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Lo scrupolo del “perché io?”
È passato poco più di un mese, e come tutti i casi di cronaca, per quanto gravi siano, anche questo è stato ormai archiviato. Nessuno ne parla più, e in effetti non ce ne sarebbe motivo: un uomo, roso da un’instabilità mentale e da problemi familiari, ha ucciso la ex moglie e altre due persone con cui aveva un contenzioso, trasformando la Bassa padana in un far west e scatenando il panico tra la popolazione per un pomeriggio intero.
Loro sono morti, lui è in carcere (o in cura), il caso è chiuso. Eppure qualche domanda, a distanza di un mese, bisogna porsela: perché, rispetto a tanti uxoricidi, questo è complicato da due elementi che impensieriscono, o almeno dovrebbero farlo.
L’incubo del limite
Due notizie. Raccontano storie molto diverse, sono riferite da quotidiani diversi, risultano ambientate in località diverse, eppure sembrano collegate tra loro da un comune denominatore.
La prima vicenda si svolge nelle aule del tribunale di Salerno, dove un giudice ha stabilito con una sentenza la liceità della «diagnosi genetica pre-impianto e all’accesso alle tecniche di fecondazione assistita nei confronti di una coppia fertile, portatrice di una grave malattia ereditaria».
Quando basta un buon vicino
A Caronno Pertusella, comune del varesotto, arriva il “controllo di vicinato”: iniziativa di ispirazione britannica che tenta di coinvolgere i cittadini nella sorveglianza del proprio quartiere.
Gli organizzatori si affrettano a precisare che l’iniziativa non ha nulla a che fare con le ronde, e in effetti l’iniziativa pare essere uno stimolo al ritorno del buonsenso perduto: se vedo movimenti sospetti nella casa accanto alla mia non giro la testa dall’altra parte, ma allerto chi di competenza.
Quanti muri
9 novembre. Quest’anno è facile ricordarsene, mentre tutti i giornali e le televisioni fanno da cassa di risonanza alle celebrazioni: vent’anni fa, in seguito a un percorso storico e, insieme, per un equivoco, cadeva il muro di Berlino.
Convenzionalmente la caduta del Muro rappresenta la fine di un’ideologia, ma anche di un sistema, di un mondo, di una società.
Il tempo che conta
Difendere il tempo libero: un’esigenza sempre più sentita nelle società occidentali, dove sembra che il tempo (libero o occupato, a prescindere) non basti mai.
Il presidente Clinton, già nel 1999, aveva istituito una commissione per esaminare il fenomeno della “time poverty”; oggi è una ricerca diretta da Robert Goodin e intitolata “Discretionary time” a fare il punto della situazione sulla “time pressure”.
Gli studiosi inglesi si sono impegnati a cronometrare le giornate-tipo dei loro connazionali, individuando tre macrocategorie: il tempo dedicato al lavoro, il tempo dedicato alla casa (e alla famiglia), il tempo dedicato alla cura della propria persona.
Abbastanza grandi per capire
Mirko Locatelli, giovane regista milanese, è stato invitato da una scuola elementare e media di Milano a realizzare un documentario didattico raccontando – spiega il Corriere – “le idee dei giovanissimi, da 6 a 14 anni, a proposito di legalità”.
Tra le venti ore di interviste ai ragazzi su temi come la vita, la morte, l’immigrazione, la diversità, i valori, sono emerse differenze di analisi in base all’età («Alle medie… i maschi cominciano a riproporre concetti presi dagli adulti, sono più influenzabili») e al genere («le ragazzine… hanno più capacità di analisi, vogliono vivere bene, tutelare se stesse e gli altri…»).
Parlando di famiglia, Locatelli racconta: «Ho notato un fatto curioso. I figli che sono stati e sono “spettatori” dei litigi fra padre e madre, una volta intervistati mettevano l’accento sul fatto che i genitori “si dicono anche le parolacce”. Per loro era sconvolgente individuare nella propria famiglia il “trasgressore” delle regole, quelle stesse che abitualmente i genitori insegnano loro. Molti mi hanno detto “A volte dobbiamo fare noi i grandi…”».
Non so voi, ma personalmente rabbrividisco di fronte a certe situazioni di ordinario paradosso.
Figli presi in ostaggio tra due litiganti ma che non godono affatto, e restano disorientati da genitori che si comportano in maniera opposta rispetto a quel che insegnano.
Bambini che, quando non vengono tirati in mezzo alle dispute di una coppia in crisi, si ritrovano nel ruolo innaturale di pacieri in erba, angosciati da una vicenda più grande di loro, che non possono controllare né risolvere.
Bambini troppo adulti che devono badare ad adulti troppo bambini, incapaci di scrollarsi di dosso la superficialità di una vita catodica nemmeno di fronte alla responsabilità di una famiglia.
Ma gli adulti irresponsabili non si concentrano tutti nella categoria dei genitori, anche se in quel contesto si notano di più. L’esempio sbagliato può venire – e spesso viene – anche da chi, forse, leggendo di questi drammi familiari ha tirato un sospiro di sollievo.
Se i bambini sono la società del futuro, non stiamo investendo abbastanza per dare loro il futuro che si meritano. Siamo troppo impegnati a fare i nostri interessi, presi da quell’egoismo che ormai non risparmia nessun versante del tempo in cui viviamo, per ricordarci di quei piccoli, semplici gesti e parole che cambiano la giornata (e, talvolta, la vita).
