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Oltre e nonostante
A volte trovi tracce di fede dove meno te l’aspetti. Come in un articolo del Corriere dove si racconta il dramma di sei ex calciatori di Como affetti da Sla, e un dubbio atroce sulla possibile contaminazione del terreno dello stadio Sinigaglia su cui hanno giocato per anni.
Nel triste elenco Gaia Piccardi ricorda anche Piergiorgio Corno, da quindici anni malato di sclerosi. «Piergiorgio lotta in un letto della villetta di Albate, irrorato da una commovente spiritualità: “Nella mia vita ho capito che nulla è accaduto per caso – ha scritto proprio ieri sul suo computer -. Più volte la presenza di un’entità superiore si è manifestata e per questo vedo la Sla come un percorso che ha una sua ragione, che non capirò mai con la razionalità umana. Ma verrà un momento in cui tutto sarà chiaro“».
Parole che non lasciano indifferenti, se sono pronunciate da una persona immobilizzata da una malattia che corrode giorno dopo giorno la tua indipendenza, la tua libertà, fino a renderti un corpo alla mercé degli altri.
Talvolta, di fronte a una malattia – o una crisi di altro genere – ci impuntiamo su un imperativo categorico: noi dobbiamo guarire. “Dobbiamo” perché serviamo sani, perché Dio non può volere la nostra sofferenza, perché Dio lo ha promesso, perché Dio dice…
Contrariamente alle nostre aspettative, la guarigione non è sempre nei piani di Dio. E, quando c’è, non sempre i suoi tempi coincidono con i nostri.
Forse sorprenderà sentirlo dire, ma talvolta proprio la malattia, o la crisi, fanno parte del piano di Dio. Un piano che va oltre il nostro, perché vede oltre: oltre il nostro bene contingente, oltre il nostro interesse personale, e perfino oltre questa vita.
Sta a noi metterci nella prospettiva di Dio. Una volta sbollita la rabbia verso un Padre apparentemente meno amoroso del solito, forse potremo vedere dietro alla nostra malattia una opportunità inaspettata per consolidare la nostra fede, intensificare il nostro rapporto con Dio, incoraggiare altre persone che altrimenti non avremmo incontrato o che, in altre condizioni di salute, non avremmo potuto avvicinare con la stessa efficacia.
Spesso, come cristiani, dimentichiamo la nostra scelta di vivere per Cristo. Vorremmo farlo solo quando le condizioni risultano umanamente vantaggiose. O almeno, se proprio dobbiamo accettare un disagio, vorremmo comprenderne preventivamente il motivo.
Se fosse così, la fede non sarebbe necessaria. E ci perderemmo l’opportunità di credere senza preoccuparci delle conseguenze, senza lo stress di dover mantenere uno sguardo d’insieme, senza l’angoscia di un progetto chiaro ma così immane da schiacciarci.
Volenti o nolenti, il nostro percorso di vita non lo tracciamo noi.
Proprio per questo, come cristiani, dovremmo sentirci rasserenati: rasserenati di fronte a un’esistenza che non sempre comprendiamo ma che per noi, possiamo starne certi, è comunque la migliore possibile. Anche quando proprio non sembra tale.
Diete salutari
Un anno vissuto spendendo una sterlina al giorno: è la sfida che si è imposta una insegnante inglese quarantasettenne. Un po’ per scommessa, un po’ per necessità: doveva fare un regalo di matrimonio a suo fratello, e per questo ha deciso di risparmiare per un anno.
Tolte le spese vive per l’alloggio (affitto, luce, gas) ha stabilito un ruolino di marcia capace di farle risparmiare fino all’estremo, ottimizzando al massimo quel che aveva: pranzi e cene ai buffet gratuiti, acquisti nei mercati all’orario di chiusura (quando i prodotti vengono svenduti) e così via. Ed è riuscita, con un po’ di fantasia, a farsi anche una vacanza.
Alla fine ha raggiunto il suo obiettivo, vivendo per un anno con meno di un euro e mezzo al giorno. Ora, a sfida conclusa, non è tornata alle vecchie abitudini: «Questa esperienza ha completamente cambiato la mia mentalità – ha spiegato – ora non riesco più a provare piacere nello spendere denaro e il mio budget giornaliero continua ad essere molto basso».
