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Se la Bibbia sbarca in Libia
A margine dell’iniziativa con la quale Gheddafi ha portato il Corano (fisicamente e spiritualmente) a qualche centinaio di ragazze italiane, il deputato europeo Potito Salatto (PdL) pone una domanda interessante: «Cosa accadrebbe se fosse Berlusconi a donare Bibbie o Vangeli in terra libica?» E suggerisce: «Perché non provarci?».
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Cristiani a Terra
Le recenti vicende dei cristiani in Marocco, contro i quali si è registrato un rinnovato rigore da parte delle autorità, continua a far parlare l’Occidente: non quanto altre vicende, ma è sempre meglio di niente.
La scorsa settimana se n’è occupato anche Terra, settimanale di approfondimento di Canale 5, che ha dedicato una puntata agli “Infelici come una pasqua”, i cristiani perseguitati. Dopo un servizio dalla Nigeria – fronte sempre caldo, purtroppo – e dal Kosovo delle intolleranze serbe, è toccato appunto ai fatti marocchini.
Ed è emersa una situazione difficile, dove la libertà di culto è di fatto limitata nei confronti dei cristiani a una tolleranza, che devono muoversi con costante cautela per evitare l’accusa di proselitismo.
Un messaggio frainteso
«Il punto centrale è che il cristianesimo non lo difendi brandendolo come un’ideologia, ma testimoniandolo nella vita quotidiana come risposta ai bisogni dell’uomo. La grande forza del cristianesimo, quella che colpisce e “contagia” il prossimo che incontriamo, è la possibilità per l’uomo di sperimentare una novità di vita»: la constatazione, molto evangelica, è di Giorgio Vittadini.
Nei giorni della polemica leghista contro le esortazioni espresse dal cardinale di Milano, il fondatore della Compagnia delle Opere centra meglio degli altri la questione e la sua frase, da sola, vale quanto un discorso: Cristo non può essere un’ideologia, un mezzo, un alibi per giustificare comportamenti che si scontrano con il suo insegnamento.
Oltre il velo
«In che mondo viviamo», commenta sconsolata Maria Matilde Filippini, preside di una scuola elementare romana: un gruppo di mamme le chiede di sostituire la nuova insegnante di italiano, e promette di arrivare fino al Tar per ottenere giustizia.
Ce l’hanno con la docente, ma non è perché sia impreparata – d’altronde è entrata in classe da appena tre giorni -, né perché sia violenta, per i suoi comportamenti bizzarri, per insane passioni o frequentazioni pericolose, per inesperienza o inadeguatezza: l’unica obiezione a questa mite sessantunenne è il suo essere una suora.
Suor Annalisa, va detto, non ostenta: in classe si fa chiamare “maestra Annalisa”, e si dice consapevole di non dover “oltrepassare il limite” confondendo la sua scelta di fede e il suo delicato lavoro di formatrice. Le premesse sono buone ma non bastano alle mamme: «Sono atea – dice la portavoce del gruppo – e credo che la scuola pubblica debba essere quantomeno laica». A ben vedere non si spiega quale sia, nelle idee delle agguerrite mamme, la condizione ideale di una scuola “quantomeno laica” (atea? agnostica? marxista? darwinista? relativista? scientista?), ma forse, in certi casi, è meglio non sapere.
La preside, di fronte a un caso che oltrepassa il limite della ragionevolezza, è ferma: «Per me questa è solo demagogia, razzismo laico… Anch’io mi sento laica e sarei la prima ad avviare un procedimento disciplinare nei confronti di un insegnante che contravvenisse ai suoi doveri». Però, rileva, «mi chiedo perché la signora non disse nulla quando l’insegnante che c’era prima impartiva ai bambini dei corsi di benessere yoga: li faceva sdraiare in cerchio, disegnava dei mandala e recitavano insieme dei mantra…».
Insomma, quella che emerge da parte delle attente genitrici non è, come potrebbe sembrare, una posizione contraria a ogni forma di religiosità, ma l’opposizione a una fede specifica: quella cristiana.
Scandaloso? Forse, ma per niente strano: in un mondo di contrari a prescindere c’è chi non può vedere il rosso, chi il nero, e chi Cristo.
Chiunque, ma non Gesù. Si chiama, in gergo tecnico, reverse discrimination: impedire a qualcuno di esercitare una funzione in quanto si trova in una posizione che potrebbe far pensare a un privilegio nei suoi confronti.
Triste essere così prevenuti. Triste essere razzisti, e non indora la pillola il fatto che si tratti di un “razzismo laico”.
La spiritualità orientale va bene, ma il cristianesimo no. D’altronde si sa, lo yoga è così chic, è elegante e non impegna, mica come quel Cristo che promette un futuro glorioso ma per il presente non lesina lacrime, sudore e sangue.
Peccato che un genitore non sia capace di guardare oltre. In questo caso, oltre il velo di una suora. Se avesse il coraggio di farlo magari scoprirebbe un’insegnante che, proprio perché portatrice di un’identità definita, sa essere più sensibile nell’esercizio di quell’equilibrio e di quell’onestà intellettuale cui ogni docente è chiamato.
Fuori tempo massimo
«Vittoria!» – «Vergogna!»
Le reazioni del mondo evangelico alla sentenza di Strasburgo sulla rimozione dei crocifissi nelle aule scolastiche italiane non potevano essere più antitetiche. Posizioni diverse e legittime, che si basano su considerazioni opposte. Da un lato una tendenza laicista che, spesso, deborda su posizioni di principio anticattoliche, senza se e senza ma; dall’altro una linea meno rigida, più comprensiva, che però rischia di passare per una manovra di ripiegamento.
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Se la guerra è finita
Il Magazine di questa settimana parla del cambio di rotta che ha caratterizzato il movimento evangelico USA in questi ultimi tempi: Ennio Caretto, nel descrivere la novità, conia la definizione di cristiani obamiani, che puntano “su clima, crisi e sanità per tutti”.
Naturalmente non perdono il loro nerbo i classici conservatori – su tutti l’inflessibile decano dei tele e radiopredicatori, James Dobson -, ma si avverte una nuova sensibilità, oltre che l’esigenza di cambiare e capire una realtà sempre più complessa, che si adatta meno che mai al consunto schema manicheo del confronto tra bene e male.