che continuava a suonare mentre il Titanic affondava.
Se queste sono le loro certezze, se questo è il modo di rassicurarsi di fronte a chi paventa un inferno in cui non credono, se la risposta al terrore di una società senza valori e di una vita senza obiettivi è un piacere immediato, frugale, disperato… se questo è il loro mondo, allora la compassione nei loro confronti è d’obbligo.
Consigli di lettura – 8
Ago 22
Pubblicato da pj
Storia, società, attualità, sociologia e fede nei suggerimenti di lettura proposti questa settimana nel mio programma radio su crc.fm.
Si comincia con “Evangelici nella tormenta. Testimonianze dal secolo breve” (Claudiana), di Giorgio Bouchard, un libro sulle personalità evangeliche che hanno vissuto i drammi della storia del Ventesimo secolo. È l’ultimo progetto – in ordine di tempo, beninteso – portato a termine dal pastore e saggista, già moderatore della Tavola valdese e autore di numerosi testi sul movimento evangelico (tra cui il mai troppo citato “Movimenti evangelici del nostro tempo”, che continua a essere uno degli strumenti migliori per comprendere il contesto evangelico italiano e internazionale odierno).
“Evangelici nella tormenta” nasce da una serie di conferenze tenute dall’autore nella chiesa battista di Meana di Susa e presenta – per dirla con Marco Brunazzi, autore dell’introduzione – «una serie di medaglioni di personalità evangeliche di vario profilo, dalle più note alle meno, che hanno scandito la storia del Novecento», iniziativa che viene accolta come “opportuna” «in un paese come l’Italia, dove la cultura evangelica… è normalmente confinata in spazi informativi del tutto marginali».
Bouchard nel suo libro racconta le vicende di personaggi che non hanno fatto la storia della chiesa – non direttamente, almeno – ma hanno introdotto la chiesa nella storia: dai paladini anti-apartheid Nelson Mandela e Rosa Parks a un Bonhoeffer africano, Guddinaa Tumsaa, passando per Reinhold Niebuhr e l’ex presidente americano (e pastore evangelico) Jimmy Carter, fino al noto – ma non quanto meriterebbe – missionario Albert Schweitzer e a credenti che hanno vissuto epoche buie, come Ernst Lohmeyer, Madeleine Barot e i ragazzi della Rosa bianca.
—
Più “leggera”, invece, la seconda proposta di lettura: si tratta di “Nel catalogo c’è tutto. Per chi va o torna a vivere da solo” (Feltrinelli), del trentenne milanese Francesco Gungui.
Comunemente si dice che le grandi città sono grigie, noiose, impersonali, ma la vita metropolitana, a saperla guardare con la giusta prospettiva, può essere perfino divertente, come dimostra Francesco Gungui. Nei capitoli del libro scorre la vita ordinaria di un giovane di oggi, alle prese con le abitudini da cambiare (andare a vivere da soli è un passo decisivo nella vita di una persona) mentre la propria esistenza comincia a delinearsi tra idee confuse, relazioni carenti, piccole nevrosi e grandi interrogativi.
Il “catalogo” da cui il libro prende il titolo è il catalogo dell’Ikea, che secondo l’autore è un paradigma della generazione di oggi: una generazione “componibile” per una vita “componibile”, proprio come un mobile della famosa azienda. La prosa di Gungui è godibile, e di fronte ad avventure e disavventure che molti di noi hanno affrontato (la ricerca di una casa, il mutuo, le faccende domestiche, il lavoro precario in un mondo di imbroglioni) è difficile non farsi qualche risata. Autocompatendosi, beninteso.
—
Si legge uno spaccato di storia recente, invece, in “Da Gerusalemme a Roma. Il Medio Oriente, l’Italia, il mondo: riflessioni di un ambasciatore. 2001-2006” (Mondadori) di Ehud Gol, ex ambasciatore israeliano in Italia dal 2001 al 2006: un periodo non facile per Israele, che ha visto quindi il rappresentante diplomatico in una posizione particolarmente delicata nel difendere il suo paese da un’opinione mediatica mai generosa.