A volte dobbiamo privarci di quel che abbiamo, per capire quanto superfluo ci sia nella nostra vita. Certe volte lo facciamo volontariamente, altre volte ci viene imposto dalla vita. In ogni caso può essere istruttivo, se riusciamo ad avere la giusta prospettiva sulle cose.
Tutto sta nell’accettare la situazione: cosa, ovviamente, difficile. Spesso infatti, di fronte alle ristrettezze, tendiamo a dibatterci nel nostro disagio, ostinandoci a carpire i perché e ignorando invece le opportunità che ci si aprono davanti.
Eppure è proprio così: le difficoltà hanno il vantaggio di aprirci gli occhi. Dopo, vediamo tutto in una luce diversa: più realistica, più concreta, più ragionevole.
Forse ogni tanto un digiuno, non solo alimentare, ci farebbe proprio bene: per apprezzare di più quello che abbiamo, per capire gli altri, per crederci meno invincibili, per andare in contro alle necessità del nostro prossimo.
Tra carte e comode rate
Repubblica dedica ampio spazio al reverendo John Jenkins della First Baptist Church di Glenarden, a due passi da Washington, protagonista di una crociata contro il consumismo: «John K. Jenkins, il pastore, lo ripete in continuazione: “Non dovete diventare schiavi dei debiti e dei creditori, lo dice la Bibbia” e parte con le citazioni di capitoli e versetti. Nella crisi economica americana, che si mostra soprattutto nelle difficoltà di pagare le rate dei mutui, delle carte di credito, delle auto o dell’assicurazione sanitaria, un ruolo di aiuto sempre maggiore lo sta giocando la religione. […]
Così in tutto il Paese, accanto ai tradizionali corsi di catechismo o prematrimoniali, sono nate le classi di Financial Freedom – libertà finanziaria – per insegnare a gestire l’economia familiare, a rientrare dai debiti e a vivere di quello che si ha».
Per Jenkins, scrive Mario Calabresi, «Il nuovo “satana” sono le carte di credito, che danno l’illusione di una ricchezza che in realtà non si possiede».
Il problema esiste anche da noi, per quanto in forma diversa. Certo, bisogna sostituire “carta di credito” con “rata mensile”, ma il risultato è lo stesso. Galeotto fu chi inventò il pagamento rateizzato, e incauto chi lo definì “comodo”: l’illusione di poter acquistare qualsiasi cosa si desideri, senza limiti, pur di non provare disagio per quella quota che, mensilmente, alleggerisce il nostro conto corrente. In certi casi fino a farlo diventare trasparente.
Un tempo esistevano corsi di economia domestica che insegnavano ad amministrare le finanze familiari; oggi evidentemente quella preparazione è venuta a mancare, se anche i meno sprovveduti non sanno districarsi tra tan e taeg, e finiscono per stipulare finanziamenti capestro quando potrebbero almeno, con un minimo di buonsenso, ottenere condizioni decisamente migliori.
Se il problema esiste, ed è esteso, è opportuno correre ai ripari, come ha fatto il reverendo Jenkins: magari, al grido di “a mali estremi, estremi rimedi”, triturando le carte di credito – si sa, negli USA sono piuttosto plateali – e soprattutto offrendo corsi per insegnare a gestirsi meglio. Che non significa tanto sapersi districare tra le condizioni dei circuiti creditizi, quanto imparare a spendere nel modo migliore.
Sembrerà strano, ma su questo versante la Bibbia è una insospettabile fonte di suggerimenti e indicazioni: non è un pretesto, e se ne sono accorti in molti anche in Italia, dove manager di successo che hanno sperimentato l’efficacia di queste indicazioni e hanno sviluppato corsi dedicati alla cura delle proprie finanze in maniera saggia.
Qualcuno obietterà chiedendosi se sia davvero un tema che riguarda la vita cristiana. Tutto sta nel capirsi: se per vita cristiana intendiamo ogni aspetto dell’esistenza, anche quelli più concreti, allora la risposta non potrà che essere affermativa.
La saggezza, l’equilibrio, il senso di responsabilità sono capisaldi nella vita di ogni cristiano: dal punto di vista più strettamente spirituale, ma non solo.