Gesti e parole che aiutano adulti e bambini: dare una mano a chi ne ha bisogno, stare vicino a chi soffre, offrire un sorriso a chi ha il buio dentro, spendere una parola di speranza con chi prova la disperazione di veder crollare tutto attorno a sé.
Sono gesti e parole che non hanno età, e di cui si sente il bisogno a tutte le età: non è solo l’adulto ad aver bisogno di sapere che c’è sempre qualcuno pronto a starci vicino, su cui contare e da cui correre nei momenti più tristi.
Anzi: forse i primi a capirlo e a sentire l’esigenza di questo Qualcuno, in una società come la nostra, sono proprio i più piccoli.
Cambiamenti e ravvedimenti
Le cattive ragazze cambiano aria: un articolo della Stampa riferisce che personaggi come Amy Winehouse, Lindsey Lohan, Britney Spears, Paris Hilton hanno abbandonato gli eccessi che avevano fatto la gioia dei giornali scandalistici, e stanno cambiando (faticosamente) strada.
Amy Winehouse alla fine ha accettato di entrare in una clinica per disintossicarsi: ora si apre a un repertorio più romantico e vagheggia l’idea di trovarsi il classico “lavoro serio” aprendo un centro estetico, qualora decidesse di lasciare la musica.
La Lohan, dopo due arresti per guida in stato di ebbrezza (ma la definizione ufficiale, a quanto raccontano le cronache, è eufemistica: era proprio ubriaca fradicia), ha deciso di dire basta ai baccanali e alle nottate in giro per locali; cerca un lavoro “per pagare l’affitto”, dimostrazione che anche i ricchi vivono nel nostro mondo (anche se raramente piangono).
Di Britney Spears si è detto ampiamente: fatta di stupefacenti e cattive compagnie, spendacciona e seminuda (oltreché volgare, ma questo non è un reato), è stata tirata a lucido in una clinica di riabilitazione e ora porta avanti il suo tour mondiale controllata a vista dal padre, che le ha imposto un’ora di lettura biblica al giorno: e chissà se, nella migliore tradizione della scuola domenicale, dopo la lettura ne verifica anche l’apprendimento.
Paris Hilton ha trovato l’amore, ricambiata, e ha quindi smesso i panni della nullafacente metropolitana tutta capricci e leziosità per dedicarsi al suo lui: pensa al matrimonio, e per il personaggio è già tutto dire.
I bimbi crescono, e anche le bad girls, raggiunto un punto di rottura, devono decidere cosa fare. Un cambiamento radicale talvolta è l’unico modo per sopravvivere, specie quando lo stile di vita è più pericoloso di una passeggiata in autostrada.
Ciò che viene da chiedersi se si tratti di un vero cambiamento, o di una pausa tra due eccessi: rinsavire per non morire, prima di rituffarsi nelle vecchie abitudini ritrovando le vecchie compagnie.
Esperienze passate dimostrano che spesso è solo una questione di tempo. Senza una base solida anche il cambiamento più radicale non è destinato a durare. Senza la consapevolezza dei propri limiti, della sporcizia morale, del proprio fallimento interiore, è difficile ricominciare davvero da capo.
Dietro molti di questi cambiamenti sbandierati di fronte ai media non sembra esserci vera motivazione, ma solo una questione di sopravvivenza: cambiare vita per non morire, adottare una condotta salutista senza però toccare l’interiorità di una vita spirituale disastrata, ossia la principale causa di disagio.
Uno stile di vita più sano può aiutare a stare meglio, ma è il cambiamento interiore a portare felicità, serenità, pace.
C’è una bella differenza. La differenza che passa tra sopravvivere e vivere.
Dal dire al fare
Norme sempre più severe per chi guida: il governo – o, piuttosto, un sottosegretario che ha approfittato del silenzio ferragostano per ottenere il suo quarto d’ora di celebrità – starebbe per emanare nuove norme contro gli eccessi di velocità, l’uso del cellulare alla guida e il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza. Non solo: potrebbe diventare più difficile ottenere la patente, rinnovarla, recuperare i punti perduti.
Per quanto riguarda il telefonino – una delle passioni nazionali – si minaccia addirittura l’obbligo del viva voce, perché sembrerebbe che perfino l’auricolare costringa a distrarsi troppo.
Se saranno solo boutade agostane o proposte concrete, lo vedremo a settembre. Resta, in questo ultimo scorcio d’estate, qualche domanda.
Ci si dovrebbe domandare il senso dell’annuncio anticipato, che di solito non corrisponde mai nella sostanza alla legge effettivamente approvata.
E ci si dovrebbe domandare anche se inasprire le leggi non sia un triste retaggio di altri tempi e altre culture, di quelle gride manzoniane incapaci di farsi rispettare.
Una democrazia seria non si distingue per la quantità di leggi, ma la certezza del diritto: poche norme, semplici e fatte rispettare.
Ecco, forse il problema è proprio qui. Fate un banale esperimento: verificate quanti rispettino ancora il divieto di uso del cellulare alla guida. Noi ne abbiamo contati un po’ troppi, anche tra quegli stessi elementi che dovrebbero rappresentare e garantire la sicurezza. Ci siamo sentiti delusi, e anche un po’ presi in giro.
Francamente non sembra che le leggi non ci siano, o non siano adeguate. Basterebbe renderle efficaci, magari sostituendo gli annunci con qualche banale, sporadico, doveroso controllo.