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Le responsabilità della libertà

Ormai era nell’aria e, nonostante le contestazioni dell’ultimo minuto e le manovre di qualche pio illuso, non poteva che finire così: il Sinodo valdese, riunito a Torre Pellice, ha votato sì al riconoscimento della benedizione per le coppie gay.

Una decisione che un gruppetto minoritario aveva tentato di evitare nelle ultime settimane, con un appello pubblico al Sinodo affinché ritrovasse la fedeltà alla secolare Confessione di fede valdese e, per quanto possa sembrare scontato, al vangelo, evitando decisioni destinate ad allontanare i valdesi dalle altre realtà evangeliche.
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Fuori tempo massimo

«Vittoria!» – «Vergogna!»

Le reazioni del mondo evangelico alla sentenza di Strasburgo sulla rimozione dei crocifissi nelle aule scolastiche italiane non potevano essere più antitetiche. Posizioni diverse e legittime, che si basano su considerazioni opposte. Da un lato una tendenza laicista che, spesso, deborda su posizioni di principio anticattoliche, senza se e senza ma; dall’altro una linea meno rigida, più comprensiva, che però rischia di passare per una manovra di ripiegamento.
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Il trionfo dell'alibi

La notizia delle dimissioni di Dino Boffo, direttore di Avvenire, mi ha provocato lo stesso senso di smarrimento che mi aveva colto il 28 agosto scorso, di fronte alla prima pagina del Giornale. Un titolo urlato, un attacco personale nei confronti di un collega che ha espresso con sobrietà alcune obiezioni sulla moralità del premier. Niente a che vedere con le campagne mediatiche di altre testate, anche cattoliche, che in questi mesi avevano lanciato accuse e insinuazioni contro il Presidente del Consiglio: insomma, sembrava un caso montato sulla persona sbagliata.

Inizialmente l’avevamo presa come una campagna mediatica del Giornale, e lo stesso Berlusconi aveva assicurato di non essere al corrente della scelta di Feltri. Oggi che il fronte si allarga a un’altra testata di famiglia, qualche dubbio comincia a sorgere.

E, di fronte al rischio di una balcanizzazione del conflitto, viene infine da pensare che Dino Boffo abbia fatto bene.

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Il trionfo dell’alibi

La notizia delle dimissioni di Dino Boffo, direttore di Avvenire, mi ha provocato lo stesso senso di smarrimento che mi aveva colto il 28 agosto scorso, di fronte alla prima pagina del Giornale. Un titolo urlato, un attacco personale nei confronti di un collega che ha espresso con sobrietà alcune obiezioni sulla moralità del premier. Niente a che vedere con le campagne mediatiche di altre testate, anche cattoliche, che in questi mesi avevano lanciato accuse e insinuazioni contro il Presidente del Consiglio: insomma, sembrava un caso montato sulla persona sbagliata.

Inizialmente l’avevamo presa come una campagna mediatica del Giornale, e lo stesso Berlusconi aveva assicurato di non essere al corrente della scelta di Feltri. Oggi che il fronte si allarga a un’altra testata di famiglia, qualche dubbio comincia a sorgere.

E, di fronte al rischio di una balcanizzazione del conflitto, viene infine da pensare che Dino Boffo abbia fatto bene.

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Egualitarismi travisati

Il Corriere dedica un articolo al secolare conflitto tra bellezza e sapere.

Prima scena. Un gruppo di studentesse universitarie londinesi partecipa a uno dei tanti concorsi di bellezza organizzati per attirare gli sguardi maschili e illudere le menti femminili che l’estetica basti a costruirsi un futuro (una su mille ce la fa, le altre arrancano. E forse, a ben guardare, finisce meglio per quelle che non ce la fanno).
Sia giusto o sbagliato, succede: in ogni stagione, in ogni parte del mondo.

Seconda scena. Un gruppo di studenti inviperiti contesta il concorso di bellezza. «Questa gara va cancellata. Veniamo all’università per essere giudicati sulla base della preparazione accademica e non per mostrare caratteristiche esteriori», ha detto una rappresentante studentesca davanti al locale dove aveva luogo la sfilata.

In fondo non c’è niente di strano: le fanciulle hanno la libertà di esporre le loro grazie, le femministe il diritto di contestare la mercificazione della bellezza esteriore. Quel che stupisce, semmai, sono gli argomenti usati.

Non abbiamo motivo né interesse a difendere un genere di manifestazione ormai inflazionato, che con gli anni ha perso in termini di buon gusto e guadagnato in banalità.

Ma la logica non è un’opinione. Nessuno mette in dubbio che l’università non sia il luogo per esporre le proprie velleità da veline (anche se, con un rapido giro in biblioteca, spesso si resterebbe convinti del contrario). Nessuno mette in dubbio che non siano le caratteristiche esteriori a garantire un risultato accademico (anche se, dalle cronache degli ultimi anni, la si potrebbe pensare diversamente).

Il fatto è che suona ridicolo indignarsi perché «il concorso esclude le ragazze che non hanno le caratteristiche per comparire sulle pagine delle riviste glamour».

Non siamo tutti uguali (e meno male). L’importante è non considerare questa differenza un handicap e non vivere la differenza con invidia, quanto piuttosto come arricchimento.