Per rappresentare le ragioni di Israele, Gol ha preso spesso in mano la penna e ha scritto lettere, commenti, corsivi sui principali quotidiani italiani.
Nei suoi contributi, raccolti in questo volume, Gol difende con instancabile energia Israele: di volta in volta di fronte all’ambiguità di Arafat e le omissioni dell’Europa, di fronte alle posizioni poco imparziali dei media e dell’Unione Europea, di fronte alla piaga del terrorismo e del fondamentalismo islamico da cui ha origine, di fronte al pacifismo a senso unico. Temi che ci riportano alla memoria l’amarezza di drammi, stragi, diritti negati, occasioni perse.
Il volume si apre e chiude con due capitoli dedicati al nostro paese: il percorso inizia con “L’Italia può aiutare la pace”, intervento su Repubblica nel 2001, e si conclude con “L’Italia ha capito Israele”, pubblicato sul Corriere nei giorni del congedo dal suo incarico.
Non sappiamo se il nostro Paese abbia davvero avuto o possa avere un ruolo importante nel raggiungimento della pace in Medio Oriente, ma sicuramente l’impegno di Ehud Gol nei sei anni del suo mandato è stato essenziale per la comprensione di Israele da parte del nostro Paese.
—
Altro tema di cui abbiamo parlato questa settimana è stata la fede di Indro Montanelli: Montanelli è stato uno dei più significativi giornalisti del nostro paese, che con la sua penna e il suo pensiero ha caratterizzato molti dei dibattiti, degli scontri, dei drammi che l’Italia ha vissuto negli ultimi cinquant’anni.
Montanelli non si considerava un credente, eppure non ha mai rifiutato di riflettere su Dio e sulla fede. Anzi: nel suo considerarsi non credente c’era una sorta di rammarico per qualcosa che, per onestà, non poteva dire di possedere ma che cercava.
Giorgio Torelli, giornalista e discepolo di Montanelli, ha parlato spesso con lui di questo tema, e – a distanza di anni dalla scomparsa del personaggio – ha messo nero su bianco il riscontro di questi dialoghi.
Lo ha fatto in un volume che si intitola “Il Padreterno e Montanelli” (Ancora). Torelli racconta di un Montanelli stoico, ma che rivisitava spesso il tema della fede, sospirando «purtroppo, non ho fede. Magari, ne fossi toccato».
Dopo aver tratteggiato un quadro della sua fede – o “non-fede” -, Torelli si pone e pone una domanda sul “Dopo Montanelli”: “la nostra speranza nella misericordia del Padre ci nega o ci permette di ipotizzare un dialogo franco e decisivo tra Dio” e Montanelli?
Una domanda accademica, ovviamente, che non cambia le cose, e cui – su questa terra, almeno – non avremo mai una risposta. Ma è una domanda che permette a Torelli di scandagliare la posizione di decine di intellettuali (teologi, scrittori, giornalisti, missionari, lettori, pensatori di vario genere, naturalmente non tutti cristiani) su un tema delicato, quello della fede e della salvezza.
Le risposte, naturalmente, risentono dell’influenza culturale e delle convinzioni di ogni interpellato, ma permettono di riflettere e far riflettere.
Quale sia stata la sorte di Montanelli, naturalmente, non possiamo saperlo. A quanto ne sappiamo noi, non ha mai accettato Cristo nella sua vita, né si è mai detto credente. Ma chissà: la sua sincerità e la sua schiettezza nei confronti di Dio possono farci sperare.
—
Parlando di sociologia, ci ha incuriosito che sembrava la negazione di sé: si tratta di “Non leggete libri per crescere i vostri bambini. ntimanuale del genitore sereno” (Rizzoli), di Elisabetta Zocchi.
