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Presenze luminose
“Turisti senza bon ton“: di questo si lamentano i sindaci delle località turistiche, dalle città d’arte alle stazioni balneari. I primi cittadini, interpellati da un periodico, si rammaricano per l’abbigliamento succinto dei visitatori, gli schiamazzi notturni, l’abuso di alcol, e un senso di libertà che sfiora la mancanza di rispetto per i residenti (e, probabilmente, per gli altri villeggianti).
La storia si ripete ogni anno, e riguarda allo stesso modo gli stranieri in Italia e gli italiani all’estero: l’assenza di obblighi lavorativi (e, talora, familiari), la lontananza dalle abitudini e dalla consuetudine dei gesti quotidiani, l’ebbrezza del viaggio e della permanenza in una località mai vista prima è una miscela entusiasmante, ma che se non viene equilibrata nel modo giusto rischia di scatenare un circolo vizioso di esagerazioni. Con rischi per la salute, per la convivenza, e anche per la dignità.
Quelle Porte aperte sul dramma
Una volta all’anno, il convegno di Porte Aperte fa bene.
Fa bene, perché è organizzato bene: abbastanza denso da dare informazioni precise sulla condizione dei cristiani perseguitati, ma sufficientemente leggero da permettere l’interazione tra i presenti (quest’anno a Rimini erano oltre trecento: meno dello scorso anno, ma comunque un numero ragguardevole in tempi di crisi) e la riflessione sul nostro ruolo di cristiani occidentali, privilegiati da una condizione di libertà e da diritti impensabili fuori dal nostro continente.
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L’anonimo di Adro
Spesso ciò che conta non è tanto il gesto, quanto le motivazioni. In molti hanno visto con scetticismo l’imprenditore che ha versato diecimila euro al comune di Adro pagando il servizio mensa al posto dei genitori morosi: sarà un riccone in cerca di fama, avrà pensato qualche malizioso, o un radical chic deciso a seppellire l’immagine delle autorità locali (e nazionali), surclassandoli sul fronte della solidarietà ed eclissando un “partito dell’amore” che, per ora, esiste solo nelle parole del suo fondatore.
E invece no: l’identikit del generoso benefattore è molto diverso da quello ipotizzato. A illuminare sul senso della sua azione e sulle sue ragioni è una lettera di due pagine che lo stesso personaggio ha recapitato in municipio: due pagine di sobrietà e di buonsenso, a partire dalla scelta di restare nell’anonimato, firmandosi semplicemente “un cittadino di Adro”. Uno come tanti, verrebbe da sperare, se fosse garanzia di impegno, generosità e basso profilo.
La cosa giusta
Qual è la cosa giusta? Nella vita o su un campo di calcio non è facile individuarla. E quando si pensa di averla trovata, il contesto finisce per metterla in discussione.
Ne sa qualcosa Bepi Pillon, allenatore dell’Ascoli, da sabato soprannominato “mister correttezza” per un gesto senza precedenti. La sua squadra ha segnato un gol con un avversario a terra, e quindi senza rispettare il patto tra gentiluomini di solito osservato in questi casi; Pillon – dice lui “d’accordo con la squadra” – ha ordinato ai suoi di fermarsi e di lasciar segnare gli avversari per ristabilire la parità e ripartire con il gioco ad armi pari.
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Fiducia mal riposta
«Fatevi amici con le ricchezze ingiuste»: chissà se la direttrice di banca di Bornheim, che tanto fa discutere in questi giorni la Germania, nel compiere le sue operazioni da Robin Hood ha mai pensato alla celebre affermazione di Gesù. Sta di fatto che ha seguito alla lettera l’indicazione, e in preda a un impulso di pietà ha concesso fidi e crediti bancari a persone che non rispondevano agli standard richiesti.
Attraverso un abile gioco delle tre carte, rivisto in versione bancaria, riempiva i conti vuoti attingendo da quelli più fortunati, e in questo modo è riuscita a sfuggire ai periodici controlli che la banca – non va dimenticato che stiamo parlando della Germania – effettuava.
Area di servizio (cristiano)
Onestamente non pensavo di trovare spunti di riflessione, qualche giorno fa, in un articolo di Panorama titolato “Gli italiani visti da Madame pipì”, dove un cronista del settimanale raccontava le storie delle donne addette alle pulizie degli autogrill.
Spaziando per i bagni delle aree di servizio sparse per le autostrade di mezza Italia, Raffaele Panizza incontra «Ann, nigeriana di 31 anni che passa le giornate al Ristop di San Giacomo sud leggendo la Bibbia e cantando ad alta voce i versi gospel che scrive per il coro della chiesaGes ù vive di Maddalusa, Brescia.
“Mi è capitato poco tempo fa un uomo disperato, che aveva perso 23 mila euro al Casinò di Venezia”, racconta. Lei per consolarlo ha attaccato a leggere un passo del Vangelo di Giovanni, paragrafo [sic] 15, versetti 1-7: “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco…”. Gli ha parlato, con una mano sulla spalla, in mezzo ai viavai di gente. “Non so se la sua vita sia cambiata” dice in inglese, “ma quel giorno se n’è andato felice…”».
Il tempo che conta
Difendere il tempo libero: un’esigenza sempre più sentita nelle società occidentali, dove sembra che il tempo (libero o occupato, a prescindere) non basti mai.
Il presidente Clinton, già nel 1999, aveva istituito una commissione per esaminare il fenomeno della “time poverty”; oggi è una ricerca diretta da Robert Goodin e intitolata “Discretionary time” a fare il punto della situazione sulla “time pressure”.
Gli studiosi inglesi si sono impegnati a cronometrare le giornate-tipo dei loro connazionali, individuando tre macrocategorie: il tempo dedicato al lavoro, il tempo dedicato alla casa (e alla famiglia), il tempo dedicato alla cura della propria persona.