Diventare genitori cambia la vita. E fa nascere nelle neomamme e nei neopapà una serie di dubbi, pensieri, preoccupazioni. Proprio facendo leva sulla inevitabile apprensione dei nuovi genitori, negli ultimi anni si sono moltiplicati i manuali mirati a suggerire metodi di ogni tipo per dare ai figli un’infanzia ottimale.
“Non leggete libri per crescere i vostri bambini” è decisamente controcorrente per il settore ed è scritto da Elisabetta Zocchi, giornalista e vicedirettore di due testate dedicate alle mamme, impegnata da anni nel settore della salute materna e infantile.
Zocchi, più che dare consigli particolari, punta a incoraggiare i genitori, perché – scrive – per essere buoni genitori basta il buonsenso. «Le mamme d’oggi – esordisce la Zocchi – devono sapere… che fanno sempre la cosa giusta. Anche quando incorrono in qualche involontaria svista».
Sottolineando che “un genitore non può smettere di credere in se stesso”, l’autrice guida il lettore attraverso dieci capitoli su aspetti essenziali relativi al rapporto tra genitori e neonato, e accompagna ogni capitolo con la risposta a un dubbio ricorrente – e, decisamente, umano – dei neogenitori stessi.
Insomma, il libro di Elisabetta Zocchi non sarà un manuale, ma riesce comunque a dare consigli. Utili e, soprattutto, di buonsenso.
Pubblicato su Uncategorized
Lascia un commento
Tag: abitudini, albert Schweitzer, amarezza, ambasciatore, ambiguità, apprensione, Arafat, attualità, autore, avventure, Bonhoffer, Bouchard, buio, buonsenso, cambiare, capitoli, casa, catalogo, chiesa, città, commenti, compassione, componibile, confuse, consigli, contributi, convinzioni, crc, crc.fm, credente, cristiani, dialoghi, dialogo, dibattiti, difendere, Dio, diplomatico, diplomazia, diritti, disavventure, divertente, domanda, dramma, drammi, dubbi, Ehud Gol, Elisabettta Zocchi, epoche, Ernst Lohmeyer, esistenza, europa, evangeliche, evangelici, Evangelici nella tormenta. Testimionianze dal secolo breve, evangelico, fede, Feltrinelli, fondamentalismo, Francesco Gungui, genitore, genitori, Gerusalemme, Giorgio Bouchard, Giorgio Torelli, giornalista, giornalisti, giusto, godibile, Gol, Guddina Tumsaa, Gungui, idee, Ikea, Il manuale del genitore sereno, Il Padreterno e Montanelli, imbroglioni, incarico, incoraggiamento, infantile, infanzia, intellettuali, internazionale, interrogativi, Islam, Israele, Italia, Jimmy Carter, Lavoro, leggera, lettere, lettori, lettura, libro, Madeleine Barot, mamme, manuale, materna, media, Medio Oriente, memoria, metodi, misericordia, missionari, mobile, mondo, Montanelli, Movimenti evangelici del nostro tempo, movimento, mutuo, Nelson Mandela, neonato, nevrosi, noia, occasioni, omissioni, onestà, origine, pace, pacifismo, padre, paladini, pastore, penna, pensatori, pensieri, pensiero, personaggi, personaggio, personalità, piaga, posizioni, preoccupazioni, programma radio, prospettiva, quotidiani, ragioni, rapporto, rappresentante, Reinhold Niebuhr, relazioni, ricerca, riflessione, riflessioni, risata, risposta, risposte, Roma, Rosa bianca, Rosa Parks, saggista, salute, salvezza, scontri, scrittori, secolo, settimana, società, sociologia, storia, storico, stragi, strumenti, suggerimenti, Tavola, tema, Tempo, teologi, terrorismo, testi, testimonianze, Torelli, tormenta, Vita, Vita ordinaria di un giovane oggi, vivere, volume